martedì 30 settembre 2014

Il doppio gioco americano nella lotta all’Isis

I media di tutto il mondo da qualche settimana riportano costantemente e ingrandiscono smisuratamente gli sforzi multilaterali della diplomazia Usa per montare una colossale coalizione di ben 40 Paesi per battere e annientare il cosiddetto Stato Islamico (l’Isis), sempre più dipinto come uno spauracchio mondiale.
Nel frattempo, sempre secondo quanto fanno credere i media occidentali, è grazie ai caccia bombardieri dell’aviazione americana, a cui ora si sono uniti quelli francesi, che forze irachene ed anche I militanti peshmerga curdi riescono a contenere quella che viene dipinta come una possente “armata delle tenebre”.
E ancora una volta si vuole far passare l’immagine di un’America super potenza che corre in soccorso delle popolazioni che rischiano di essere massacrate dal cattivo di turno, con accanto i soliti francesi che, quando c’è da buttare bombe dove c’è odore di petrolio, non restano mai indietro. E in effetti gli Usa, nell’area del Golfo, di mezzi per condurre un’offensiva aerea ne hanno in abbondanza.Tutti questi mezzi possono essere diretti sui bersagli con precisione millimetrica da aerei, droni, satelliti e centinaia di elementi delle Forze Speciali che operano sul campo come Fac (Forward Air Controller), vale a dire controllo aereo avanzato. Con questa tecnologia a disposizione, in condizione di allerta continua e costante, di giorno o di notte, in un ambiente piatto e scoperto come quello iracheno, le colonne di mezzi delllo spauracchio made in Usa, chiamato “califfato” sarebbero un bersaglio ideale quanto indifeso.
Il leader del movimento per la resistenza libanese Hezbollah, Seyyed Hassan Nasrallah ha rilasciato durante una sua recente intervista video rilasciata alla televisione libanese Al-Manar, ha dichiarato che la Resistenza libanese non farebbe mai parte della coalizione anti Isis, costituita dagli Usa e dei loro alleati, proprio perche’ e’ guidata da chi è “la fonte” di tutto il terrorismo nel mondo, gli Stati Uniti.“
A nostro parere, l’America è la madre del terrorismo, la fonte del terrorismo. Se c’è il terrorismo in tutto il mondo, la causa è l’America”, ha affermato il segretario generale.“L’America fornisce un supporto completo per il terrorismo dello Stato sionista. Sostiene Israele militarmente, economicamente, giuridicamente, e le fornisce anche il veto nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”. “Colui che ha sganciato la bomba atomica sulla popolazione del Giappone, che ha ucciso in Vietnam e in mezzo mondo, non è qualificato eticamente e moralmente per presentarsi come leader di una coalizione per combattere il terrorismo. La realtà è che tutti i Paesi che fanno parte della coalizione anti-Isis, Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Giordania e Bahrain, sono i sostenitori e finanziatori dei terroristi che stanno attualmente combattendo in Iraq e in Siria.Nell’ultimo suo discorso, Nasrallah, ha osservato che gli Stati Uniti hanno deciso di impegnarsi nella lotta contro l’Isis, solo quando i miliziani si sono avvicinati alla regione curda dell’Iraq, che è strategicamente importante per l’Occidente.
Come e’ noto a tutti, nell’ultimo mese e mezzo, vi sono state diverse operazioni militari contro l’Isis con tanto di armamenti pesanti e pesanissime. Ma e’ piu’ che leggittimo chiedersi quale sia l’obiettivo vero di tanto movimento militare e politico e l’impiego di tutta questa possente armata aerea, a cui stanno per unirsi anche i Tornado inglesi? Circa 180 missioni, meno di quattro al giorno, e neanche tutte da attacco perché in buona parte da ricognizione, controllo e rifornimento.
Se la volontà di Washington fosse davvero quella di eliminare l’“armata del califfatto Takfiri”, con quei mezzi a disposizione potrebbe incenerirla in una settimana, invece, a parte le bufale riportate dalla stampa, ha incenerito qualche decina di pick-up e qualche blindato: il minimo indispensabile per fingere di fare qualcosa o comunque per far credere che la minaccia di Isisi, creata da loro stessi, sta alle porte dell’Occidente. Il gruppo terroristico Isisi, chiamato anche Daesh in arabo, è una minaccia troppo preziosa per distruggerla; la scusa ideale per giustificare la destabilizzazione e lo smembramento dell’Iraq, con il petrolio di Mosul e Kirkuk messo in mano ai curdi insieme alle armi per difenderlo. E dal Kurdistan, via Turchia, portarlo ai quattro angoli del mondo, Israele in testa. E questa è solo una delle ragioni per mantenere in vita una gigantesca operazione mediatica criminale che vende i propri servizi al miglior offerente.
Per ora l’importante è fingere di combattere l’Isis, agitando il pericolo delle “bandiere nere” per giustificare qualunque azione; quando non servirà più svanirà come tanti altri comodi fenomeni usa e getta creata dalla diabolica volonta’ israeloamericana.

lunedì 29 settembre 2014

TFR in busta paga? E’ un trucco: danno per le imprese e più tasse per i lavoratori

Con la proposta di trasferire metà del TFR in busta paga, il governo Renzi penserebbe a fare cassa, mascherando la misura con la volontà di rilanciare i redditi dei lavoratori e i consumi.
Il sottosegretario all’Economia, Enrico Zanetti, ammette di non saperne nulla. Nemmeno dal ministero del Lavoro si hanno notizie al riguardo, eppure la materia sarebbe oggetto di discussione sul tavolo del governo, ossia del premier Matteo Renzi e del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan: trasferire la metà del TFR in busta paga. Sarebbe questa la scossa che il governo Renzi vorrebbe dare all’economia, mettere più soldi nelle tasche dei lavoratori, formalmente senza creare problemi alle imprese. E’ come se, ad un tratto, un lavoratore dipendente si trovasse in busta paga un aumento salariale di circa il 3,5%, non male in tempi di inflazione zero e di rinnovi contrattuali bloccati o rinnovati senza sostanziali miglioramenti retributivi.
Tuttavia, dal mondo delle imprese e dai sindacati è arrivato un coro di no, sono state esternate perplessità, perché a ben vedere, la misura potrebbe risolvere con due sconfitti e un vincitore. I primi sarebbero, come al solito, le stesse imprese e i lavoratori, mentre a vincere la partita potrebbe essere solo lo stato. Vediamo perché.
L’attuale disciplina sul TFR è piuttosto complessa e prevede regole diverse, a seconda che il TFR sia maturato fino alla fine dell’anno 2000 o successivamente. In generale, l’impresa è obbligata ad accantonare per ciascun dipendente un ammontare pari alla retribuzione lorda da questi percepita nell’anno e divisa per 13,5. Ogni anno, l’accantonamento viene rivalutato dell’1,5% fisso, a cui si aggiunge il 75% dell’inflazione. La rivalutazione viene tassata ogni anno con l’aliquota dell’11%, mentre la quota capitale sarà tassata in un’unica soluzione solo al momento della liquidazione, ossia quando il lavoratore viene licenziato, si dimette o va in pensione (oltre al caso di richiesta di acconto). In questo caso, il TFR sarà tassato separatamente con un’aliquota pari alla media pagata dal lavoratore negli ultimi 5 anni, concedendo opportune detrazioni per i redditi fino a 30.000 euro.
Se passasse la proposta informale ventilata negli ambienti governativi, le imprese dovrebbero inserire in busta paga la metà del TFR da accantonare ogni anno. Con ciò, avrebbero problemi di liquidità, soprattutto, le imprese con meno di 50 dipendenti, che oggi utilizzano nei fatti il TFR come fonte di autofinanziamento. Infatti, la disciplina prevede che il lavoratore di imprese con almeno 50 dipendenti possa scegliere se versare il suo TFR all’Inps o se trattenerlo in azienda. Le imprese di minori dimensioni, tuttavia, non accantonano mensilmente o annualmente l’importo da liquidare al lavoratore alla fine del rapporto di lavoro, né stipulano apposite polizze assicurative, scegliendo spesso di erogare la somma all’occorrenza. Con la proposta di cui sopra, le piccole imprese sarebbero costrette a mettere mano alla loro liquidità, in un momento in cui riscontrano già gravi difficoltà, a causa del credito insufficiente erogato loro dalle banche e per i mancati pagamenti della PA. Sulla carta, la misura appare neutra, ma nei fatti non sarebbe così. Equivarrebbe, nel breve termine, a un aumento salariale a carico delle imprese.
Attenzione: nemmeno i lavoratori sarebbero del tutto avvantaggiati. Trasferendo parte del TFR in busta paga, questi sarebbe tassato con le stesse aliquote applicate al loro reddito, ossia di più di quanto non lo sia oggi con la disciplina sopra accennata. Per non parlare del fatto che verrebbe meno una forma di finanziamento della previdenza complementare, che sarebbe azzoppata sul nascere.
Ancora una volta, lo stato farebbe cassa. Su un flusso di accantonamenti annui intorno ai 26 miliardi, 13 andrebbero in busta paga e si riuscirebbe così a tassare sin da subito una montagna di liquidità che dovrebbe altrimenti essere tassata solo alla fine del periodo di lavoro. Nel lungo periodo, per lo stato sarebbe indifferente, ma nel breve troverebbe qualche miliardo in più di gettito fiscale. E per quanto sopra detto, tasserebbe oggi di più ciò che dovrebbe tassare, allo stato attuale, domani di meno.
Non si tratta di misure per rilanciare i consumi e per dare più soldi in busta paga ai lavoratori, quanto un escamotage per fare cassa sulle spalle di imprese e dipendenti.

