Stavolta c’è davvero poco da aggiungere. Ci limitiamo a presentare questo articolo, pubblicato da Milano Finanza – notoriamente non un organo bolscevico – perché chiarisce i termini concreti dell’attuale
crisi sistemica meglio di quanto non sappiamo fare tanti “marxisti
immaginari” che si limitano (quando va bene) a citare Marx senza
capirlo.
I punti rilevanti dell’articolo, scritto da Maurizio Novelli, gestore del fondo di investimento svizzero Lemanik Global Strategy, sono stati evidenziati in grassetto o corsivo. E come noterete sono davvero molti.
Naturalmente
Novelli non preconizza – anzi teme – che la crisi sistemica possa
portare di nuovo a un lungo periodo di intervento dello Stato
nell’economia reale, così come avvenuto dopo la crisi del 1929, con
l’adozione di politiche keynesiane (politicamente double face, sia in versione nazifascista che democratico-rooseveltiana).
Ma
sul piano dell’analisi è perfettamente consapevole che questo sarà
l’esito obbligato di un modo di funzionare del “sistema”, nonché del
fatto che nessuno dei beneficiari del sistema stesso è in grado (o
interessato) a metterne in discussione il funzionamento.
Le sue intenzioni, comunque, non ci riguardano. Quel che è importante è l’illustrazione dei
meccanismi alla base della crisi, che ovviamente coincidono con quelli
fondamentali del modo di produzione capitalistico e la forma specifica
che hanno assunto in questi ultimi 30 anni (quelli della
“globalizzazione” e del predominio della finanza speculativa).
In
primo luogo, va sottolineato il “segreto” che spiega perché venti anni
di “iniezioni di liquidità” non abbiano risolto un solo problema, anzi
li abbiano aggravati sul lungo periodo.
Si dice spesso, per esempio con riferimento a Mario Draghi presidente della Bce, che “la liquidità immessa nel sistema non si trasferiva all’economia reale”.
Novelli rivela l’arcano, che è poi una banalità comprensibile per chiunque: si possono dare soldi liquidi alle banche in quantità infinita, ma queste non presteranno un solo euro a chiunque appaia ai loro occhi “non solvibile”, ossia non in grado di restituire il prestito.
E
quindi quella liquidità resta nelle banche oppure viene dirottata verso
la finanza. Ovviamente speculativa perché “il sottostante” (l’economia
reale, fisica) resta evanescente e fragile.
La
serie di rovesciamenti che ne consegue è impressionante. Un esempio per
tutti: si è costruita una Banca Centrale Europea “indipendente dal
potere politico” in modo che non potesse funzionare da
“prestatore di ultima istanza”, finanziando monetariamente gli
investimenti pubblici e costringendo gli Stati a chiedere prestiti
(cari) sui “mercati”.
Il
ripetersi delle crisi finanziarie, sempre più grandi nelle dimensioni e
vicine nel tempo, ha trasformato le banche centrali in acquirenti di ultima istanza per
salvare i “mercati” dal crollo generalizzato. In questo modo il sistema
finanziario resta in piedi, l’economia reale no. Producendo quel
logoramento della “coesione sociale” che rischia di far implodere per
altra via il sistema stesso.
E
così via. Se, dopo questa lettura, uno dà uno sguardo per esempio al
“Piano Colao”, capisce subito che si tratta della richiesta di una
maggiore quantità della stessa droga che ti ha portato al coma. La causa
della malattia viene riguardata come l’unica possibile cura…
Dal
nostro punto di vista, è palese che questa corsa verso il baratro può
essere interrotta solo da una presa di potere dell’”interesse pubblico
generale” (quello dei popoli dell’intero pianeta), ossia da una pianificazione e programmazione dell’economia reale
– quella che ci fa vivere tutti, producendo quel che serve per
progredire conservando ambiente e clima – che releghi “il privato” sullo
sfondo, tra le attività minori che non ha senso o utilità
centralizzare.
Perché
il primo dei “diritti umani”, tanto sbandierati quanto disattesi, è
vivere. E questo modo di produzione non è in grado di garantirlo per
tutti.
