La vittoria del referendum del 4 dicembre ha bloccato solo una delle
strade tentate per stravolgere la Costituzione. Altre manovre sono in
corso, a partire dalla legge elettorale. il Fatto quotidiano, 27 luglio
2017, con postilla
La vittoria del No non basta ad impedire nuovi tentativi di stravolgimento della Costituzione. Abbassare la guardia sarebbe un errore, come sottovalutare la forza e la determinazione delle potenti forze che in Italia e all’estero hanno spinto Renzi a tentare di deformare la Costituzione. La proposta di Renzi – bocciata il 4 dicembre 2016 – è solo la forma che ha assunto in Italia una scelta politica e istituzionale autoritaria e accentratrice. Panebianco ha proposto che le future modifiche debbano riguardare tutta la Costituzione, principi compresi, non più solo la parte istituzionale. Del resto il tentativo di modificare il patto costituzionale uscito dalla Resistenza e dall’intesa tra le forze fondamentali dell’epoca ha radici antiche.
Né è casuale che l’Istituto Leoni rilanci la flat tax, con il conseguente stravolgimento della progressività e dell’universalità dei diritti sociali, cambiando di fatto la prima parte della Costituzione. Le dichiarazioni fatte durante la campagna referendaria che la prima parte della Costituzione non era in discussione celavano in realtà il boccone più ambito, da affrontare una volta risolto il problema dei meccanismi decisionali in senso autoritario. Del resto nel mondo ci sono tendenze autoritarie: dalla simpatia delle grandi corporation per i regimi non democratici, fino alle derive autoritarie in Turchia, in Ungheria con il bavaglio alla stampa, in Polonia con l’attacco all’autonomia della magistratura. La pressione è contro le procedure democratiche, viste come inutili pastoie che ritardano le decisioni delle corporation e dei gruppi di potere. Il pensiero stesso è semplificato e primordiale e la società che prefigura è autoritaria, anzitutto sotto il profilo culturale. È già accaduto negli Usa, la destra ha preparato gli stravolgimenti partendo dal piano culturale, con l’obiettivo di trasformare un nuovo pensiero dominante in unico, talora in un dogma di Stato. Qualcosa del genere sta accadendo anche in Italia, la destra è all’attacco di principi fondamentali, la reazione è debolissima. La responsabilità politica e culturale del gruppo dirigente a trazione renziana è di avere buttato alle ortiche i valori della sinistra, una rottamazione dei principi. Pensiamo al fisco: la progressività del prelievo è stata abbandonata e sulla casa sono state tolte le tasse ai ricchi; sono stati approvati condoni a raffica, ora in proroga, con le stesse motivazioni di Tremonti. Sinistra e destra hanno sempre avuto un confine: il no, di principio, ai condoni. Questo argine è stato fatto saltare. Dove stanno ora le differenze? Ora è in preparazione un altro stravolgimento costituzionale e questa volta l’attacco riguarderà insieme meccanismi decisionali e principi, cioè i diritti fondamentali delle persone: lavoro, diritti, sanità, stato sociale. Per respingere questo tentativo il primo appuntamento è la legge elettorale, che non a caso nel disegno renziano era tutt’uno con le modifiche costituzionali. Il prossimo parlamento avrà un ruolo importante per respingere questi tentativi. Non si può che concordare con Onida: “Rinnegare i principi non vorrebbe dire rivedere la Costituzione ma stravolgerne i principi supremi… un salto indietro di due secoli”. Un parlamento eletto con i residui di Porcellum e Italicum, composto da nominati dai capipartito e non da eletti dai cittadini sarebbe subalterno ai poteri dominanti. Un parlamento rappresentativo, che risponde agli elettori, potrebbe impedire lo stravolgimento dell’assetto costituzionale, perfino imporne l’attuazione.
La nuova legge elettorale sarà uno spartiacque. Questo è drammaticamente sottovalutato. Troppi continuano a credere che una modalità elettorale vale l’altra. Non è così. Una legge elettorale che consenta di eleggere un parlamento rappresentativo, consapevole del suo ruolo, sarà decisiva per garantire la Costituzione. Altrimenti la destra rilancerà il presidenzialismo.
Il comitato per il No ha il merito di avere dato legittimità culturale e politica al No contro la deformazione costituzionale, impedendo il monopolio della destra. Ma anche a sinistra occorre chiarezza. Il No non è una linea del passato. Il 4 dicembre non basta ad impedire nuovi tentativi e la legge elettorale ancora non c’è. Sì e No non sono sullo stesso piano. Il Sì avrebbe fornito al gruppo di potere renziano le credenziali presso le forze che vogliono il cambiamento ad ogni costo della nostra Costituzione in modo che una minoranza di elettori diventi maggioranza comunque. Il No ha bloccato questo percorso.