sabato 27 settembre 2014

I media della Germania comprati da Usa e Nato

"A volte le notizie sono un puro lavaggio del cervello".
Il nuovo libro di Udo Ulfkotte, un ex giornalista tedesco con 17 anni di esperienza, rivela la pratica diffusa dei pagamenti ai media tedeschi da parte degli Stati Uniti d'America e della NATO per promuovere la loro agenda, ed è diventato un bestseller.
Il lavoro di Ulfkotte chiamato 'Gekaufte Journalisten (' Giornalisti comprati '), offre una moltitudine di casi, nomi ed esempi di manipolazione dell'opinione pubblica tedesca orchestrata dalla Ambasciata degli Stati Uniti in Germania e in diverse organizzazioni internazionali.
Egli dimostra un alto livello di auto-critica, dal momento che ammette di aver ricevuto soldi dai servizi segreti americani per mettere a fuoco diversi problemi da un certo punto di vista. Così, alcuni media tedeschi non sono altro che succursali del servizio di propaganda della NATO, afferma.
"Molte persone che non sanno molto su come funziona il giornalismo in Germania o in Occidente in generale si sorprenderanno. Per coloro che credono ancora nell'indipendenza e la libertà dei nostri mezzi leggere questo libro, senza dubbio, sarà uno shock," dice a RT il redattore capo del giornale tedesco 'Zuerst', Manuel Ochsenreiter.
'Giornalisti comprati' è diventato un bestseller in Germania, anche perchè molte persone sono interessate allo stato attuale del giornalismo tedesco per le tensioni in particolare tra la Russia e l'UE. Come afferma un commento sul libro, questo perché "la diversità di opinioni è solo simulata: a volte le “notizie” (in Germania) sono puro lavaggio del cervello"

venerdì 26 settembre 2014

IL POMO DELLA DISCORDIA DELL'ARTICOLO 18

Tutti parlano dell’articolo 18 e del “Jobs Act” con i renziani che parlano di voler finalmente liberare l’Italia dalle incrostazioni del passato. Ma cosa implicherà il superamento dell’ articolo 18? Secondo noi le conseguenze saranno drammatiche, e di ampia portata.
Magari l’Articolo 18 non riguarderà molti lavoratori in Italia, certo, tuttavia cercare di addossare all’esistenza dell’Articolo 18 le colpe della mancata crescita dell’Italia è semplicemente la cartina di tornasole che permette di capire molto bene quelle che sono le intenzioni di Matteo Renzi e soci. 
Di per sè non varrebbe nemmeno la pena di fare una battaglia per difendere l’Articolo 18 dal momento che ormai riguarda pochi lavoratori e milioni di italiani il lavoro proprio non ce l’hanno. 
Peccato che l’articolo 18 sia un simbolo, e i simboli anche nel XXI secolo conservano una enorme potenza e forza. Anzi è proprio perchè l’Articolo 18 è un simbolo che Renzi e soci lo vogliono distruggere, è il simbolo che rappresenta quel poco di tutela che ancora hanno i lavoratori. Un volta tolto l’Articolo 18 insomma, si vedrebbe una sorta di effetto diga, con più nulla a tutelare i lavoratori dalla marea montante dei licenziamenti selvaggi. 
L’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori infatti è un vero e proprio perno dei diritti dei lavoratori in quanto è una effettiva tutela per i lavoratori dai licenziamenti ingiustificati non tanto dal punto di vista reale (in quanto sono ormai pochi i lavoratori a goderne), quanto dal punto di vista simbolico. In sostanza senza l’Articolo 18 si aprirebbe una deriva inevitabile con uno sbilanciamento totale nei contratti a netto sfavore dei lavoratori, a quel punto niente altro che una massa amorfa di persone tutte uguali da utilizzare a proprio piacimento per avere profitti sempre crescenti. 
Non ci credete? In Spagna esisteva qualcosa di molto simile al nostro Articolo 18 ed è stato eliminato. Subito dopo abbiamo assistito a un netto aumento dei licenziamenti indiscriminati, cui non ha fatto da contraltare un indennizzo economico corrispondente ai lavoratori licenziati. Senza l’Articolo 18 alle aziende costerà molto di meno licenziare al punto da considerare il licenziamento una pratica assolutamente normale. Insomma per Renzi e molti altri il futuro del lavoro in Italia è un futuro di aziende che potranno liberamente licenziare a proprio piacimento e senza alcuna conseguenza, chiaramente appiattendo al ribasso le retribuzioni. Senza tutele i lavoratori diventano sostanzialmente “tutti uguali”, e il fatto più grottesco è che pur di lavorare saranno gli stessi lavoratori a salutare positivamente questa situazione.

giovedì 25 settembre 2014

La Siria è il 7° paese a maggioranza musulmana bombardato dal Nobel per la Pace Obama

Gli imperi bombardano chi vogliono, quando vogliono, per qualsiasi motivo
Gli Stati Uniti hanno iniziato a bombardare obiettivi all'interno della Siria, di concerto con un gruppo di cinque regimi alleati: Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Qatar e Giordania.

Ciò significa che la Siria è diventata il 7° paese a maggioranza musulmana ad essere bombardato dal Nobel per la Pace 2009 dopo Afghanistan, Pakistan, Yemen, Somalia, Libia e Iraq.
L'assoluta mancanza di interesse riguardo l’autorità legale di Obama a bombardare la Siria ci dice che gli imperi bombardano chi vogliono, quando vogliono, per qualsiasi motivo (infatti, Obama ha bombardato la Libia, anche dopo che il Congresso aveva esplicitamente votato contro l'autorizzazione all’uso della; vincoli costituzionali non riguardano guerrieri e imperatori).
Era poco più di un anno fa, e i funzionari di Obama insistevano che bombardare e attaccare Assad era un imperativo morale e strategico. Ora invece, Obama sta bombardando i nemici di Assad, mentre educatamente informa in anticipo Damasco dei suoi obiettivi. L’obiettivo di una guerra sembra irrilevante per gli Stati Uniti; ciò che conta è che sia in guerra, sempre e per sempre.
Sei settimane di bombardamenti hanno solo scalfito ISIS in Iraq, ma il ritmo del suo reclutamento è aumentato. Questo era prevedibile: gli Stati Uniti sanno da anni che ciò che alimenta e rafforza il sentimento anti-americano (e quindi l'estremismo anti-americano) è esattamente quello che continuano a fare: l'aggressione in quella regione. Creare e rafforzare continuamente i nemici è una caratteristica in quanto è quello che poi giustifica la lubrificazione costante della redditizia macchina della guerra infinita.
Se c'è qualcuno che crede davvero che l’obiettivo del nuovo intervento sia una crociata morale per sconfiggere i malvagi dell’ ISIS (mentre gli Stati Uniti combattono a fianco dei loro stretti amici sauditi), Greenwald invita a leggere un saggio del Professor As'ad AbuKhalil su come la Siria sia una guerra per procura a più livelli. Come il disastroso "intervento" in Libia dovrebbe definitivamente e permanentemente dimostrare, gli Stati Uniti non bombardano paesi per obiettivi umanitari. L'umanitarismo è la finzione, non lo scopo .