Da leggere, studiare, meditare.
La crisi? Inizierà a settembre. E assomiglia purtroppo al 1929
Maurizio Novelli, Lemanik – Milano Finanza
La
fine del lockdown può certamente indurre a pensare che la crisi sia
ormai in fase di superamento e da qui in avanti possiamo iniziare a
scontare una ripresa dell’attività economica ed un ritorno alla
normalità. Ma in realtà, la crisi inizia adesso.
Più
passa il tempo e più emerge chiara la sensazione che il settore
finanziario non sembra aver capito l’impatto e le implicazioni di lungo
periodo di questi eventi né di quello che accadrà all’economia reale.
Sebbene
le analisi di consenso si concentrino in prevalenza sui rischi di
ricadute dovute a possibili ritorni del contagio, è molto più importante
pensare alle conseguenze economiche che ci attendono senza ulteriori
ipotesi.
Ipotizzare
altri danni provenienti dai rischi di un ritorno dei contagi non credo
sia un esercizio utile, anche perché se dovesse accadere, tutti siamo
consapevoli di quello che potrebbe accadere. È molto più interessante
invece cercare di capire cosa ci si puo’ attendere, dando per scontato
che il problema pandemico sia risolto, e ipotizzando quindi uno scenario
“virus free”.
L’economia
mondiale è arrivata all’appuntamento con il Covid 19 nella peggiore
delle situazioni possibili, con alta vulnerabilità al debito e alla leva
finanziaria speculativa, e la pandemia ha avuto un effetto
catalizzatore su tutta una serie di problemi che ormai erano evidenti da
tempo.
Le
bolle speculative su credito e equity che circolavano nel sistema
attendevano una miccia per esplodere e la crisi finanziaria sarebbe
arrivata comunque, anche solo per una semplice recessione. Se si
continua ad insistere nell’attribuire a un virus, e cioè a un fattore
esterno, il motivo della crisi che ci attende, si continua a negare
l’evidenza di un modello finanziario ed economico che funziona solo con
eccesso di leva, compressione dei redditi, ampio debito speculativo e
pochi investimenti nell’economia reale, un modello che non è sostenibile.
E’
del tutto illusorio continuare a sostenere che la forza di un economia
dipende solo da quanto debito è in grado di fare, senza tenere conto
della qualità di questo debito e, soprattutto, di come venga utilizzato e
se produca a termine un miglioramento dei redditi reali.
Se il debito cresce decisamente più del reddito che lo deve sostenere, è ovvio che questo modello condanna a crisi inevitabili sempre più sistemiche i cui postumi compromettono la tenuta del sistema finanziario e poi di quello capitalistico.
Negli
ultimi dieci anni tutti hanno fatto tantissimo debito solo per
sostenere consumi che i redditi reali non consentivano di fare, in
particolare in USA, Canada, UK e Australia, e per fare finanza
speculativa.
Per
gli economisti della consensus view è del tutto logico accettare che il
30% dei consumi negli Stati Uniti possano dipendere solo dalla crescita
del debito e non dalla crescita dei redditi, e che la finanza possa
fare leva sull’economia senza limiti e senza controlli, grazie a regulators che si compiacciono nel vedere i mercati salire senza fine e la propensione al rischio esplodere in continue bolle speculative.
Ma
come sottolineato più volte, il problema non è se un sistema economico e
finanziario possono avere una crisi, ma se la crisi il sistema è in
grado di reggerla e di superarne il danno in tempi accettabili. Reggere
una crisi significa non rischiare di implodere tutte le volte che se ne
affronta una (come accade ormai dal 2002).
Se
poi i tempi di recupero non sono accettabili per chi ha subito il danno
(imprese e lavoratori) il sistema non regge sia da un punto di vista
economico che sociale e si apre una fase di instabilità di lungo
periodo.
I
mercati finanziari ripongono grande fiducia nelle Banche Centrali per
risolvere le crisi con operazioni basate su iniezioni di liquidità
(Quantitative Easing) e per questo motivo si spingono ad eccessi
speculativi destabilizzanti, nella convinzione che il rischio di sistema
non esiste e la liquidità è la soluzione di tutto.