La vittoria del No non basta ad impedire nuovi tentativi di stravolgimento della Costituzione. Abbassare la guardia sarebbe un errore, come sottovalutare la forza e la determinazione delle potenti forze che in Italia e all’estero hanno spinto Renzi a tentare di deformare la Costituzione. La proposta di Renzi – bocciata il 4 dicembre 2016 – è solo la forma che ha assunto in Italia una scelta politica e istituzionale autoritaria e accentratrice. Panebianco ha proposto che le future modifiche debbano riguardare tutta la Costituzione, principi compresi, non più solo la parte istituzionale. Del resto il tentativo di modificare il patto costituzionale uscito dalla Resistenza e dall’intesa tra le forze fondamentali dell’epoca ha radici antiche.
Né è casuale che l’Istituto Leoni rilanci la flat tax, con il conseguente stravolgimento della progressività e dell’universalità dei diritti sociali, cambiando di fatto la prima parte della Costituzione. Le dichiarazioni fatte durante la campagna referendaria che la prima parte della Costituzione non era in discussione celavano in realtà il boccone più ambito, da affrontare una volta risolto il problema dei meccanismi decisionali in senso autoritario. Del resto nel mondo ci sono tendenze autoritarie: dalla simpatia delle grandi corporation per i regimi non democratici, fino alle derive autoritarie in Turchia, in Ungheria con il bavaglio alla stampa, in Polonia con l’attacco all’autonomia della magistratura. La pressione è contro le procedure democratiche, viste come inutili pastoie che ritardano le decisioni delle corporation e dei gruppi di potere. Il pensiero stesso è semplificato e primordiale e la società che prefigura è autoritaria, anzitutto sotto il profilo culturale. È già accaduto negli Usa, la destra ha preparato gli stravolgimenti partendo dal piano culturale, con l’obiettivo di trasformare un nuovo pensiero dominante in unico, talora in un dogma di Stato. Qualcosa del genere sta accadendo anche in Italia, la destra è all’attacco di principi fondamentali, la reazione è debolissima. La responsabilità politica e culturale del gruppo dirigente a trazione renziana è di avere buttato alle ortiche i valori della sinistra, una rottamazione dei principi. Pensiamo al fisco: la progressività del prelievo è stata abbandonata e sulla casa sono state tolte le tasse ai ricchi; sono stati approvati condoni a raffica, ora in proroga, con le stesse motivazioni di Tremonti. Sinistra e destra hanno sempre avuto un confine: il no, di principio, ai condoni. Questo argine è stato fatto saltare. Dove stanno ora le differenze? Ora è in preparazione un altro stravolgimento costituzionale e questa volta l’attacco riguarderà insieme meccanismi decisionali e principi, cioè i diritti fondamentali delle persone: lavoro, diritti, sanità, stato sociale. Per respingere questo tentativo il primo appuntamento è la legge elettorale, che non a caso nel disegno renziano era tutt’uno con le modifiche costituzionali. Il prossimo parlamento avrà un ruolo importante per respingere questi tentativi. Non si può che concordare con Onida: “Rinnegare i principi non vorrebbe dire rivedere la Costituzione ma stravolgerne i principi supremi… un salto indietro di due secoli”. Un parlamento eletto con i residui di Porcellum e Italicum, composto da nominati dai capipartito e non da eletti dai cittadini sarebbe subalterno ai poteri dominanti. Un parlamento rappresentativo, che risponde agli elettori, potrebbe impedire lo stravolgimento dell’assetto costituzionale, perfino imporne l’attuazione.
La nuova legge elettorale sarà uno spartiacque. Questo è drammaticamente sottovalutato. Troppi continuano a credere che una modalità elettorale vale l’altra. Non è così. Una legge elettorale che consenta di eleggere un parlamento rappresentativo, consapevole del suo ruolo, sarà decisiva per garantire la Costituzione. Altrimenti la destra rilancerà il presidenzialismo.
Il comitato per il No ha il merito di avere dato legittimità culturale e politica al No contro la deformazione costituzionale, impedendo il monopolio della destra. Ma anche a sinistra occorre chiarezza. Il No non è una linea del passato. Il 4 dicembre non basta ad impedire nuovi tentativi e la legge elettorale ancora non c’è. Sì e No non sono sullo stesso piano. Il Sì avrebbe fornito al gruppo di potere renziano le credenziali presso le forze che vogliono il cambiamento ad ogni costo della nostra Costituzione in modo che una minoranza di elettori diventi maggioranza comunque. Il No ha bloccato questo percorso.
Nessun commento:
Posta un commento