martedì 23 settembre 2014

Inquietante per l'occidente la costruzione di "una sorta di Nato guidata dalla Cina"

Mentre il gruppo di Shangai si allarga, Cina e Iran si preparano per le esercitazioni navali congiunte nel Golfo Persico
L'Economist ha descritto come "abbastanza inquietante dal punto di vista dell'Occidente" la possibile adesione di nuovi paesi all’Organizzazione di Shangai per la Cooperazione (l’organismo intergovernativo fondato il 14 giugno 2001 dai capi di Stato di cinque Paesi: Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan). Spaventa la prospettiva di "una sorta di NATO guidata dalla Cina".
Anche i paesi asiatici con una tradizione democratica consolidata, come la Mongolia, sono appagati dal ruolo di osservatori nell’organizzazione di integrazione regionale, al punto che ne chiederanno l'adesione, sostiene il blog editoriale della rivista. Quali sono le ragioni che portano i governi dell'Asia ad allearsi con la Cina e la Russia nel Gruppo di Shanghai?, si chiedono gli autori britannici.
Durante il recente vertice dell'Organizzazione a Dushanbe (capitale del Tagikistan), svoltasi l'11 e 12 settembre, il presidente della Cina, Xi Jinping, ha detto che l'agenzia dovrebbe "concentrarsi sulla lotta contro l'estremismo religioso e il terrorismo su Internet ". Questo approccio, secondo l’opinione editoriale, è molto efficace per i paesi asiatici colpiti da un'epidemia di intolleranza jihadista. Un certo numero di esempi recenti confermano che solo se si uniscono le forze si può combattere questo male. Infatti, alcuni cittadini cinesi di etnia Uiguri, provenienti dalla regione autonoma cinese del Xinjiang, hanno fatto guerra alle forze governative nelle aree tribali del Pakistan e dello Stato islamico in Iraq e la Siria. Questo mese quattro Uiguri con presunti collegamenti allo Stato islamico sono stati arrestati sull'isola indonesiana di Sulawesi. Questi uomini provenivano dalla Cina attraverso il sud-est asiatico e presenterebbero un pericolo per tutti i paesi della regione.
Nel frattempo, l'Organizzazione di Shanghai fornisce strumenti per rilevare quegli individui, indagare e rimpatriarli se necessario. Ecco perché l'India, il Pakistan e l’Iran vogliono unirsi al Gruppo di Shanghai, ammettono gli analisti, sottolineando che anche agli alleati degli Stati Uniti questa integrazione sembra interessante.
"Uno dei successi della Cina in Asia centrale negli ultimi anni è che è stata in grado di assicurare la cooperazione con le autorità locali [degli Stati dell'Asia centrale] nella deportazione di immigrati clandestini, soprattutto Uiguri, che ora sono costretti a lasciare la Cina attraverso il Laos e la Thailandia ", dice The Economist. "È molto probabile che sia il risultato della crescente presenza cinese nella regione, del commercio con la Cina e degli accordi di estradizione fatta." Gli autori ammettono che la Russia e la Cina possono avere dubbi circa l'importanza che entrambi i paesi dovrebbero fornire all'Organizzazione di Shangai. Tuttavia, già nella sua forma attuale, il gruppo permette di estendere l'influenza di Pechino su nuovi territori. Secondo gli inglesi, è uno strumento con il quale Pechino "lentamente, in modo casuale e senza alcun chiaro obiettivo in vista" sta costruendo un nuovo ordine mondiale.
Intanto due navi da guerra cinesi hanno attraccato al principale porto militare dell'Iran per la prima volta nella storia. Entrambi i paesi hanno condotto quattro giorni di esercitazioni navali congiunte.
L’agenzia Xinhua ha riportato che navi militari cinesi coinvolte nella protezione del trasporto marittimo nel Golfo di Aden hanno gettato l'ancora nel porto iraniano di Bandar Abbas sabato per una "visita amichevole". Una delle navi è il Changchun, un missile guidato cacciatorpediniere.
Le marine da guerra iraniana e cinese avevano programmato di iniziare le esercitazioni congiunte lunedì e di centrarle nelle missioni di salvataggio. La Cina sta ampliando le aree in cui la Marina opera, unendosi recentemente agli sforzi per combattere la pirateria nel Golfo di Aden e al largo delle coste somale.
Il sito ufficiale della Marina cinese riporta che questa è la prima visita da parte di navi cinesi da guerra in Iran. Il contrammiraglio Xinjian Huang ha fatto la seguente dichiarazione: "Sono sicuro che questa visita promuoverà il costante progresso della cooperazione amichevole tra le marine dei nostri due paesi."
Il quotidiano di stato iraniano Kayhan "ha riferito che le navi da guerra cinesi trasportano anche 650 marinai che si sfideranno in" manifestazioni sportive "con le loro controparti iraniane.

domenica 21 settembre 2014

STATI UNITI: Sempre e solo menzogne, e grazie a noi la fanno franca

Come pensavano di farla franca sostenendo che in Iraq ce n’erano grandi quantità di armi chimiche, biologiche e perfino nucleari? I disertori avevano chiaramente affermato che le armi chimiche e quelle biologiche (alcune fornite dagli stessi Usa) erano state distrutte. Gli ispettori avevano ispezionato quasi ogni centimetro dell’Iraq e avevano detto che mancavano ancora solo pochi centimetri, se gli avessero dato qualche giorno in più. L’Iraq stava urlando che non era in possesso di tali armi. Molte nazioni nel mondo gli davano ragione. Lo stesso staff di Colin Powell lo avvertiva che le sue affermazioni non sarebbero state considerate plausibili. Eppure, l’hanno fatta franca. Al punto che ancora oggi molta gente di buone intenzioni negli Stati Uniti sostiene che nessuno può essere certo che Bush, Cheney e gli altri sapessero che le loro dichiarazioni erano false al momento che le facevano.
«Tutto ciò – scrisse Adolf Hitler – è ispirato dal principio che nella grande bugia esiste sempre una certa forza di credibilità; perché le vaste masse di Colin Powell all'Onu con la falsa fiala di antraceuna nazione sono sempre facilmente corruttibili nel profondo della loro natura emotiva piuttosto che coscientemente o volontariamente; e così nella primitiva semplicità delle loro menti cadono più facilmente vittime di una grande bugia anziché di una piccola, in quanto essi stessi dicono spesso delle piccole bugie su piccole cose ma si vergognerebbero di ricorrere a delle falsità su larga scala». I media americani hanno sostenuto ripetutamente che la Russia ha invaso l’Ucraina. Lo sostengono per un po’, poi si scopre che non c’è stata nessuna invasione, così fanno una pausa. Dopo lo sostengono ancora una volta. Oppure sostengono che un convoglio di aiuti costituisce un’invasione. Eppure questi convogli di aiuti sembrano proprio dei convogli di aiuti in tutte le fotografie, e nessuno è stato capace di produrre fotografie simili di un’invasione.
Quando i mezzi corazzati ucraini entrarono nell’est del paese e vennero circondati dai civili, abbiamo visto le fotografie e i video. Ora esiste soltanto una foto satellitare della serie “reperti Colin-Powell”, fornita dalla Nato e che si suppone indichi artiglieria russa in Ucraina. L’invasione principale russa che apparentemente è in offerta speciale con un repellente per giornalisti, si dice consista di 1.000 soldati – ossia lo stesso numero di truppe che gli Usa hanno mandato ancora una volta in Iraq, della cui invasione evidentemente non ci dobbiamo preoccupare. Ma dove sono questi 1.000 soldati russi che invadono l’Ucraina? L’Ucraina sostiene di aver catturato 10 di questi, anche se questi 10 non sembrano concordare con questa versione. Che cosa è successo agli altri 990? Come è stato possibile per qualcuno avvicinarsi tanto da fare 10 prigionieri ma non aver potuto fare una fotografia degli altri 990?
Nel frattempo la Russia smentisce tutto e sollecita pubblicamente gli Stati Uniti a impegnarsi diplomaticamente con l’Ucraina e il governo di quest’ultima di smettere di bombardare i propri cittadini e di elaborare un sistema federalista che rappresenti ognuno nelle proprie frontiere. Ma la Nato non ha tempo, è impegnata ad annunciare una contro-invasione per far fronte all’invisibile invasione russa. Come pensano che la faranno franca con questo? Vediamo. Nemmeno uno dei responsabili per le menzogne che causarono la distruzione dell’Iraq e la morte di alcune milioni di persone, insieme al prevedibile e previsto caos che ora tormenta il paese e tutta la regione, è stato mai ed in nessun modo chiamato a rispondere. La menzogna che Gheddafi stesse per massacrare degli innocenti, la bugia che ha facilitato l’attacco in Libia e l’inferno che sta regnando ora in quel paese: nessuno è stato chiamato a rispondere in qualsiasi modo. La menzogna che la Casa Bianca avesse le prove che Assad aveva usato armi biologiche? Nessuno è stato chiamato a rispondere. Addirittura nessuno si è sentito obbligato a Propaganda anri-russia in Lituaniagiustificarsi quando hanno cambiato obbiettivo e proposto di bombardare i nemici di Assad.
E la menzogna secondo cui gli attacchi dei droni non uccidono innocenti e non uccidono quelli che, invece, potrebbero essere arrestati facilmente? Nessuno è stato chiamato a rispondere. La menzogna che gli Stati Uniti avessero la prova che ad abbattere l’aereo sopra l’Ucraina fosse stata la Russia? Nessuno è stato chiamato a rispondere, e gli Usa si oppongono a una indagine indipendente. La menzogna che la tortura ci garantisce la sicurezza, una menzogna che ha portato gli Usa a torturare della gente? Nessuno, ai livelli degli uffici ad aria condizionata, è stato mai chiamato a rispondere. Perché pensano di poter farla franca? Perché tu glielo permetti. Perché non vuoi credere che commettono tali atrocità. Perché non vuoi credere che sono tanto bugiardi. Sai una cosa? Co sono persone che si sentono come degli idioti perché hanno creduto alle menzogne sull’Iraq. Immagina come si sentiranno quando scopriranno che avevano creduto all’invasione di una nazione che non era mai stata invasa.