Ma le cose non sono così semplici come si vuole far credere. Questo modo di pensare e di operare, con il supporto complice dei regulators, fa confondere la differenza che esiste tra liquidità e solvibilità.
La liquidità può essere infinita
ma non è detto che chi ne dispone la indirizzi verso coloro che ne
hanno bisogno, se costoro non sono in grado di restituirla perché non
solvibili. Chi di voi presterebbe soldi a chi è a rischio di fallire?
La solvibilità di un sistema
dipende esclusivamente dalla propensione al rischio di chi fornisce
credito (Banche, Fondi d’Investimento e investitori) e molta della
liquidità che circola nel sistema dipende dunque solo dalla propensione al rischio di banche ed investitori e potrebbe dunque non trasformarsi in credito per chi ne ha bisogno.
Non
è un caso che tutte le volte che la massa monetaria M2 esplode in
concomitanza con le crisi, il credito all’economia si contrae.
La
crisi che stiamo subendo avrà un pesante impatto sulla propensione al
rischio e quindi sulla circolazione della liquidità immessa nel sistema.
Se tutta la liquidità immessa con il QE non si trasforma in credito in
tempi brevi, il sistema subirà un credit crunch anche in una fase di
espansione dei bilanci delle Banche Centrali.
La crisi non finisce dunque con la fine del lockdown ma inizia quando cominciano a manifestarsi gli eventi di credito (i fallimenti) e quindi comincia adesso.
Gli eventi di credito infatti incidono sulla propensione al rischio di
chi dovrebbe dare credito al sistema. In media le recessioni negli Stati
Uniti durano circa 13 mesi, ma nel 2008 sono stati 18, e potrebbero
essere 13/18 mesi lunghissimi per il potenziale squilibrio tra liquidità
e solvibilità.
L’economia americana evidenziava a fine 2019 una dimensione di credito speculativo ad alto rischio di insolvenza di 5.200 miliardi di dollari (il 25% del PIL) già solo in caso di normale recessione.
I
recenti downgrading subiti da molte società hanno fatto recentemente
salire tale importo a oltre 6 trilioni di dollari (+20% in un solo mese e
ora il 30% del PIL). Nel 2008, che tutti ricordano come una crisi poco
divertente, tale percentuale era al 12%.
Le Teorie Monetariste,
molto in voga nelle Banche Centrali ma poco aggiornate per navigare in
una economia dove comandano debito e finanza (Debt Driven Economy), non distinguono tra liquidità e solvibilità,
perché danno per scontato che chi ha liquidità non ha una propensione
al rischio ed è pronto a prestare soldi al sistema in qualsiasi
condizione esso sia.
Credo
proprio che ora ci attendano tempi che metteranno in evidenza questa
differenza, anche se sono abbastanza certo che, sempre gli economisti
della consensus view continueranno a rimanere ancorati alle loro teorie.
In
questi ultimi due mesi, solo negli Stati Uniti, sono fallite 1.600
aziende al giorno (!) nonostante la liquidità immessa nel sistema sia al
record di sempre (Fonte: USA Census Bureau/ Deutsche Bank Ec. Research).
Il
credito al consumo per il consumatore americano si è contratto
pesantemente, cioè le Banche sono passate dall’erogare 15/20 miliardi di
dollari al mese a togliere 12 miliardi dal settore del credito al
consumo (i consumi rappresentano il 75% del Pil Usa a fine 2019).
Nessuno vuole fare pi ù
credito ai disoccupati che aumentano in modo esplosivo dato che le
banche, che hanno ricevuto la liquidità dalla FED, hanno iniziato a
pensare che chi rimane senza lavoro non può pagare le rate e quindi non è più solvibile come prima (ecco un primo esempio della differenza tra liquidità e solvibilità).
A Wall Street potrebbero obiettare che i sussidi alla disoccupazione erogati a pioggia risolveranno il problema, ma credo che chi vive di sussidi non abbia come priorità il rimborso del debito e quindi i default sono destinati a salire inesorabilmente.
