martedì 1 settembre 2020

Il collasso istituzionale. Dalla scuola in su…

 

A un marziano che passi da queste parti verrebbe da pensare che siamo tutti pazzi, in generale. Ma che più matti di tutti sono quelli che hanno una qualche responsabilità istituzionale, a qualsiasi livello.

La situazione è non semplice ma chiara. Stiamo vivendo in una pandemia che si potrà debellare solo quando avremo uno o più vaccini “sicuri”, ossia testati secondo protocolli scientifici in modo da evitare “effetti collaterali” pericolosi.

Su questo virus si sa molto, ormai, ma non ancora tutto. Soprattutto per quanto riguarda la “carica virale”, perché ci sono moltissimi “asintomatici” – ossia “portatori sani” – a loro volta divisi tra chi è infettivo e chi non lo è (dipende dalla carica virale, appunto).

Tra i “sintomatici”, fortunatamente una minoranza, si riesce ad intervenire ora nelle prime fasi di sviluppo della malattia con una serie di farmaci non risolutivi ma abbastanza efficaci.

Nella fase acuta (febbraio, marzo, aprile 2020), invece, gli ospedali accoglievano solntanto casi da ricovero immediato, mentre i “sintomatici leggeri” venivano mandati a casa o addirittura – in Lombardia e Piemonte, ma non solo – nelle case di riposo. In pratica, veniva mandati a sviluppare in solitudine la fase acuta della malattia (i vuoti di organico tra i medici di base, causa tagli e privatizzazioni della sanità pubblica). Oppure a fare incosapevolmente da fattore scatenante per la strage di anziani avvenuta nelle Rsa.

Insomma, siamo in una condizione molto migliore di allora. Ma stiamo per entrare nell’autunno, stagione normalmente “ottimale” per la diffusione delle influenze, e con la necessità di riaprire le scuole, visto che gli studenti di ogni ordine e grado hanno già, nei fatti, perso un anno.

Su come riaprirle, appunto, la confusione è totale. Frutto dell’improvvisazione, della pressione di interessi differenti, quasi sempre di brevissimo momento.

Abbiamo un governo che dirama “disposizioni e protocolli” parecchio incongruenti; Regioni che dispongono altrimenti sul proprio territorio (perché guidate da partiti dell’opposizione oppure per interessi elettorali a breve); e persino singoli Comuni che emanano (o fingono di farlo, come nel caso della Sutri del sindaco Sgarbi) “delibere” in aperto contrasto con le indicazioni nazionali.

Un collasso istituzionale che rende impossibile alla cittadinanza nel suo insieme di adottare quei comportamenti collettivi che, in un’epidemia, possono essere efficaci solo se praticati da tutti.

Un breve elenco delle “disposizioni” relative alla scuola chiarisce il caos.

1) Lo stesso Comitato tecnico-scientifico (Cts) che prescrive il distanziamento sociale minimo di un metro se si indossa la mascherina è arrivato alla conclusione opposta solo per il caso scuola: “Niente mascherina a scuola se viene rispettata la distanza di un metro tra i banchi e i ragazzi sono fermi o seduti”. Di fatto, fate un po’ quello che potete, se potete…

2) Sui mezzi di trasporto – con cui si va a scuola o al lavoro, principalmente – la distanza viene di fatto azzerata in base all‘accordo sulle linee guida nel trasporto pubblico locale raggiunto nella Conferenza unificata Stato-Regioni: il limite di affollamento sui mezzi, fissato su una capienza massima dell’80% che può arrivare al 100% per distanze al di sotto dei 15 minuti. Fate un po’ come potete, se potete…

3) Tutta la querelle sui banchi individuali per assicurare le distanze è già nel dimenticatoio; resta solo come argomento di polemica sui costi.

Si comprende benissimo che queste “non regole” sono il risultato di una presa d’atto: non ci sono risorse, né volontà di trovarle, per mantenere – nelle scuole, sui mezzi di trasporto, sui posti di lavoro, ecc – quelle misure di sicurezza che negli scorsi mesi hanno ridotto al minimo il contagio, i ricoveri, i morti.

Se due più due fa ancora quattro, bisogna attendersi un rapido aumento dei contagi tra chi va a scuola (insegnanti e Ata compresi), tra chi va al lavoro e dunque di chi abita con loro (a partire dagli anziani). In generale, insomma, con un ritorno anche dei “casi gravi”.