venerdì 19 settembre 2014

SCOZIA: ViNCE LA PAURA

Addio sogni d’indipendenza per la Scozia dopo che i “no” hanno vinto con il 55,3% contro il 44,7% degli indipendentisti. Esultano a Londra mentre per molti è una occasione persa di mettere in discussione gli equilibri europei.
Alla fine ha vinto la paura, ha vinto il “no” e per molti scozzesi che ci hanno creduto davvero organizzando sit-in, manifestazioni e incontri è stato un brusco risveglio quello di questa mattina. Il sogno di una Scozia indipendente è tramontato mentre si è concretizzata la vittoria degli Unionisti, forti di una campagna di terrore volta a far credere che una Scozia indipendente sarebbe stata travolta da un collasso economico senza precedenti. Così alla fine gli unionisti hanno vinto con il 55,3% contro il 44,7% degli indipendentisti guidati dal leader Alex Salmond che ha preso atto della storica sconfitta: “. “Accetto il verdetto del popolo e invito tutti gli scozzesi a fare altrettanto”. A Londra invece tirano un sospiro di sollievo dal momento che negli ultimi tempi lo spettro di una secessione della Scozia dopo trecento anni erano diventati preoccupanti. Ma Cameron assieme alla Regina e a vari vip britannici hanno cominciato a seminare dubbi e a scendere in campo attivamente per il “no”, e alla fine il loro impegno è stato premiato. La differenza l’hanno fatta circa 400.000 persone, questa la differenza tra i due milioni di voti per il “no” e il milione e seicentomila del “sì”, il tutto con un’affluenza storica dell’85%. Inizialmente si pensava che potessero vincere gli indipendentisti quando i primi dati arrivavano dalle contee scozzesi più remote, poi però i dati sono progressivamente cambiati premiando il “no”, anche grazie alla roccaforte Edimburgo che ha votato convintamente per gli unionisti con il 61% contro il 39%. Alla fine ha vinto dunque la maggioranza silenziosa, quella degli scozzesi impauriti dalle conseguenze dell’indipendenza in campo economico e politico. Non solo, il referendum scozzese era importantissimo anche per l’Europa dal momento che in molti guardavano proprio al referendum per prendere spunto. Stiamo parlando della Catalogna dove gli indipendentisti puntano a uno storico referendum il 9 novembre non riconosciuto da Madrid, e anche dell’Italia dove Salvini si è buttato a pesce sulla questione viaggiando in tempo di record in Scozia, giusto il tempo di veder perdere il “sì”. Con la differenza che mentre la Catalogna e la Scozia hanno delle motivazioni culturali per chiedere l’indipendenza, la Lega le ha create grottescamente a tavolino

mercoledì 17 settembre 2014

La Gran Bretagna e la guerra all'isis

I raid aerei UK contro l’ISIS in Siria 'illegali' senza l’ok di Assad. Nota della Camera dei comuni inglese
Ma Cameron non esclude nulla e la Gran Bretagna potrebbe partecipare agli attacchi a guida Usa
Secondo una nota della Camera dei Comuni inglese, gli attacchi aerei del Regno Unito nei confronti degli estremisti dello stato islamico in Siria potrebbero essere illegali senza l'accordo del governo del presidente Bashar Assad o una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Lo riporta Rt.
Il primo ministro David Cameron delineerà, ai deputati in parlamento, i propri piani per un intervento militare più profondo in Iraq e Siria al ritorno dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York la prossima settimana.
Una nota della Camera dei Comuni inglese, comunque, dice che gli attacchi aerei in Siria "saranno difficilmente giustificati legalmente" a meno che non vi sia la richiesta di assistenza del presidente siriano da parte delle potenze occidentali, come ha fatto il presidente iracheno Fuad Masum. Il governo britannico ha detto che qualsiasi azione in Siria rispetterà il diritto internazionale, e il modo più probabile per raggiungere questo obiettivo sarebbe quello di affermare che l'azione militare è per scopi umanitari. Questo resta controverso, tuttavia, senza che una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite l’autorizzi".
Il ministro degli esteri britannico, Philip Hammond, era a Parigi lunedì, per incontrare i leader e i ministri degli Esteri di oltre 30 paesi e discutere i piani per combattere i militanti dell’ISIS. Il vertice incentrato sugli Stati Uniti prevede di indebolire il gruppo militante offrendo sostegno militare per l'Iraq, insieme ai piani per fermare l'unione al gruppo di combattenti stranieri, tagliando i suoi flussi di finanziamento e cercando di contrastare la sua ideologia. Cameron dice che non ha "escluso nulla" e la Gran Bretagna potrebbe ancora partecipare agli attacchi aerei a guida Usa.
Un certo numero di parlamentari britannici ha espresso preoccupazioni circa l’intervento militare dell’UK in Siria, in quanto temono che tale azione possa essere interpretata come tacito sostegno al governo di Assad. L'ex capo della difesa britannico, Lord Richards, però, di recente ha detto che il Regno Unito dovrebbe lavorare con Assad, Mosca e le autorità iraniane per sconfiggere lo Stato islamico. La sua dichiarazione consegue ad una precedente di Sir Malcolm Rifkind, che ha esortato il governo del Regno Unito a collaborare con Damasco per sconfiggere i militanti jihadisti in Siria e in Iraq.
La linea di un intervento militare del Regno Unito segue l'esecuzione del cooperante britannico David Haines, che era stato tenuto in ostaggio dai jihadisti dopo il suo sequestro lo scorso anno. Il killer a viso coperto dell’ultimo video, che è apparso su Internet sabato, sostiene che Haines è stato ucciso a causa della promessa di Cameron di armare le forze kurde per combattere il gruppo jihadista. I militanti hanno anche minacciato di uccidere un secondo ostaggio britannico, Alan Henning. Cameron ha ribadito la sua "volontà di ferro" di distruggere l’ISIS e si è impegnato a "dare la caccia" agli assassini di Haines. "David è stato assassinato nel modo più duro e brutale che si possa immaginare da un'organizzazione che è l'incarnazione del male", ha detto Cameron domenica. "Daremo la caccia ai responsabili per assicurarli alla giustizia, non importa quanto tempo ci vuole".