A
questo punto, data la forte correlazione esistente tra il credito al
consumo e i consumi, e tra i consumi e i profitti delle società quotate,
è probabile che possa verificarsi una corporate crisi di
solvibilità delle aziende indotta da una crisi di liquidità dei credito
al consumo, come ben evidenziato da Rana Foroohar sul Financial Times del 10 maggio (Gambling on US equities is becoming more difficult).
Non
mi ricordo di aver mai assistito a un aumento del credito in una fase
di aumento dei fallimenti, sebbene nelle fasi di crisi la liquidità
immessa nel sistema dalla banca centrale aumenti, ma ovviamente non si
trasformi in credito (punto critico delle Teorie Monetariste che
utilizziamo per gestire la nostra economia).
Occorre
quindi distinguere tra liquidità, credito e solvibilità perché non sono
la stessa cosa, come invece Wall Street vuole far credere ad una massa
di investitori accecati dalla semplicità (solo apparente) di come
funziona l’economia monetaria.
Un
altro plateale esempio della differenza tra liquidità e solvibilità è
il fallimento Lehman Brothers, avvenuto nel settembre 2008, con il QE
della FED in piena operatività e con la crisi finanziaria in corso già
da nove mesi. Con tutta la liquidità che circolava nel sistema, Lehman
non avrebbe dovuto fallire… ma anche in questo caso la liquidità non si
era trasformata in credito per alcuni e molti intermediari, tra cui
Lehman, sono falliti in pieno QE.
Il recente fallimento della Hertz (autonoleggio) è avvenuto in concomitanza con l’acquisto da parte della FED di corporates Bonds
che rientravano nel piano Secondary Market Corporate Credit Facilities e
ora la FED è creditore nel fallimento Hertz che, appunto grazie a tale
piano, non avrebbe dovuto fallire.
Ma
allora a cosa servono questi interventi se poi i default avvengono
comunque? Servono a mantenere i soldi degli investitori nel sistema,
facendo credere che la liquidità e la solvibilità siano la stessa cosa.
Questo
meccanismo psicologico induce a non vendere e in questo modo sono gli
stessi investitori che, mantenendo la loro liquidità investita,
sostengono un sistema che diversamente andrebbe in default in un colpo
solo.
In pratica la
strategia consiste nel cercare di mantenere il più possibile tutti
investiti, perché la vostra liquidità è molto maggiore di quella della
FED e in realtà non è la liquidità della FED che sostiene il sistema, ma
la vostra.
Gli
interventi della FED dal 2008 ad oggi si misurano in 7 mila miliardi di
dollari ma lo stock di attività finanziarie in circolazione solo sul
mercato Usa è pari a circa 120 mila miliardi (5,5 volte il PIL).
È
del tutto evidente che la massa d’urto delle Banche Centrali è minima
rispetto alla dimensione del mercato e quindi la liquidità vera che
circola nel sistema è prevalentemente fornita sempre dal mercato e
quindi da investitori, banche e fondi d’investimento e dalla loro
propensione al rischio.
Le politiche delle Banche Centrali dal 2008 in poi hanno trasformato i portfolio managers in meri cacciatori di rendimento, inducendoli a trasformare l’attività di investimento in una mera selezione di attività finanziarie che producessero alti rendimenti senza rischio apparente, nella convinzione che le Banche Centrali avrebbero prevenuto qualsiasi crisi.
Questo
meccanismo ha spostato nettamente al rialzo la propensione al rischio
del sistema e ha fatto esplodere il credito speculativo, consentendo
l’emissione di circa 19 mila miliardi di dollari di obbligazioni da
parte di emittenti che, con i loro ricavi, non riuscivano neppure a
pagare gli interessi passivi sul debito emesso neanche in una fase di
espansione dell’economia.
