Compiti
ardui si preannunciano per le rinnovate istituzioni europee,
Parlamento, Commissione e BCE. L’Unione non ha di fronte a sé solo il
problema strutturale della bassa crescita economica che ha
caratterizzato gli scorsi dieci anni, ed i pericolosi segnali di un
forte rallentamento anche in Germania, ma le questioni che furono
lasciate irrisolte ai tempi del Trattato di Maastricht nel 1992,
aggravatesi di recente per via dei difetti che caratterizzano anche
l’architettura dell’euro.
Con
la consueta lucidità, Paolo Savona, Presidente della Consob, ha messo a
fuoco questi temi nel suo intervento al Meeting di CL: permane ampio il
divario nei livelli debiti pubblici tra i diversi Paesi; gli ampi
differenziali nei tassi di interesse pagati sui titoli di Stato, gli
spread, rallentano i processi di risanamento finanziario e la
crescita economica; i vincoli istituzionali posti alla Bce non solo le
inibiscono la possibilità di stroncare tempestivamente la speculazione,
intervenendo come Lender of last resort, ma soprattutto le impediscono
di operare in modo asimmetrico, correggendo le distorsioni esistenti.
Gli
acquisti di titoli di Stato attraverso il Qe ne sono un esempio
lampante: avendo utilizzato come criterio di ripartizione le quote di
partecipazione al capitale della Bce, si è proceduto massicciamente
anche nei confronti dei Bund, che sono per definizione i safe asset dell’Eurozona con il risultato di far precipitare i tassi a livelli negativi.
Un comportamento paradossale, con conseguenze distorsive: mentre gli investitori cercano disperatamente titoli sicuri, i safe asset,
la Bce glieli sottraeva. Con una conseguenza ulteriore, ancor peggiore
per l’intera economia europea: non essendoci Bund a sufficienza, la
liquidità immessa dalla Bce si è riversata sui titoli di Stato
americani, altro safe asset, che pagano tassi positivi.
Savona
ha dunque messo in luce i difetti della costruzione dell’Eurozona, ed i
vincoli che la Bce ed il suo Governatore Mario Draghi sono costretti a
rispettare. Quest’ultimo, anzi, ha il merito di aver ribaltato la
strategia monetaria restrittiva lasciatagli in eredità da Jean-Claude
Trichet, battezzata Exit Strategy. Draghi, in carica dal
settembre 2011, ha recuperato immediatamente gli errori della precedente
gestione monetaria, sia tagliando i tassi che lanciando a cavallo tra
la fine dell’anno e l’inizio del 2012 ben due operazioni di Ltro,
illimitate nelle quantità di liquidità disponibili ed a tasso minimo.
Purtroppo,
ha sottolineato Savona, già a quel tempo molte imprese italiane avevano
subito danni irreparabili: i ritardi e gli errori della Bce sono stati
compiuti prima che Draghi si insediasse.
Ora, bisogna pensare al futuro.
Punto primo: occorre accelerare la riduzione dei debiti pubblici ed abbattere i differenziali dei tassi pagati sugli interessi.
E’ indispensabile intervenire a favore degli Stati che, come l’Italia,
non possono operare solo sul versante dell’avanzo primario in condizioni
di tassi di interesse assai elevati.
Anziché
insistere sugli eurobond, che implicano una sorta di solidarietà che
non è politicamente accettata dai Paesi con un basso livello di debito,
Savona ha proposto sin da giugno scorso di attivare l’ESM (European
Stability Mechanism): questa istituzione, emettendo titoli che il
mercato considera safe asset, spunterebbe tassi estremamente
convenienti. Se così facesse, mentre si offrirebbero al mercato i titoli
sicuri di cui è alla ricerca, dall’altra si presterebbe il ricavato
agli Stati che, come l’Italia, ne beneficerebbero in termini di tassi di
interesse più modesti.
Azzerando
per un paio d’anni le emissioni nette, e limitandosi dunque al solo
rinnovo del debito in scadenza, anche per questa via si ridurrebbe il
costo degli interessi, avviando anche lo spread verso lo zero. Un
prestito del genere, assistito da privilegi a favore dell’ESM,
consentirebbe anche il finanziamento degli investimenti pubblici in
infrastrutture che aumenterebbero la produttività. Tutto passa, dunque,
da una completa riprogrammazione del bilancio pubblico
Punto secondo:
occorre riportare l’intera struttura dei tassi di interesse europei ad
un livello fisiologicamente positivo. L’attuale, endemica, situazione di
tassi nominali negativi sui bond e sui depositi bancari ha conseguenze
pesantemente negative: non solo taglieggia il risparmio, ma penalizza
anche il sistema bancario per via della mortificazione del margine di
intermediazione.
Questa situazione va corretta, innanzitutto riducendo gli acquisti da parte della Bce di safe asset,
quali i Bund: una riproposizione del Qe dovrebbe quindi adottare un
criterio di ripartizione degli acquisti di titoli pubblici che escluda
quelli che hanno già rendimenti pari a zero, o addirittura negativi.