martedì 16 settembre 2014

L'ISIS è un mostro creato da noi”. L'ammissione di un ex ufficiale Usa“

È un'organizzazione nata dai finanziamenti americani attraverso Qatar, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita
Un ex ufficiale della marina degli Stati Uniti, Kenneth O’Keefe, in un’intervista a Press TV rivela fatti scioccanti sul ruolo degli Stati Uniti nella nascita del gruppo terrorista dello Stato Islamico “È una nostra creazione”, dice. Secondo l’organo di informazione, l’ufficiale non ha alcun dubbio sul fatto che gli estremisti che operano in Iraq e in Siria siano stati finanziati dagli Stati Uniti attraverso i propri rappresentanti come Quatar, Emirati Arabi e Arabia Saudita. “Realmente sono una forma ribattezzata di Al Quaeda che ovviamente non è altro che una creazione della CIA", dice O'Keefe.
O'Keefe ha dichiarato in un'intervista a Press TV che i jihadisti non solo hanno ricevuto dagli Stati Uniti il miglior team americano, come l'armatura personale, il trasporto di truppe blindato e la formazione, ma gli è stato anche permesso di inondare di là delle frontiere molti luoghi del Medio Oriente. Tutto questo è stato fatto sotto l’auspicio di porre fine all’ultimo 'Hitler' agli occhi dell'Occidente, Bashar al Assad, dice. L'esperto è d'accordo anche con le opinioni di alcuni analisti che gli Stati Uniti utilizzano tutta questa situazione come una porta di servizio, perseguendo l'obiettivo fondamentale di eliminare il governo di Al Assad. Lo stesso modello è stato visto in Iraq e in Afghanistan, aggiunge l’ex officiale.
E il popolo americano, secondo O'Keefe, non può vedere cosa realmente accade per gli effetti della propaganda presente nel paese.

domenica 14 settembre 2014

EPPUR SI MUOVE

“Eppur (qualcosa) si muove”, potremmo dire. Sarà il risultato della crescente campagna di boicottaggio che prende di mira i vari gangli di una delle società più militarizzate e blindate del pianeta. Sarà l’effetto delle continue stragi di donne, anziani e bambini compiute da Tsahal nella Striscia di Gaza. Sarà stanchezza, disillusione, un rigurgito di coscienza...
Fatto sta che, improvvisamente, nella tradizionalmente granitica corazza delle forze armate israeliane sembra aprirsi una breccia. Piccola ma significativa. Perché questa volta a smarcarsi dall’ideologia ufficiale e a contestare una politica bellicista, aggressiva e razzista nei confronti della popolazione palestinese non sono i giovanissimi refusenik che finiscono in galera perché non vogliono servire nell’esercito israeliano durante il periodo di leva.
Questa volta a scioccare una società conformista o colpevolmente distratta ci hanno pensato 43 riservisti di una delle unità più prestigiose dell’intelligence militare, la Yehida Shmoneh-Matayim, spesso paragonata alla National Security Agency statunitense.
Che hanno inviato una lettera più che esplicita al premier Benjamin Netanyahu, al capo di stato maggiore e al capo dei servizi segreti, scritta tra l’altro prima che i bombardieri israeliani uccidessero migliaia di abitanti della Striscia di Gaza nel corso della cosiddetta operazione ‘Margine Protettivo’.
La lettera è stata pubblicata dal quotidiana israeliano Yedioth Aharonot e da quello britannico Guardian, scatenando naturalmente un vero e proprio terremoto.
“Noi, veterani dell’unità 8200, riservisti nel passato e nel presente, dichiariamo che rifiutiamo di prendere parte ad azioni contro i palestinesi e rifiutiamo di continuare a servire come strumenti per approfondire il controllo militare sui territori occupati” affermano i 43 firmatari della missiva, ufficiali compresi, che contestano il fatto che i dati di intelligence che l’unità raccoglie spiando i palestinesi – “molti dei quali sono innocenti” – vengono utilizzati poi per la “persecuzione politica e per creare divisioni all’interno della società palestinese”.
I riservisti contestano il fatto che la loro attività – che è principalmente quella di intercettare le comunicazioni elettroniche tra palestinesi – abbia ben poco a che fare con la difesa e la sicurezza di Israele. “La popolazione palestinese – si legge nella lettera – sotto il governo militare è completamente esposta allo spionaggio e alla sorveglianza dei servizi segreti israeliani. Essi creano divisioni all’interno della società palestinese attraverso l’assunzione di collaboratori. In molti casi, l’intelligence impedisce agli imputati di ricevere un processo equo nei tribunali militari, con le prove contro di loro che non vengono rivelate”. Lo spionaggio mira a individuare qualsiasi dettaglio utile nelle vite dei palestinesi monitorati - preferenze sessuali, problemi finanziari, malattie, tradimenti – per poi utilizzarli allo scopo di “estorcere o ricattare le persone, costringendole a diventare dei collaborazionisti”.
Una donna soldato racconta di un errore di identificazione da lei commesso che portò alla morte di un bambino nel corso di un cosiddetto ‘bombardamento mirato’. Inoltre i 43 denunciano che “mentre la sorveglianza dei cittadini israeliani è sottoposta a limiti assai ristretti, i palestinesi non godono di simili protezioni legali”.
Ma la denuncia va al di là delle competenze specifiche dell’unità di cui fanno parte i riservisti autori del documento, che prendono apertamente di petto la politica coloniale e l’occupazione israeliana dei territori palestinesi, a partire dalle continue espropriazioni di terre poi utilizzate per realizzare gli insediamenti ebraici.
Prima che la ‘pesante’ lettera facesse in giro del mondo, tre dei firmatari hanno anche concesso delle interviste al quotidiano britannico Guardian, rivolgendo accuse durissime nei confronti di Israele, e in particolare ai servizi di sicurezza che somigliano “più a quelli di un regime che di una democrazia

venerdì 12 settembre 2014

Obama e Bush sempre più due facce della stessa medaglia

Da Al Qaeda all’Isis, da Bush a Obama. Dopo il discorso di Obama che apre alla guerra totale contro il terrorismo le similitudini tra i due presidenti sono sempre più. E lo spettro del terrore serve ancora a giustificare guerre sempre più globali e capillari.
Vi ricordate il volto vispo di Bush Jr.? Anche chi vi scrive, proprio come molti di voi, lo riteneva il principale responsabile delle guerre che hanno insanguinato il mondo nell’ultimo decennio. Tutti voi avete negli occhi l’11 settembre con tutte le sue incongruenze e tutto quello che provocò, dalla guerra all’Afghanistan sino alla guerra con le prove false all’Iraq. Obama rappresentò il vento nuovo ovvero l’uomo della provvidenza che avrebbe dovuto inaugurare una nuova era per gli Stati Uniti. Quando poi vinse il Nobel per la Pace tutti quanti pensarono, realmente, di aver trovato l’uomo giusto, l’uomo capace di portare la pace e che ha convinto tutti proprio accusando la politica estera di Bush e soci. E invece poi ci si accorge che Obama utilizza la stessa retorica di Bush parlando di “evil”, una prosecuzione dell’impero del male di reaganiana memoria o dell’asse del male di Bush. Ancora una volta ci sono i buoni da una parte, di cui ovviamente gli Usa sono i capi, e i “cattivi” dall’altra, un grande calderone all’interno del quale sono contenuti tutti i nemici di Washington senza distinzioni. Una sorta di brodo tutto nero all’interno del quale c’è l’Isis, c’è Al Qaeda ma ci sono anche i comunisti ovunque collocati, Cuba, il Venezuela, la Corea del Nord, l’Iran e la Russia. Una visione manichea che si sposa perfettamente con il “manifest destiny” americano, una sorta di ideale introiettato che non li rende poi così dissimili da quei miliziani dell’Isis che si ritengono investiti del diritto di fondare un Califfato. Insomma la retorica utilizzata è rimasta uguale ed evidentemente per perseguire gli stessi fini, ovvero la penetrazione degli interessi americani nell’area del Medio Oriente. Perchè diciamo questo? Perchè estremisti islamici hanno fin dall’inizio preso spunto dalle primavere arabe per imporsi e l’Occidente, sapendolo, non ha fatto nulla per fermarli utilizzandoli e finanziandoli contro Assad e Gheddafi. Ora che l’Isis “morde la mano al padrone”, l’isis diventa un problema, diventa l’ “evil”, il male, lo stesso “male assoluto” con il quale era connotato Saddam e con il quale hanno connotato Gheddafi e Assad. Erano buoni? sicuramente no, ma se c’è un Paese che, alla luce di tutte le guerre provocate e delle centinaia di migliaia di morti provocate non ha il diritto di individuare il “male”. Così 13 anni dopo siamo ancora a parlare di terrore e di crociate contro il male. Non sarebbe più facile chiederci che cosa alimenta questo “male del terrorismo”?

