Si può fare una riunione del consiglio scolastico con il professore
pedofilo per discutere di programmi educativi dell’anno 2013/2014? Non si può. Non c’è da spiegare molto. Non si può.
In Italia sta accadendo di peggio. E' avvenuto che un aspirante premier, leader del maggiore partito politico italiano, ha
incontrato un pregiudicato per discutere delle leggi italiane :
una legge elettorale, l’abolizione del Senato elettivo. Stiamo parlando
di elementi cardine del sistema costituzionale. I media italiani – televisione e carta stampata – stanno banalizzando l’evento in maniera imbarazzante.
Quasi si trattasse della normale prosecuzione dell’uso del potere, che
Berlusconi ha accumulato negli anni, e delle inevitabili (o evitabili)
trattative politiche che si fanno con chi detiene una fetta di potere.
Non è così. Come diceva un diplomatico francese, “le forme non sono
importanti, salvo quando vengono meno”.
In certi quartieri di Palermo, se ti occupano abusivamente la casa, puoi andare dalla polizia e dai giudici – e l’esito sarà lungo, forse incerto –
oppure ti rechi dal capomafia di quartiere. Entro ventiquattr’ore
l’abusivo sparisce. Ma non è gratis. Non perché lo ‘zu ti chiede soldi,
non è mica un poveraccio… quando sarà ti presenterà il conto. Berlusconi
è un personaggio condannato e interdetto. C’è un prima e un dopo,
sebbene un’insistente ondata propagandistica tenti di confondere le acque.
Prima della condanna definitiva era una personalità che a buon ragione
risultava repellente a molti e – in nome del libero arbitrio – poteva
piacere ad altri. Dopo la sentenza della Cassazione il suo status è
mutato per una sentenza emessa in nome del “popolo italiano”, che ha –
dovrebbe avere – una valenza nazionale. È una persona caratterizzata da
una “naturale capacità a delinquere mostrata nella persecuzione del
(proprio) disegno criminoso”.
L’incontro tra un politico incensurato e un pregiudicato è inconcepibile in qualsiasi capitale democratica dell’Occidente.
Un evento del genere è escluso a Washington come a Berlino, a Parigi
come a Londra. Nixon era stato eletto nel 1972 con 47 milioni di voti.
Nel momento in cui fu riconosciuto responsabile dei reati connessi allo
scandalo Watergate, non fu più un interlocutore per nessuno. Punto. I
democratici americani hanno continuato ovviamente a trattare e fare
politica con i repubblicani, ma il colpevole di reati era pubblicamente
fuori gioco. Perché c’è un confine invalicabile tra
l’onorabilità pubblica prima e dopo una condanna. Anzi nei paesi
anglosassoni e a democrazia matura c’è anche un secondo confine, quello
della condotta “appropriata” o “inappropriata”, che riguarda la
correttezza del comportamento pubblico e prescinde dai procedimenti
penali. Per cui il politico, beccato con lo scontrino delle mutande
messo in conto al contribuente, sparisce subito dalla circolazione e
nessuno dei suoi sodali di partito grida al complotto. Semplicemente
perché “non si può”.
In Italia la classe politica rimuove costantemente questo discrimine
di etica pubblica per cui i più grandi cialtroni possono gridare che non
sono indagati, facendoci ridere dietro all’estero. Ma pazienza.
La maggioranza paziente si accontentava di aspettare le sentenze
definitive della magistratura, augurandosi che avessero un senso erga
omnes. Il fatto che da noi si voglia ora platealmente varcare il limite tra
chi ha la titolarità di buona fede per stare sulla scena pubblica è chi
è interdetto per gravi reati costituisce un ulteriore allontanamento
dell’Italia dallo standard dei paesi europei e occidentali. Dove
“ulteriore” significa ammettere con tristezza che l’ultimo ventennio ha
visto il nostro paese scendere sempre più in basso, ma c’era la speranza
piccola, flebile, che il novembre 2011 e l’accertata criminalità con
sentenza definitiva dell’agosto 2013 potesse segnare un piccolo,
graduale passo verso il ritorno all’Europa.
Diciamo, a scanso di equivoci, che a milioni di cittadini delle beghe
interne del Pd non interessa niente. E meno che mai interessa il politichese con
cui il vertice imminente (o avvenuto) viene ammantato. Ci sono invece
milioni di cittadini, che pagano le tasse, e tanti milioni che a destra,
centro e sinistra sentono il valore della legalità e vorrebbero uscire
dal degrado istituzionale. E c’è quell’umanità pulita
vista due anni fa in Piazza del Popolo nel giorno di “Se non ora,
quando?”. Questa Italia capisce perfettamente il “segno” di questo
vertice voluto da Renzi, che cancella il confine tra ciò che è sostenibile nel costume democratico e ciò che non lo è. Che mette sullo stesso piano della presentabilità l’evasore e chi non lo è.
Raccontava Piercamillo Davigo che nei dibattiti, quando il discorso
scivolava sul “tanto rubano tutti”, lui si fermava e domandava: “Lei
ruba? Io no. Allora siamo già in due”. Tanto per rimarcare la frontiera.
Da oggi, nella società di comunicazione visiva in cui siamo immersi, il
messaggio è chiarissimo. Tra Davigo e Berlusconi non c’è nessuna
differenza.
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