La crisi della globalizzazione neoliberista che si sta manifestando a
diverse latitudini, e che è stata dimostrata in maniera eclatante dalla
vittoria della campagna per la Brexit nel Regno Unito e dal successo di
Donald Trump nelle presidenziali americane, ha risuscitato una delle
più antiche e polverose tra tutte le nozioni politiche: l'idea di
sovranità.
Di solito intesa come l'autorità dello Stato di
governare sul suo territorio, la sovranità è stata a lungo considerata
un residuo del passato in un mondo sempre più globale e interconnesso.
Ma oggi questo principio viene invocato in maniera quasi ossessiva
dall'insieme di nuove formazioni populiste e dai nuovi leader che sono
emersi a sinistra e a destra dell'orizzonte politico a seguito della
crisi finanziaria del 2008.
La campagna per la Brexit in Gran
Bretagna, con la sua richiesta di "riprendere il controllo", si è
incentrata sulla riconquista della sovranità dall'Unione europea,
accusata di privare il Regno Unito del controllo sui propri confini.
Nella campagna presidenziale americana Donald Trump ha fatto della
sovranità il suo leitmotiv. Ha sostenuto che il suo piano
sull'immigrazione e la sua proposta di revisione degli accordi
commerciali avrebbero garantito «prosperità, sicurezza e sovranità» al
paese. In Francia, Marine Le Pen pronuncia la parola "sovranità" ad ogni
buona occasione, nel contesto delle sue filippiche contro l'Unione
europea, la migrazione e il terrorismo, e ha reso chiaro che questa idea
sarà l'architrave della sua campagna per le prossime elezioni
presidenziali francesi. In Italia il Movimento 5 Stelle ha spesso fatto
appello al principio di sovranità. Uno dei suoi leader, Alessandro di
Battista, ha recentemente dichiarato che «la sovranità appartiene al
popolo» e che l'Italia dovrebbe abbandonare l'euro per riacquistare il
controllo sulla propria economia.
La questione della sovranità
non è stata solo appannaggio delle formazioni di destra e di centro.
Richieste di recupero della sovranità sono venute anche da sinistra, un
campo in cui questo principio è stato a lungo guardato con grande
sospetto, a causa della sua associazione con il nazionalismo. In Spagna,
Pablo Iglesias, il leader di Podemos, la nuova formazione populista di
sinistra fondata ad inizio 2014, ha spesso descritto se stesso come un
"soberanista" e ha adottato un discorso fortemente patriottico, facendo
appello all'orgoglio e alla storia nazionali. Pur rifiutando la Brexit,
Iglesias ha sostenuto che gli Stati nazionali devono recuperare la loro
«capacità sovrana» all'interno della UE. Negli Stati Uniti, Bernie
Sanders ha criticato ferocemente la finanza globale e, in modo simile a
Donald Trump, il commercio internazionale. In merito al Partenariato
Trans-Pacifico (TPP), un trattato commerciale tra gli Stati Uniti e 11
paesi nell'area pacifica, Sanders ha sostenuto che avrebbe «minato la
sovranità degli Stati Uniti».
La rivendicazione progressista
dell'idea di sovranità può essere fatta risalire al cosiddetto
"movimento delle piazze" del 2011, un'ondata di proteste che comprende
la primavera araba, gli indignados spagnoli, gli aganaktismenoi greci e
Occupy Wall Street. Nonostante questi movimenti siano stati spesso
descritti come "neo-anarchici", in continuità con la lunga ondata di
movimenti anti-autoritari, anarchici ed autonomi post-1968, una delle
loro caratteristiche chiave è stata la domanda di carattere tipicamente
populista, piuttosto che neo-anarchico, di recupero della sovranità e
dell'autorità politica a livello locale e nazionale in opposizione alle
élite finanziarie e politiche.
Le risoluzioni delle assemblee
popolari di Occupy Wall Street hanno spesso invocato il preambolo «We
the People» della Costituzione americana, e hanno chiesto un recupero
delle istituzioni dello Stato da parte del popolo e una regolamentazione
del sistema bancario per contrastare la speculazione finanziaria e
immobiliare. Anche nelle acampadas spagnole e greche, la sovranità è
emersa come una questione centrale nelle discussioni su come resistere
al potere della finanza e della Banca centrale europea, accusate di
frustrare la volontà del popolo.