giovedì 11 settembre 2014

Crisi, secondo la Cia c'è il rischio di chiusura per migliaia di imprese

Rischio chiusura per migliaia di imprese agricole. Nel secondo trimestre del 2014 i prezzi pagati ai produttori sono calati del 4,8 per cento, con punte del -12,2 per cento per gli ortaggi e del -10,8 per cento per il vino, erodendo qualunque margine di redditivita'. Continuando con questo trend, molte aziende potrebbero non superare l'anno. L’allarme arriva dalla Cia, la Confederazione italiana agricoltori, e fa seguito ai dati diffusiieri dall'Istat sulla produzione.
Le imprese agricole gia' lottano con la crisi, il calo dei consumi interni e il maltempo che continua a colpire le campagne portando danni e complicazioni - spiega la Cia - Ma soprattutto gli agricoltori sostengono costi che, in particolar modo in questa fase recessiva, non sono in alcun modo compensati dal prezzo corrisposto per la vendita. Tra marzo e giugno, infatti, sono ancora diminuiti i listini alla produzione di quasi tutte le colture, con crolli anche per la frutta (-8,9 per cento), i cereali (-9,1 per cento) e l'olio d'oliva (-3,7 per cento), mentre sono cresciute le spese per proteggere o 'curare' i campi dagli effetti dell'andamento climatico anomalo di quest'anno.
E' chiaro che la situazione non puo' continuare in questo modo - evidenzia la Cia - La politica deve impegnarsi sul serio per il settore, mettendo in campo misure 'ad hoc' per la crescita in agricoltura.
La crisi del comparto agricolo approda all'Assemblea regionale siciliana. Le problematiche legate al credito agrario di esercizio e miglioramento nel settore dell'orticoltura, infatti, saranno al centro dei lavori, della commissione Attività produttive oggi stesso. All'audizione saranno presenti il consorzio di tutela ''Igp pomodoro di Pachino'', l'Associazione di tutela dei prodotti tipici di Pachino e la Filiera agroalimentare di Pachino e Portopalo, che hanno chiesto al Governo regionale di far fronte alla situazione di crisi con un forte intervento per ottenere una proroga delle rate di credito agrario di esercizio e di miglioramento, scadute o in scadenza entro il 31 dicembre 2014. Ed anche l'emanazione del quarto bando gestito dalla Crias.

martedì 9 settembre 2014

La socialdemocrazia in camicia bianca che ci porta alla guerra

«L'omologazione ad un modello che finge un carattere popolare ma che ha assunto la rottamazione come strumento per l'affermazione del superamento del conflitto capitale lavoro...»
Impressiona la pletora di camicie bianche sul palco della festa dell'unità di Bologna. Il volto nuova della socialdemocrazia Europea è il bianco lindo di camicie inamidate, di giovani leaders che non hanno mai indossato i panni della critica sociale, che non sono mai stati attraversati da tensioni ideali. L'omologazione ad un modello che finge un carattere popolare ma che ha assunto la rottamazione come strumento per l'affermazione del superamento del conflitto capitale lavoro, di ogni aspirazione che parli di uguaglianza, democrazia, progresso sociale.
Renzi è il loro leader naturale, come i manager d'azienda esalta il merito individuale, il talento e la qualità. Non è un caso che nei quartieri bene delle grandi città Renzi abbia spopolato alle ultime europee. È persino banale ricordarlo ma questa società non è fatta di liberi ed eguali, il merito, il talento e la qualità sono il senso comune regalato a piene mani per ottenebrare la profonda ingiustizia che attraversa il paese, per nascondere sotto il tappetino di una retorica idiota il precipitare della condizione di chi lavora, dei milioni di giovani a cui non è data alcuna speranza per il futuro ne un presente. Come se Marchionne e un lavoratore della Lucchini di Piombino, o una lavoratrice di Eataly, o di un Mac Donald's fossero appunto sullo stesso piano, nelle stesse condizioni, con le stesse possibilità. Questi più o meno giovani in camicia bianca, questa socialdemocrazia linda sta portando l'Europa ad una nuova guerra.
A cento anni da quella che è passata alla storia come la grande guerra, tragedia e fallimento della socialdemocrazia che votò i debiti di guerra e aprì le porte al fascismo e al nazismo, nel cuore del vecchio continente si è aperta la guerra d'Ucraina che rischia di divenire rapidamente conflitto globale con conseguenze drammatiche.
I giovani in camicia bianca, gli stessi che hanno assunto la guerra del capitale in ogni singolo paese nella competizione tra uomini e nel darwinismo sociale, protettori assoluti del regime tecnocratico dell'Unione Europea hanno indossato l'elmetto insieme agli Usa e sciaguratamente stanno andando al riarmo ed ad una nuova espansione militare della Nato a est per contendere all'imperialismo della "grande Russia" di Putin la sua storica influenza.
Paul Krugman, l'economista liberal statunitense, tempo fa ebbe a dire che le guerre in Iraq e Afghanistan pesavano poco rispetto al Pil mondiale (1,2%), non erano state cioè sufficienti a risollevare l'economia capitalista dalla sua crisi più grave. La guerra è quindi un'opzione sempre più tragicamente verosimile.
Lottare contro la guerra e i loro artefici, in primo luogo Usa e Unione Europea significa non accettare di indossare l'elmetto, significa disertare la guerra del tutti contro tutti che ci stanno imponendo con la crisi economica. Il patto del tortellino che la socialdemocrazia Europea ha stretto a Bologna alla festa dell'Unità ci porta alla guerra. Fermiamoli! Anche per questo serve lo sciopero generale.

domenica 7 settembre 2014

LA GRECIA CHE RESISTE

Sulla rilevanza epocale del test europeo per saggiare la capacità di assorbimento di macelleria sociale da parte della gente che vive in Grecia non ci sono mai stati dubbi. Eppure, se non si vota, se Atene non è paralizzata e le immagini non mostrano roghi e violenze varie in piazza Syntagma, della resistenza ellenica non interessa un granché. Una miopia grossolana, soprattutto per chi ha ormai a cuore “solo la dimensione continentale”, magari perché c’è una lista elettorale da compilare. Nei prossimi giorni, arriverà forse perfino in Italia, una flebile eco dell’epica lotta di 595 addette alle pulizie della funzione pubblica, ma c’è un’altra, straordinaria occasione per farsi un’idea e costruire relazioni con la fondamentale resistenza e creazione di alternative quotidiane che si afferma di là dall’Adriatico. È il terzo festival dell’economia solidale e cooperativa. Si parla di lavoro e informazione televisiva in autogestione, gestione cooperativa dell’acqua e dei consumi, comunità ecologiche, democrazia diretta, monete complementari, farmacie e cliniche solidali. Insomma delle “quisquilie” della resistenza vera, quella della vita ogni giorno. Non sarebbe il caso di dare una mano?
La Grecia è viva. Nonostante ciò che avviene a due passi da casa nostra continui ad essere sepolto in un assordante silenzio, c’è tutto un mondo che resiste ostinatamente alle politiche dell’austerity segnando qualche importante vittoria, creando innovazione sociale e sperimentando nuove forme di autorganizzazione.
Dopo l’indiscusso successo del referendum contro la privatizzazione dell’acqua di Salonicco dello scorso 18 maggio, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la privatizzazione del servizio idrico costringendo il governo a fare marcia indietro sia ad Atene che a Salonicco. Martedì 2 settembre, i lavoratori della Ert, che ormai da 15 mesi occupano l’edificio e continuano a trasmettere in streaming, hanno inaugurato una nuova ambiziosa fase: costruire una televisione partecipata aperta alla collaborazione di cittadini ed attivisti.
E mentre il governo sta riversando tutto il suo impegno nella vendita delle spiagge agli investitori stranieri, continuano a fiorire le iniziative di cooperativismo e autogestione.
La Vios-coop, a Salonicco, ha chiuso brillantemente i suoi primi sei mesi di attività. Si tratta di una cooperativa di consumo nata dall’impegno di 300 famiglie. “Ognuno ha messo 150 euro per raccogliere il capitale sociale ed aprire questo piccolo supermercato che vende solo prodotti locali, di filiera corta e compatibili con il nostro codice etico”, spiega Kostas, uno dei promotori dell’iniziativa. “I membri della cooperativa partecipano attivamente alla selezione dei prodotti ma il punto vendita è aperto a tutti, oggi viene a fare la spesa qui molta gente del quartiere”.
Ma la lista è lunghissima: la fabbrica recuperata Vio.Me, le cliniche e le farmacie solidali che danno risposte concrete all’esclusione di gran parte della popolazione dal sistema sanitario nazionale, il progetto di gestione cooperativa dell’acqua di Iniziativa 136, le banche del tempo, i centri sociali e via dicendo
Tutte queste realtà si sono date appuntamento ad Atene dal 10 al 12 Ottobre in occasione del III Festival dell’Economia Solidale e Cooperativa invitando a partecipare anche iniziative analoghe di tutta Europa. Nelle tre giornate si alterneranno dibattiti e workshop sui temi dei beni comuni, delle reti di scambio, delle monete complementari, del lavoro collettivo, delle comunità ecologiche, della gestione dei rifiuti e della partecipazione sociale.
Per finanziare l’iniziativa è stata aperta una campagna di crowdfunding alla quale tutti sono invitati a contribuire. Un’iniziativa importante per conoscere e scambiare esperienze di resistenza e autogestione.

