Tutto
secondo logica e copione scritto nei cieli. Giuseppe Conte risale al
Quirinale per ricevere l’incarico di formare un nuovo governo, mettendo
insieme Cinque Stelle e Partito Democratico.
Sul
piano strettamente istituzionale, non fa una piega. Nel Parlamento
eletto il 4 marzo 2018 ci sono sostanzialmente tre formazioni di
minoranza e l’unico governo possibile vien fuori dall’accorpamento di
due di queste, tenendo conto che i Cinque Stelle hanno una notevole
maggioranza relativa che impedisce soluzioni che li escludano (anche se
Pd e Lega si somigliano più di quanto non si voglia ammettere).
Al
primo tentativo sono state Lega e Cinque Stelle a formare una
coalizione fortemente mostruosa, ora si prova con l’altra soluzione. La
cosa più difficile è stata ed è farla digerire a “capi politici” (sia
del Pd che grillini) che avevano costruito il proprio “nemico giurato”
nella forza che ora devono sposare per forza. Basti guardare a quei
poveretti di Repubblica, costretti per setimane da un lato ad
appoggiare il tentativo e dall’altra “obbligati” a proseguire il
bombardamento cui Cinque Stelle decsritti come “antisistema” (anti UE,
anti euro, filocinesi, ecc) nonostante ogni evidenza contraria.
Se non si voleva andare alle elezioni immediatamente questo era l’unico governo politico
possibile, altrimenti se ne faceva uno di “garanzia elettorale”,
incaricato di firmare la legge di stabilità (che tanto viene strutturata
nei fondamentali dalla Commissione UE) e di gestire in modo un po’ meno
ad personam lo svolgimento delle elezioni (con Salvini ministro
dell’interno, dunque padrone della macchina di raccolta dei risultati,
ogni sospetto di brogli sarebbe stato legittimo e impossibile da
allontanare).
Ma
il piano istituzionale non esaurisce il problema politico. Il rapporto
tra “partiti” e popolazione è ai minimi termini, la credibilità dei
“leader” sale e scende in un attimo, la “comunicazione” ha sostituito le
differenti visioni del mondo (sciolte nel “pensiero unico
neoliberista”) e favorito la ricerca ossessiva dello slogan di facie
presa e zero durata.
Questo
governo, dunque, è come gli altri formalmente legittimo e popolarmente
non credibile. Dà tregua, togliendo qualche megafono ai leghisti (I
grandi media, specie televisivi, sono lestissimi a seguire il carro del
vincitore momentaneo), e dunque garantisce qualche mese di ordinaria
amministrazione, senza strilli generali sull’”invasione”, i “porti
chiusi”, gli inviti al pogrom contro immigrati e rom.
Ma
non risolve niente. Le dinamiche che vanno devastando il corpo sociale
restano tutte attive, e la mancanza di soluzioni non potrà che agevolare
il compito dei guastatori. Anche perché i Di Maio, gli Zingaretti e
tutto il codazzo delle seconde linee (Renzi, Calenda, Di Battista, ecc)
non riesce proprio a nascondere la propria piccineria, l’ansia di
proganismo, stile “mi si nota di più se dico questo o quest’altro”.
Aumentando l’antica certezza che “quelli lassù” a tutto pensano meno che
a diminuire I problemi della maggioranza delle figure sociali.
La stessa Lega, che alzerà i toni proporzionalmente alla restrizione ddegli spazi televisivi, è fortemente deflazionista
sul piano interno. Voleva e vuole ripristinare le “gabbie salariali”,
con stipendi differenziati per aree e regioni (più bassi comunque al
Sud), impedire l’approvazione di qualsiasi salario minimo (e dunque
protrarre il semischiavismo dei salari a 2-3 dollari l’ora, come per
riders e braccianti di qualsiasi nazionalità), favorire in ogni modo le
imprese e i ricchi (flat tax, taglio dei contributi previdenziali in
busta paga per dare l’impressione di “aumenti salariali” finanziati con
la riduzione delle entrate e dei servizi sociali), tagliare la spesa
sanitaria in dimensioni drastiche (la battuta di Giorgetti sull’inutilità dei medici di base è indicativa).
Ma
le prime indiscrezioni sulle caratteristiche della “manovra” di fine
anno, in via di concertazione tra i nuovi soci di governo, non si
discosta molto dalle linee che anche la Lega condivide. Giusto un po’
più di “reddito di inclusione” camuffato da “reddito di cittadinanza”
(spiccioli, in termini assoluti), per fare vedere che ci si preoccupa
dei più poveri (che dalla flat tax non avrebbero nessun vantaggio).
Propaganda, insomma, che accompagna le cose più importanti e meno
pubblicizzate.
C’è
da bloccare ancora una volta l’aumento automatico delle aliquote Iva, e
in genere questo significa taglio ad altre spese, oppure un aumento
delle entrate fiscali. Da questo punto di vista il prossimo ministro
dell’economia potrà contare sul un discreto pacchetto di miliardi
derivante dall’entrata in vigore della fatturazione elettronica che, pur
non essendo inaggirabile, ha comunque tagliato via un bel po’ di
evasione dell’Iva. Almeno setto-otto miliardi, secondo le stime del
ministro Tria, che consentirebbero a qualsiasi governo di limitare
interventi brutalissimi su altri capitoli di spesa.
Altri
miliardi sono disponibili per i minori esborsi relativi a “quota 100” e
reddito di cittadinanza. Quindi un po’ meno lacrime e sangue, ma
comunque una manovra dura che il prossimo anno peserà sulla popolarità
anche di questo esecutivo.
Dei
“tre governi” in uno – Lega, grillini, Unione Europea – è rimasto in
pedi soltanto quello con una solida base di potere alle spalle e con un
“programma” da cui non si può prescindere. Il prezzo maggiore lo paga
l'”alternativa farlocca” incarnata per qualche anno da i Cinque Stelle,
passati nel giro di appena diciotto mesi dal “non faremo governi insieme
a nessuno” all’aver fatto governi con tutti, senza naturalmente
cambiare assolutamente nulla.
Il
problema dell’alternativa a questa rappresentanza politica – tutta –
resta immutato, ma se non altro sono state bruciate molte cazzate
diventate “senso comune” anche in certi ambiti “di sinistra”
(l’antipolitica, “uno vale uno”, la “democrazia in rete”, “ognuno dice
la sua”, “destra e sinistra non esistono più”, ecc). La breve stagione
di successo dei grillini mostra che si può rompere lo schema del
“bipolarismo obbligato”, cui il nuovo governo Conte oggettivamente
riconduce. Sta a noi dare risposta a una domanda sociale che resta
inevasa.
La
destra per ora fa mostra di indignazione, ma è probabilmente già
iniziato lì dentro il processo di giubilazione di Salvini e la caccia a
un nuovo “leader” (che sia ovviamente un “bravo comunicatore”). Perché –
almeno a noi – sembra impossibile tenersi un “genio” capace di mandare
in fumo un capitale di potere e consenso delle dimensioni di cui era
arrivato a godere il Secondo Matteo.
Tutto
come al solito, insomma. Il lento declino determinato dall’adesione ai
trattati europei proseguirà senza scossoni troppo forti, come rane che
si adeguano alla temperatura dell’acqua nell pentola, fino a ritrovarsi
bollite.
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