Se
ora molte di queste emissioni faranno default, non si potrà certo
attribuire la colpa a un virus, ma piuttosto a un sistema totalmente
fuori controllo. A questo punto la Banca Centrale Usa si è trasformata da prestatore di ultima istanza a compratore di ultima istanza, per indurre appunto il sistema a non vendere e rimanere investito: ma ciò non impedisce comunque i fallimenti.
In
un sistema dove tutti hanno comprato, nessuno poteva infatti vendere e
la FED si è vista costretta ad entrare in un mercato finanziario che
funziona solo quando sale, mentre quando scende salta per aria.
Così
ecco le Banche Centrali acquistare Corporate Bonds, High Yields e via
dicendo, per salvare un sistema che esse stesse hanno costruito sulla
base di politiche monetarie che non conoscono ormai un limite. Ma la
parte più rilevante degli interventi, come sempre, è fatta per Wall
Street e non per Main Street, che con questa crisi evidenzia già ora 36
milioni di disoccupati che avranno aiuti certamente meno importanti di
quelli erogati ad un sistema finanziario sciagurato.
Sebbene
gli operatori dei mercati finanziari siano contenti e felici di essere
salvati e il sistema stesso, nel breve periodo, sembri beneficiarne, si
trascura l’impatto di lungo termine di questo modo gestire l’economia e
la finanza.
Sapete
perché c’è in circolazione una massa di credito a rischio di default
come mai prima nella storia? Perché il collocamento di Leverage Loans,
MBS, ABS, CMBS, CLO e High Yield di tutti i tipi produce enormi profitti
per Wall Street che accumula commissioni fino al 4%-5% (società di
rating incluse) per organizzare, cartolarizzare, collocare e poi gestire
questi strumenti che vengono distribuiti ad investitori alla ricerca di
rendimenti.
Il
rendimento per l’investitore finale è nettamente ridimensionato dalle
ricche commissioni degli intermediari che diffondono poi il rischio nel
sistema attraverso una intensa attività di distribuzione e
commercializzazione del rischio, senza alcuna vigilanza reale su dove
questi rischi vanno a finire.
La
socializzazione del capitale di rischio, ovvero soldi facili per fare
finanza speculativa ma non per fare investimenti, e la compressione
della sua remunerazione, che ne è una conseguenza, hanno compromesso la
redditività di un capitale che chiede sempre di essere salvato dai
rischi che si prende, mentre gli imprenditori dell’economia reale molto
spesso non godono dello stesso privilegio.
Se poi si viene costretti a operare su mercati che funzionano solo sul buy side (quando salgono) e non funzionano più sul sell side (quando scendono), vuol dire che ci stiamo addentrando sul terreno del sequestro velato del capitale.
In
sostanza, puoi solo comprare ma non potrai mai vendere, perché quando
vorrai vendere, lo potrai fare solo con perdite inaccettabili. Ecco
quindi che, i capitali investiti che attualmente sono in perdita,
rimangono congelati in attesa di tempi migliori, con ovvie conseguenze
per la remunerazione nel lungo termine del capitale investito.
Oggi
il trading on line da parte di investitori al dettaglio è il più
importante competitor della PlayStation. Infatti, i brokers americani
non fanno più pagare neppure le commissioni di intermediazione perché i
profitti maggiori vengono fatti finanziando i clienti per fare leva 2 o 3
o 5 volte sul capitale investito (se ti indebiti giochi gratis).
Un
recente sondaggio fatto negli Stati Uniti evidenzia che i recenti
sussidi erogati ai privati cittadini dal governo USA sono stati
utilizzati, dai percettori compresi tra le fasce di reddito di 35
mila-100 mila dollari, per i seguenti scopi: 1) accumulare risparmio, 2)
utilizzo per spese correnti, 3) trading on line (Fonte: Yodlee Data
Analytics).
Se qualcuno vuole cercare dei paragoni con il 1929, ha ampio materiale a disposizione.
Il
risultato fallimentare di questo modello economico e finanziario è
evidente e i recenti interventi delle Banche Centrali stanno dimostrando
che la socializzazione della finanza come strumento per produrre
ricchezza non funziona.