giovedì 4 settembre 2014

L'EUROPA SENZA VIA D'USCITA

I sussurri diventano grida tra le mura dei palazzi dell’eurozona. È un susseguirsi di voci che non si fermano più e che non a caso coincidono con il cambio della guardia delle cuspidi eurocratiche: Juncker arriva e con lui i nuovi commissari, ancora avvolti nella maggior parte dell’incognito della corsa all’ultimo miglio. Bene per la Mogherini, che farà meglio di quanto non si pensi e non potrà che onorare al meglio la presidenza italiana. Tragica invece la nomina del polacco Tusk alla presidenza del Consiglio: non parla né inglese né francese ed è sordo a ogni insegnamento economico che non sia quello del pallottoliere liberista. È un prezzo pagato all’ala revanscista non in economia ma in politica estera o meglio nella definizione confusa tra guerre non dichiarate e intelligence fittamente inserite nelle ciclicità della circolazione delle classi politiche: è uno schiaffo a Putin e alla sua politica di rivendicazione dell’orgoglio russo ferito. Le conseguenze saranno drammatiche sia in economia sia in politica estera.
Il disastro geostrategico europeo si sta avvicinando di gran lena, in primo luogo per la situazione economica. L’ Italia apre la via della deflazione che diverrà strutturale in tutta Europa, Germania compresa: assistiamo a una caduta dei prezzi da più di un anno. È vero che molti analisti, in primo luogo gli uffici studi delle banche, si ostinano a fare il verso alla Bce chiamando questo processo inflazione negativa, anche se ogni cittadino che sa quanto costa un litro di latte e deve programmare il rientro dalle vacanze, comprende ciò che sta dietro questo calo dei prezzi: la contrazione della produzione, per il calo dei profitti, e quindi dell’occupazione. Ed ecco la conferma. Giungono anche i dati sulla disoccupazione che sono sconvolgenti e proprio nelle nazioni che si danno in ripresa come la Spagna e la Grecia e il Portogallo.
Noi in Italia siamo in una crisi terribile: in luglio è tornata a essere, la disoccupazione, dopo il lieve calo di maggio, al 12,6%. Un dato terrificante, se lo mettiamo in relazione con il dato di novembre 2013, quando si era toccato il massimo storico con il 12,7%. Qualche dato significativo al proposito: non solo quindi la disoccupazione si mantiene stabile, ma cala soprattutto la componente maschile dell’occupazione mentre quella giovanile oscilla attorno al 43% con una stabilità impressionante. Va inoltre sottolineato che la disoccupazione colpisce soprattutto i lavoratori con contratto a tempo indeterminato e che, se spigoliamo tra i settori merceologici, vediamo che gli unici aumenti sono nel part-time e nei lavori stagionali, con il part-time in larga misura involontario.
Si aggrava quindi la qualità dell’occupazione, ossia vengono espulsi lavoratori anziani e altamente qualificati, non trovano lavoro i giovani altamente scolarizzati, aumentano i divari territoriali con alcune aree del Nord, che addirittura registrano un calo della disoccupazione, mentre nel Sud essa dilaga.
Lasciatemi sottolineare inoltre una questione che mi sta molto a cuore: si tratta non solo di un disastro sociale ma anche morale, nel senso di caduta dell’orientamento al lavoro non altamente scolarizzato da parte delle giovani generazioni. In parole povere, nell’oceano della disoccupazione ci sono isole che potrebbero essere abitate da lavoratori volonterosi che non si trovano, come gli operai specializzati, fresatori, manutentori, operatori cad-cam, eccetera.
Nelle cuspidi della eurocrazia si suonano le trombe degli alfieri germano-teutonici dell’ordoliberalismus: suonano l’adunata generale delle riforme strutturali. La gente ha qualche speranza. Siamo infatti abituati a pensare che le riforme migliorino la situazione. Ma questi trombettieri suonano il silenzio e vestono lugubri armature da Cavalieri dell’Apocalisse. Per loro le riforme sono tutt’il contrario di un cambiamento positivo, ingannando così l’opinione pubblica. Sono infatti tutte commisurate sul folle parametro dell’abbassamento del debito pubblico e quindi della riduzione della spesa pubblica tout-court, dell’aumento delle tasse, delle privatizzazioni che dovrebbero togliere qualche ditale d’acqua dall’oceano del debito. E quindi sono tutto il contrario di misure favorevoli alla crescita.
Insomma, c’è il pericolo che si perda di vista il compito storico-generale del Parlamento europeo che è nato dalle ultime elezioni. Tutti avevano affermato che il compito prioritario era iniziare una nuova politica, occorreva cambiare passo e porre in testa la crescita e non la stabilità, ossia la ricetta devastante dell’austerità. Il fallimento della Bce del resto è preclaro: non solo ha declamato, fatto annunci a vuoto, ma non è riuscita neppure a onorare il suo ruolo statutario, ossia garantire la stabilità monetaria. Non l’ha garantita affatto: siamo in deflazione, ma di questo nessuno si accorge, nessuno chiede conto delle misure errate della Bce. L’importante è stato salvare i top manager bancari più che le banche capitalistiche, e annunciare misure che incentivassero le borse a crescere così come accade, mentre invece l’economia reale rovina. Ma ora giunge la prova del fuoco.
La mia tesi è che essa non risiede nella pinta che verrà dalla consapevolezza della crudeltà sociale dell’austerità. Gli eurocrati ordoliberisti sono privi di sistemi nervosi socialmente orientati. Non è la sofferenza che farà mutar di passo all’Europa tedesco-nordica, sarà la situazione geostrategica in Ucraina e nel Mediterraneo. L’Europa, infatti, sta andando in frantumi proprio su questo piano. E non solo l’Europa, ma il legame tra l’Europa e gli Usa, senza il quale l’Europa non esiste. Il recente summit della Nato, non a caso, si è concluso con una disastrosa divisione strategica. Da un lato gli Usa, la Polonia e i paesi baltici che vogliono dare all’alleanza un tono sempre più spiccatamente antirusso, sfregiando così irreversibilmente non solo l’Europa, ma il cuore del mondo che è nell’Eurasia, e dall’altro lato Italia, Francia, Spagna, Gran Bretagna e Germania che non vogliono approfondire il divario con la Russia, ma che però non sanno che pesci pigliare perché queste nazioni si muovono tutte in ordine sparso.
Su tutto ciò aleggia il dramma del crollo delle spese per la difesa, che coinvolge tutta l’Europa perché anche qui l’austerity ha provocato danni che potrebbero minacciare le vite degli stessi europei. Gli strateghi del califfato che tagliano la testa agli occidentali non sono al Polo Nord, ma a 50 km da Pantelleria, a 200 da Malta, ai confini della Turchia. Insomma, sono dietro l’angolo. Forse anche dietro l’angolo di casa nostra.
Abbandonare l’ordoliberalismus è un dovere, quindi, non solo verso la deflazione e la disoccupazione, ma anche nei confronti delle vite stesse degli occidentali, che sono sempre più in pericolo. Si dovrebbe conoscere la storia, si dovrebbero rileggere i discorsi di Winston Churchill, che sferzava un’aristocrazia inglese che voleva venire a patti con la Germania nazista. Da grande statista, giunse addirittura a fare abdicare un re, a travolgere il pacifismo dei laburisti, a suscitare l’energia creatrice di un’isola che era consapevole di dover continuare a governare il mondo, difendendo l’Occidente. Se avesse ascoltato il Cancelliere dello scacchiere, questi gli avrebbe detto che l’equilibrio dei conti non consentiva queste alzate d’ingegno. Lo cacciò sdegnosamente in un angolo.
Si ricerchino certo tutte le alleanze possibili, ma si ricordi che solo smontando dall’interno le regole dell’austerità è possibile non assistere al crollo dell’Europa. Politicamente, sottolineo, non economicamente… Occorre un grande dibattito che rifondi l’ Europa come idea e come prassi non più ordoliberista. Le possibilità ci sono tutte, perché la preoccupazione sale in tutti i raggruppamenti politici europei, solo la Commissione è immobile, anzi la nomina del polacco peggiora la situazione, ma questo deve indurci a far presto. Naturalmente anche lavorando per eliminare gli sprechi, le rendite parassitarie, il clientelismo, i mille corporativismi, si può rimettere in moto la macchina della crescita, in Italia e in Europa.
Ma per farlo occorre cambiare musica, il che vuol dire che occorre cambiare i trombettieri. Così non si salverà soltanto l’Europa, ma si porranno anche le basi per salvare l’Occidente.

