venerdì 18 settembre 2020

La finanza Usa in Cina

 

La Cina sta divenendo un centro d’attrazione per il settore finanziario statunitense, e i big di Wall Street sembrano seguire più l’adagio finanziario follow the money che le indicazioni dell’amministrazione nord-americana.

Quest’aspetto rende certamente più complesso il quadro delle relazioni sino-statunitensi, ormai inserite in una cornice da guerra fredda di nuovo tipo  in cui i due Paesi, lottando per l’egemonia, cercano di primeggiare su differenti fronti: dallo scontro spaziale a quello sulle risorse, dal conflitto monetario a quello sull’informazione.

Questo flusso di investimenti dei big di Wall Street, che prende la strada dei fondi d’investimento e della gestione patrimoniale, è il risultato della coniugazione di due fattori: la sete di capitale della finanza USA e la parziale apertura cinese a questo tipo d’investimenti, in un settore comunque rigidamente orientato, per usare un eufemismo.

Ovunque si guardi, ci sono molti soldi e in quale altro posto al mondo c’è un’opportunità come questa per andare a prendersi questa quantità di denaro per il management? Afferma un manager di una società legata a Citigroup nell’articolo del «Financial Times» che abbiamo qui tradotto.

Non si potrebbe essere più chiari.

Dove reperire risorse, se non dove sono ancorate ad una solida base economica piuttosto che al sentiment dei mercati?

Così i grandi nomi della finanza USA – BlackRock, Vanguard, Citigroup e JP Morgan, per non citarne che alcuni – vedono una prospettiva d’investimento nel settore in Cina.

Alcune branche di questo settore – secondo quanto sostenuto da alcuni analisti – potrebbero ben presto superare la piazza di Londra.

Che il baricentro di questo tipo di investimenti si sposti dalla City a Pechino  è un fatto di per sé epocale per il lungo XX secolo.

Che questi big leghino i propri destini all’economia cinese non è un fatto secondario per gli Stati Uniti. Perché sarebbe difficile convincere il management di queste aziende a tagliare il ramo su cui si sono posate, come del resto abbiamo già visto succedere con alcuni aziende dell’high Tech connesse alla Repubblica Popolare. Il che non rende certo facile – al di là del tipo di amministrazione che governerà gli Stati Uniti – il “decoupling” da parte nord-americana.

Se è il capitale privato a dettare legge, è sempre abbastanza problematico sbarrargli la possibilità di profitto. Più facile per la Cina separarsi dagli USA, perché potrebbe decidere di favorire alcuni capitali al posto di altri nel complicato risiko delle relazioni internazionali, giocando per esempio l’UE contro gli USA.

In sintesi, le scelte politiche della Cina potrebbero avere conseguenze sugli investimenti finanziari nord-americani in uno dei settori chiave: quello che regge la baracca nell’economia statunitense drogata dalla finanza.

Allo stesso tempo potrebbe essere una breccia, per i settori del capitale finanziario USA in grado di legare a sé la parte di élite economica cinese che ha maggiormente beneficiato della globalizzazione neoliberista, con tutto quello che potrebbe conseguirne nella ridefinizione dei rapporti di classe nella Repubblica Popolare e non solo tra le varie componenti della classe dirigente.

I potenziali di crescita sono enormi, anche se il mercato cinese è tutto meno che de-regolamentato, con un ruolo decisivo giocato dalla gestione pubblica dell’economia – a partire dal settore bancario – che ha fatto tesoro delle turbolenze finanziare già dalla prima crisi asiatica.

L’industria cinese dei fondi comuni di investimento”, recita l’articolo di Hale, Riding e Xuequiao, “è ancora agli inizi. Goldman Sachs stima che solo il 7% del patrimonio delle famiglie del Paese sia in azioni e fondi comuni di investimento, rispetto al 32% negli Stati Uniti. Due terzi dei beni delle famiglie cinesi sono in proprietà e quasi un quinto è detenuto in contanti e depositi.”

I beni delle famiglie cinesi sono dunque per un terzo economia reale, quindi; ed anche il 20% in risorse cash e depositi bancari aono assicurati da un sistema che, fino a qui, è riuscito a sterilizzare le tossine ed estromettere la “corruzione sistemica” portata dal mondo della speculazione finanziaria. Mentre un buon terzo del patrimonio delle famiglie Usa è qualcosa che può improvvisamente tramutarsi in carta straccia, come ha dimostrato la crisi dei sub-prime.

Ciò che traspare è una certa resistenza al buttarsi a capofitto nella scommessa finanziaria – per ciò che concerne i risparmiatori cinesi – a causa delle fluttuazioni connesse a questo tipo di investimenti, che hanno nell’incertezza uno delle caratteristiche fondamentali: ovvero quelle crisi “allogene” che hanno contribuito a dare una percezione più corretta di cosa sia il capitalismo occidentale.

Sarebbe comunque auto-consolatorio pensare che la legge del valore, per certi versi, si “sospendesse”, invece che fagocitare tutto ciò trova davanti, a meno di non incontrare ostacoli solidissimi.

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