Tormento
o delizia di ogni analista, l’Unione Europea resta l’ircocervo che si
preferisce in genere affrontare solo dal punto di vista ideologico, come
se questa strana creatura fosse davvero una “anticipazione” della fine
dei nazionalismi e non invece – come è – una struttura di regolazione
dei vari nazionalismi. Con effetti fortemente asimmetrici, quasi sempre
voluti, che avvantaggiano sempre i paesi più forti a scapito di quelli più deboli.
Come
è facile capire, dato un mercato comune (come spazio e regole), se
qualcuno ci perde (va in deficit) è perché qualcuno ci guadagna (va in
surplus).
Un
mercato comune che opera in modo sfrangiato (nazionalisticamente, a
parte qualche trattato come il Ceta con il Canada o quello con il
Mercosur) e ambisce ad essere un competitore globale all’altezza di Stati Uniti, Cina, Russia. Nel nostro linguaggio si potrebbe anche dire un imperialismo competitivo
con altri, il che getta una luce non proprio favorevole sull’immagine
di ”Europa” dipinta dalla propaganda, che cita sempre e solo Schengen e
l’Erasmus.
Per aiutare anche i più restii, pubblichiamo qui l’editoriale del Corriere della Sera di oggi, a firma di Lucrezia Reichlin (tra i nomi in ballo per il ministero dell’economia).
Articolo
notevole per chiarezza, che centra bene tutti i temi rilevanti sul
piano economico e geopolitico, le assurdità e l’idiozia dell’austerità
(non la definisce così, ma il senso è quello), la perdita di centralità
degli Usa e il ruolo comunque ingombrante del dollaro, la fragilità
esterna della gabbia Ue e l’inesistente “messa in comune” interna
(politiche comuni e condivisione dei rischi, anche finanziari). Un luogo
popolato di fessi (l’italietta degli ultimi 30 anni, con qualsiasi
governo, anche con presenza Lega e Fdi) che firmano accordi suicidi e
avvoltoi che li scrivono per beneficiarne al meglio.
Ma la Reichlin non è né una euroscettica di destra, né un’internazionalista comunista contro la Ue (nonostante i genitori…).
E
infatti, dopo aver elencato i punti di debolezza della situazione
globalle, in specifico di quella continentale, riassume il tutto in un
progetto di ridisegno della “visione europea” tale da darle
effettivamente la possibilità di “giocare alla pari” con gli altri
competitori globali.
Per riuscirci, naturalmente, bisogna superare le politiche micragnose degli ultimi 30 anni con l’obbiettivo di “una maggiore condivisione del rischio a fianco di impegni per politiche nazionali responsabili”, altrimenti “rimaniamo fragili e in balia delle scelte americane, oggi più che mai volatili e non cooperative”.
L’occasione
è ora, che – non viene ricordato, ma è “il problema europeo” per
eccellenza – la Germania sta andando in recessione, vede il suo modello
mercantilista e deflazionista (bassi salari e precarietà contrattuale)
in crisi e quindi sta preparando un aumento monstre della spesa pubblica nazionale mentre raccomanda a tutti gli altri di stringere la cinghia.
Ma
non c’è alcuna ragione di “equità” o “redistribuzione della ricchezza” a
monte di questo progetto di “riforma dei trattati”. Solo la necessità
di fare il tagliando alla macchina perché possa “competere meglio”.
Anche armandosi di più, in relativa autonomia (siamo pur sempre dentro
il trattato Nato, con basi Usa sparse un po’ ovunque sul continente).
Chi
ancora pensa che l’”europeismo” sia una “cosa di sinistra”, magari da
correggere qua e là, dovrebbe farsene finalmente una ragione.
Nessun commento:
Posta un commento