La
finanza populista di Donald Trump, che utilizza l’andamento dell’indice
di borsa per scopi elettorali, non ha prodotto benessere per gli Stati
Uniti e solo politiche economiche che rimetteranno al primo posto il
reddito da lavoro produrranno la svolta.
L’aumento
dei redditi è indispensabile per sostenere un debito non più
sostenibile con l’emissione di altro debito, una sorta di schema Ponzi
come nel 2008, quando il sistema è ripartito con lo stesso modello
fallimentare che ne aveva procurato il collasso, per poi produrne un
altro.
La
crisi indotta dal Coronavirus apre una epocale fase di trasformazione
dell’economia che produrrà alta instabilità fino a quando non si troverà
un modello migliore per gestire la crescita.
A questo punto si
dovrebbe prendere semplicemente atto che l’esasperazione del modello
basato sui profitti generati da un eccesso di leva finanziaria e da una
finanza fuori controllo ha fallito e ha prodotto il risultato opposto:
la nazionalizzazione del sistema causata da eccessi di speculazione
finanziaria, esattamente quello che è accaduto dopo la crisi del 1929.
Credo
che una grande fonte di ispirazione per gestire questa crisi si
potrebbe trovare nella rivisitazione delle politiche del New Deal, dando
ormai per scontato che la presenza dello stato nell’economia è inevitabilmente destinata a crescere, la tassazione salirà ovunque e la globalizzazione è ormai sotto attacco da tempo.
Anche
le tendenze geopolitiche sembrano accentuare questi fenomeni perché la
guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti è in realtà uno scontro
geopolitico destinato a proseguire e ad accentuarsi, creando ulteriori
problemi all’economia mondiale.
L’ultimo baluardo di difesa di questo modello economico fallimentare rimane la forza del dollaro, proprio quando invece il mondo avrebbe bisogno di un dollaro debole,
perché è la principale divisa di finanziamento a livello globale. Se
il dollaro scende, il costo del debito per chi si è indebitato in
dollari scende.
Ma
mentre prima della crisi Trump invocava un dollaro debole, ora si
accorge che la forza della moneta garantisce un flusso di capitali
vitale per il colossale debito americano (pubblico e privato),
finanziato in modo pronunciato dal risparmio estero.
Europa,
Giappone e Cina riversano fiumi di denaro sugli asset americani per
sostenere un modello finanziario ormai in crisi. Proprio la forza del
dollaro nasconde la fragilità del sistema: senza i capitali esteri l’America sarebbe praticamente in default, avendo un debito estero pari al 45% del PIL.
Per
ridurre questa dipendenza dai capitali esteri, gli americani dovrebbero
aumentare il risparmio interno e ridurre il debito, accettando un lungo
periodo di aggiustamento degli squilibri cumulati in questi ultimi
dieci anni e una bassa crescita economica. Poiché questa scelta è, al
momento, inaccettabile, ecco la FED intervenire per puntellare il
sistema e sperare che tutto torni come prima.
Purtroppo, i tempi per riparare il sistema non ci sono e
già oggi i futures sui FED Funds a scadenza dicembre 2020 e Marzo 2021
prezzano tassi negativi sulla divisa di riserva mondiale, nonostante la
FED continui ad affermare che per il dollaro i tassi negativi non
possono esistere.
Probabilmente
una parte del mercato è riuscita a sfuggire alla sovietizzazione e
preannuncia l’arrivo del cedimento dell’ultimo tassello che produrrà una
totale ristrutturazione del sistema economico e finanziario mondiale.
La
cosiddetta fase 2, il dopo lockdown, per l’economia internazionale non è
neppure cominciata e la parte più facile per gestire la crisi (ovvero
stampare moneta) è già finita. Mentre i mercati finanziari hanno già
scontato una rapida e facile ripresa, emerge in modo sempre più evidente
che la ripresa sarà lenta e deludente. Sperare che questa volta
tutto sarà risolto stampando moneta è pura arroganza finanziaria.
Difendere a oltranza un modello di crescita che non produce più
ricchezza (se non per pochi) ma solo debiti (per molti) sarà
probabilmente l’errore fatale.
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