D’altra
parte, concentrando gli acquisti sui titoli che pagano un tasso più
elevato, si accelera anche il riequilibrio dei fattori di costo
finanziario tra le diverse economie: non vi è nessuna ragione al mondo,
infatti, che giustifichi ancora il maggiore onere per interessi pagato
dalle imprese italiane rispetto alle concorrenti, diverso dal loro
merito di credito. Le imprese italiane pagano un premio al rischio
sproporzionatamente alto, e penalizzante in termini di competitività,
solo a causa dell’operare in un Paese che ha un alto debito pubblico.
Occorre rimediare anche a questa distorsione della concorrenza sul
mercato.
Punto terzo:
una struttura di tassi di interesse estremamente diversa tra Usa ed
Eurozona, penalizzante per i capitali impiegati in quest’ultima,
comporta un deflusso di valuta che indebolisce l’euro sul dollaro.
Questo elemento, a sua volta, determina il prolungarsi di uno squilibrio
commerciale che gli Stati Uniti ritengono inaccettabile.
Non
c’è nessun motivo al mondo, anche in questo caso, che giustifichi un
differenziale di interessi così elevato tra Bund e Treasury bond,
neppure il tasso di inflazione. Se volgiamo evitare una esasperazione
dei conflitti commerciali e del protezionismo da parte degli Usa,
occorre provvedere tempestivamente: il Presidente americano Trump ha già
messo nel mirino la debolezza dell’euro dovuta alla politica monetaria.
Anche per questo, chiede alla Fed di tagliare i tassi.
Quarta, ed ultima questione.
Dopo anni trascorsi a discutere degli zerovirgola, di deficit
lillipuziani che violavano le regole del Fiscal Compact e non delle
ragioni di fondo che perpetuano in Italia un debito pubblico
elevatissimo, ora è la Germania che si trova a fronteggiare una
situazione economica e finanziaria assai pesante.
Sarebbe
curioso consentirle ora un ampio deficit per finanziare investimenti
pubblici e sgravi fiscali dell’ordine di una cinquantina di miliardi di
euro, come si va leggendo, solo perché ha un basso livello di debito
pubblico. Dopo aver imposto l’austerità fiscale ed i fallimenti bancari
ai suoi concorrenti, ora si tirerebbe fuori dalle secche lasciando tutti
gli altri ancora una volta al palo. Con investimenti in nuove
tecnologie, in campo informatico ed ambientale, ricostruirebbe le basi
per una nuova dominanza.
Occorre
un quadro d’insieme: la Germania ha beneficiato per un verso, e subìto
per l’altro, le conseguenze delle regole imposte alla Bce. In Germania,
la forte riduzione nel rapporto debito/pil è stata determinata
dall’abbassamento dei tassi di interesse, ormai negativi su tutte le
scadenze di emissione. Ma questi ultimi penalizzano fortemente le banche
ed i risparmiatori tedeschi: la recentissima scarsa affluenza all’asta
dei Bund a scadenza trentennale, al cui esito è stata piazzato un
importo inferiore alla metà del preventivato, dimostra la ritrosia degli
investitori ad accettare ancora una penalizzazione anziché un premio
per l’impiego dei capitali.
Avrebbe
dunque tutto da guadagnare da un ripensamento da parte della Bce del
criterio acquisto dei titoli in un nuovo Qe, che riporti i tassi a
valori fisiologicamente positivi. Del pari, avrebbe interesse ad una
profonda revisione dello Statuto del Mes che gli consenta sia di
emettere safe asset per prestarne il provento agli Stati, come auspicato
da Savona per l’Italia, sia per fronteggiare situazioni di crisi di
banche sistemiche come potrebbe accadere a qualche istituto tedesco già
in difficoltà. Si sgraverebbe, così facendo, la Bce e la politica
monetaria da compiti impropri.
In
Italia, elezioni o no, occorre affrontare tutti questi temi. Sono
questioni, apparentemente solo tecniche, che hanno risvolti economici e
sociali enormi: sono le regole a cui si conformerà il futuro dell’intera
Unione, non solo dell’Italia. Già da mesi, d’altra parte, Paolo Savona
ha sollecitato la Commissione ad aprire un dibattito sulla Politeia.
La
questione dei debiti pubblici eccessivi, rimasta irrisolta ai tempi del
Trattato di Maastricht, si è riproposta con la recente, pesantissima
crisi. Non si risolve solo con l’austerità e con i sacrifici, se non si
cambiano alcuni aspetti dell’architettura europea. Non è un problema
solo dell’Italia, ma un pericolo per la tenuta della moneta unica e
della stessa Unione: una nuova crisi sarebbe fatale.
Coloro
che hanno a cuore la costruzione europea, e soprattutto la Germania che
ha tratto immensi vantaggi dalla introduzione dell’euro, dovrebbero
aprire gli occhi e provvedere. Prima che sia troppo tardi.