venerdì 30 agosto 2019

Anche gli ultrà europeisti vogliono “cambiare la Ue”. Per competere meglio…

Tormento o delizia di ogni analista, l’Unione Europea resta l’ircocervo che si preferisce in genere affrontare solo dal punto di vista ideologico, come se questa strana creatura fosse davvero una “anticipazione” della fine dei nazionalismi e non invece – come è – una struttura di regolazione dei vari nazionalismi. Con effetti fortemente asimmetrici, quasi sempre voluti, che avvantaggiano sempre i paesi più forti a scapito di quelli più deboli.
Come è facile capire, dato un mercato comune (come spazio e regole), se qualcuno ci perde (va in deficit) è perché qualcuno ci guadagna (va in surplus).
Un mercato comune che opera in modo sfrangiato (nazionalisticamente, a parte qualche trattato come il Ceta con il Canada o quello con il Mercosur) e ambisce ad essere un competitore globale all’altezza di Stati Uniti, Cina, Russia. Nel nostro linguaggio si potrebbe anche dire un imperialismo competitivo con altri, il che getta una luce non proprio favorevole sull’immagine di ”Europa” dipinta dalla propaganda, che cita sempre e solo Schengen e l’Erasmus.
Per aiutare anche i più restii, pubblichiamo qui l’editoriale del Corriere della Sera di oggi, a firma di Lucrezia Reichlin (tra i nomi in ballo per il ministero dell’economia).
Articolo notevole per chiarezza, che centra bene tutti i temi rilevanti sul piano economico e geopolitico, le assurdità e l’idiozia dell’austerità (non la definisce così, ma il senso è quello), la perdita di centralità degli Usa e il ruolo comunque ingombrante del dollaro, la fragilità esterna della gabbia Ue e l’inesistente “messa in comune” interna (politiche comuni e condivisione dei rischi, anche finanziari). Un luogo popolato di fessi (l’italietta degli ultimi 30 anni, con qualsiasi governo, anche con presenza Lega e Fdi) che firmano accordi suicidi e avvoltoi che li scrivono per beneficiarne al meglio.
Ma la Reichlin non è né una euroscettica di destra, né un’internazionalista comunista contro la Ue (nonostante i genitori…).
E infatti, dopo aver elencato i punti di debolezza della situazione globalle, in specifico di quella continentale, riassume il tutto in un progetto di ridisegno della “visione europea” tale da darle effettivamente la possibilità di “giocare alla pari” con gli altri competitori globali.
Per riuscirci, naturalmente, bisogna superare le politiche micragnose degli ultimi 30 anni con l’obbiettivo di “una maggiore condivisione del rischio a fianco di impegni per politiche nazionali responsabili, altrimenti “rimaniamo fragili e in balia delle scelte americane, oggi più che mai volatili e non cooperative”.
L’occasione è ora, che – non viene ricordato, ma è “il problema europeo” per eccellenza – la Germania sta andando in recessione, vede il suo modello mercantilista e deflazionista (bassi salari e precarietà contrattuale) in crisi e quindi sta preparando un aumento monstre della spesa pubblica nazionale mentre raccomanda a tutti gli altri di stringere la cinghia.
Ma non c’è alcuna ragione di “equità” o “redistribuzione della ricchezza” a monte di questo progetto di “riforma dei trattati”. Solo la necessità di fare il tagliando alla macchina perché possa “competere meglio”. Anche armandosi di più, in relativa autonomia (siamo pur sempre dentro il trattato Nato, con basi Usa sparse un po’ ovunque sul continente).
Chi ancora pensa che l’”europeismo” sia una “cosa di sinistra”, magari da correggere qua e là, dovrebbe farsene finalmente una ragione.

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