martedì 2 settembre 2014

Il paese reale affonda e Renzi “gongola” per la Mogherini alla UE

Mentre il premier Renzi si compiace e si gongola a Bruxelles per la nomina del ministro Mogherini, designata quale responsabile degli esteri per l’Unione Europea, l’Italia reale, quella delle imprese e dei lavoratori , dopo un breve periodo di ferie, ritorna al lavoro e si immerge nella dura realtà.
Per questa Italia reale iniziano le cattive notizie come per molti dei lavoratori che, al rientro in fabbrica o in azienda, non trovano più il proprio posto di lavoro per lo stato di crisi o la chiusura dell’impresa. Questo è il caso da ultimo ad esempio dei 450 dipendenti dello stabilimento Whirpool di Trento, un’altra multinazionale che non trova conveniente produrre nel “bel paese” e si appresta a fare i bagagli lasciando a terra i dipendenti, operai ed impiegati ad un destino di cassa integrazione e sussidi con poche speranze di trovare altra occupazione, data la crisi di tutti i comparti industriali della zona.
Ancora peggio per i dipendenti dell’Alcoa in Sardegna, dove un’altra multinazionale americana aveva annunciato di voler chiudere definitivamente lo stabilimento in quanto non competitivo lasciando per sempre a casa, privi di reddito e di prospettive, centinaia di operai in una zona già disastrata dove in pratica hanno già chiuso tutto, le poche aziende industriali presenti, quelle estrattive e le piccole attività commerciali nonchè gli allevatori, oberati dalle tasse ed assediati da Equitalia che pignora anche le stalle.
Di casi come questi se ne contano a centinaia ormai e, se si includono le piccole aziende, quelle con pochi dipendenti che non fanno notizia, si arriva a migliaia di casi (si calcola che abbia chiuso i battenti più del 25% del settore manifatturiero).
Un processo di deindustrializzazione che si è messo in moto in forma accelerata negli ultimi anni ed ha toccato l’apice con l’aumento della tassazione sulle imprese, con l’IMU raddoppiata da pagare anche sui capannoni, con tutti gli oneri vari, con le banche che non concedono il credito, mentre il mercato interno si è contratto e l’euro sopravvalutato ha reso difficile competere con i colossi asiatici sui mercati dell’export.
Questo il “brillante” risultato delle politiche dell’austerità volute da Bruxelles ed attuate dai governi “nominati ” dal Presidente Napolitano a garanzia dei centri di potere sovranazionali.
Il Paese reale affonda e Renzi se la ride e “fa il fenomeno” da Bruxelles mentre continua a sfoderare le sue battute e le sue promesse ottimistiche nonostante che tutte le sue previsioni di rilancio dell’economia e dei consumi (grazie agli 80 euro) siano state smentite dai dati ISTAT.
I consumi sono arretrati paurosamente, siamo in deflazione e gli 80 euro (per chi li ha avuti) non bastano a pagare gli aumenti di tasse sulla casa, sulle bollette, i bolli auto, sulle accise, i passaporti e le altre mille imposte che gli italiani si trovano adesso a pagare in autunno. L’azione del Governo è diretta solo alla tenuta delle banche, delle grandi multinazionali che hanno sede legale fuori dal paese,come la Fiat che si è delocalizzata fra Olanda e Stati Uniti.
Tutti i provvedimenti che attua il governo Renzi (e gli altri che lo hanno preceduto) compreso il decreto “sblocca Italia”, vengono fatti a vantaggio delle banche e dei centri finanziari. Persino nella riforma della giustizia e del processo civile, esiste il forte sospetto che questa sia stata fatta anche e soprattutto per garantire il veloce recupero dei crediti delle banche che hanno in cassaforte una marea di crediti inesigibili anche per i lunghi tempi della giustizia civile.
Dagli ultimi dati pubblicati dall’ISTAT si evidenzia che in Italia 1) la disoccupazione è a livelli record dal dopoguerra, che 2) l’imposizione fiscale è ormai la più alta in assoluto in Europa e nel mondo, che 3) la stessa l’imposizione fiscale a questi livelli impedisce qualsiasi tipo di investimento, che 4) il credito bancario in Italia è riservato ai soliti noti ed ha comunque tassi più alti che in altri paesi d’europa, 5) che il debito pubblico continua ad aumentare a livelli non più sostenibili.
Tutto indica che la subordinazione alla demenziale politica europea ha devastato questo paese e siamo in un vicolo cieco avviati verso la deindustrializzazione e la miseria, con prevedibile esito di destabilizzazione sociale.
Come tutti gli economisti qualificati ormai sostengono, non esiste possilità per l’Italia di fuoriuscita da questa crisi, che ha dei numeri devastanti da periodo bellico, se non con provvedimenti urgenti e radicali che sono quelli della procedura di uscita dall’euro, di rinegoziazione dei trattati europei (da Mastricht al Fiscal Compact, all’ESM, ecc.) ,di riduzione del carico fiscale sulle imprese, di ritorno ad una moneta nazionale ed un istituto di emissione pubblico controllato dal Tesoro. Con una moneta svalutata ( anzichè svalutare salari e stipendi come avviene attualmente), con provvedimenti di defiscalizzazione delle imprese ed un nuovo accordo europeo, l’economia e gli investimenti potranno ripartire, dopo un periodo di sacrifici per tutti (smantellando le burocrazie politiche, clientelari e parassitarie).
Si è compresa da tempo quale sia la vera funzione di Renzi, nominato al governo per fornire garanzie sul debito italiano alle banche estere e salvaguardare gli interessi delle grandi corporations internazionali nella fase di acquisizione del patrimonio italiano. Un personaggio di facciata voluto dall’elite finanziaria e supportato da una forte campagna di marketing ma comunque un personaggio “usa e getta” che dopo questa fase dovrà cedere il passo ad altri. Sarà la Troika di Bruxelles a commissariare direttamente l’Italia come viene auspicato anche da Mario Draghi e dai finanzieri già supporter di Renzi come De Benedetti e Scalfari.
Facile prevedere che il passo successivo sarà la svendita del patrimonio nazionale (ENI, Finmeccanica, ENEL, ecc.) e, con molta probabilità, cessioni di territorio a garanzia del debito , come sta avvenendo in Grecia.
Possiamo solo sperare che un buon numero di cittadini esca dall’abulia e dall’ipnosi televisiva dei media che continuano a sostenere questa classe di politici incapaci. Una volta affrontatati sulla propria pelle i duri morsi della crisi, i cittadini potranno arrivare alla consapevolezza che questa gente non agisce nell’interesse del popolo italiano ma per propri fini e che bisogna mandarli fuori dai palazzi del governo per indegnità.
Prevediamo tempi molto tristi per questo paese ma siamo certi che una possibilità di riscatto esiste e bisogna perseguirla.