La sanità pubblica, benedetta nel momento più acuto dell’emergenza, è rimasta tale e quale, così com’era stata disegnata in base a tagli drastrici e continui; anzi con vuoti di organico maggiori perché molti operatori sono morti nella “battaglia”.

Sui posti di lavoro, il livello di “attenzione” degli imprenditori è stato testimoniato nel caso dell’Aia di Treviso (produzione di carni che poi finiscono sulle nostre tavole…), nel corso del programma Presa diretta (Rai3), il 31 agosto.

I lavoratori che manifestavano i sintomi classici venivano inviati a fare il tampone e poi erano obbligati a tornare al lavoro fino al risultato, se positivo. In pratica, veniva considerato dall’azienda “sano e non infettivo” fino all’evidenza clinica. Risultato: 182 contagiati su 700 addetti. E solo dopo che il disastro aveva richiamato l’attenzione dell pubbliche “autorità” si è arrivati a decidere la riduzione della produzione del 50%, il distanziamento fra le postazioni operative e la diminuzione del numero di lavoratori per turno.

Naturalmente Carlo Bonomi, neo presidente di Confindustria, dirà che quello è un “caso isolato”, come le “mele marce” nella polizia o tra i carabinieri. Ma le segnalazioni che ci giungono da tutta Italia dicono l’esatto opposto: gli imprenditori “risparmiano” su tutto, scaricando sui lavoratori ogni rischio.

Ma non è un problema solo italiano. I nostri vicini dell’Unione Europea sono altrettanto incasinati, non solo in termini di contagi (molto più alti ovunque, soprattutto in Francia, Germania e Spagna), ma anche sul piano delle misure idiote.

Se fa ridere ed incazzare un Cts che azzera il distanziamento sociale a scuola e sui mezzi pubblici, non sembra più intelligente – anzi… – il suo omologo tedesco che alcune settimane fa disponeva la riapertura dei bordelli (in Germania sono “attività produttive” come le altre, pienamente legalizzate) con una sola limitazione: massaggi erotici sì, ma niente sesso.

Se anche la classe dirigente tedesca è ridotta a queste stronzatine da opera buffa, vuol dire che il collasso istituzionale, o il fallimento della governance neoliberista, sta crescendo col passare dei giorni e l’accumularsi dei problemi sistemici.

Viviamo in un mondo – quello capitalistico – dove non solo gli individui, ma anche i meccanismi sociali complessi (produzione, commercio, amministrazione pubblica, ecc) sono tutti profondamente interconnessi. Non è insomma possibile “risolvere” un singolo problema senza mettere contemporaneamente mano a molte altre strutture e meccanismi. E in definitiva senza mettere in discussione – radicalmente – l’interesse privato al profitto individuale come “elemento intoccabile”, fondativo dell’assetto sociale attuale.

I governi si susseguono molto frequentemente, tutti i piccoli personaggi che li compongono e poi tornano a recitare la parte dell’”opposizione”, non sanno assolutamente dove mettere le mani. O quando anche lo sanno, sanno altrettanto bene di non poter toccare nulla di essenziale.

La “concorrenza politica feroce” che straborda da tv e giornali e una danza rumorosa ma immobile giocata intorno all’inessenziale, ai dettagli, alle clientele sempre più in difficoltà per mancanza di nutrimento (il taglio della spesa pubblica non danneggia soltanto i servizi sociali, ma anche i parassiti dell’intermediazione politica).

Le tecniche stesse di questa “concorrenza” – blocco sistematico di ogni decisione, a prescindere dalla sua utilità o necessità sociale; delegittimazione radicale di ogni altra posizione, ecc – farebbero pensare a un “conflitto radicale e rivoluzionario”. E invece, se si guarda ai programmi, si nota la totale identità di vedute (persino sull’immigrazione e la “chiusura dei porti” c’è una differenze solo sul piano del linguaggio; i “decreti Salvini” vengono ancora applicati senza alcuna vergogna…).

L’incompetenza sistemica della classe politica è diventato un problema di tutto l’Occidente, in Europa come negli Stati Uniti.

Del resto, 30 anni e più di neoliberismo, di “riduzione del ruolo dello Stato”, non potevano certo produrre una classe politica migliore. Ma solo degli esecutori disinvolti, senza progetti di lungo periodo, e dunque visione, statura, cultura.

Si aprirebbe una splendida occasione di trasformazione, se anche “a sinistra” il processo non avesse seminato la stessa peste. Anzi, di più…

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