Questa abbondanza di riferimenti
alla sovranità sia alla destra che alla sinistra dello spettro politico
suggeriscono come la sovranità sia diventata il significante chiave nel
discorso politico contemporaneo: un termine che costituisce un campo di
battaglia discorsivo e politico in cui si decideranno le sorti
dell'egemonia politica nell'era post-neoliberista, e che determinerà se
la biforcazione post-neoliberista prenderà una direzione progressiva o
regressiva.
Questo nuovo orizzonte solleva questioni scottanti
per la sinistra, che finora è stata tiepida nell'abbracciare la
questione della sovranità. L'associazione della sovranità con lo
Stato-nazione, con la sua lunga storia di conflitti internazionali e di
controlli repressivi sui migranti, hanno portato molti a concludere che
questo principio sia inconciliabile con una politica realmente
progressista. Tuttavia bisogna notare che la sovranità - e in
particolare la sovranità popolare - ha costituito un concetto
fondamentale nello sviluppo della sinistra moderna, come si vede nel
lavoro di Jean-Jacques Rousseau e nella sua influenza sui giacobini e
sulla rivoluzione francese. Può la rivendicazione di sovranità vista
nelle proteste del 2011, e nel discorso di Podemos e Bernie Sanders,
preannunciare l'emergere di una nuova sinistra post-neoliberista che
ritorna a vedere la questione della sovranità come un elemento chiave
per costruire il potere popolare e combattere le disuguaglianze estreme e
il deficit democratico che attanagliano le nostre società? Quali forme
di sovranità possono essere realisticamente recuperate in un mondo
interconnesso a livello globale? E fino a che punto è davvero possibile
sviluppare in senso progressista l'idea di sovranità?
Riprendere il controllo in un mondo fuori controllo
Il ritorno della questione della sovranità negli dibattiti politici
contemporanei rivela che ci troviamo di fronte ad una profonda crisi del
neoliberismo, che sta dando nuova linfa alla domanda di controllo
democratico sulla politica e sulla società, che erano considerate
superate nell'era neoliberista.
La crisi finanziaria del 2008,
con il disagio sociale che ha prodotto per milioni di persone, ha messo a
nudo molte contraddizioni di fondo che erano visibili solo in parte
negli anni '90 e primi anni 2000, quando il neoliberismo era trionfante.
Le ansie che caratterizzano questa fase di transizione si concentrano
particolarmente su una serie di flussi - commercio, finanza e persone -
che costituiscono il sistema circolatorio dell'economia globale.
Se al culmine dell'era neoliberista, questi flussi - e prima di tutto i
flussi finanziari e commerciali - venivano presentati dalla classe
dirigente e percepiti dalla maggior parte della popolazione come
fenomeni positivi e fonte di ricchezza, in un mondo caratterizzato dalla
stagnazione economica, dall'insicurezza e dall'instabilità geopolitica,
la globalizzazione e i suoi flussi appaiono a molti più come una fonte
di rischio che di opportunità: forze che mettono in ridicolo ogni
pretesa di controllo delle istituzioni politiche sul territorio che
ricade nella loro giurisdizione.
È da questa percezione di
assenza di controllo che scaturisce quel desiderio di "riprendere il
controllo" che è la cifra del populismo contemporaneo, come abbiamo
visto nello slogan più famoso della Brexit: riprendere il controllo come
risposta ad un mondo che appare fuori controllo a causa dell'effetto
destabilizzante dei flussi globali che sfuggono al controllo delle
istituzioni democratiche.
La percezione di una perdita di
controllo territoriale riflette il modo in cui la globalizzazione
neoliberista ha scientificamente demolito le diverse forme di autorità e
regolazione territoriale, nella speranza di trasformare il pianeta in
un "spazio liscio", facilmente attraversato da flussi di capitali, merci
e servizi. La sovranità è stata di fatto il nemico giurato del
neoliberismo, come si vede nei frequenti attacchi lanciati contro questo
principio nella teoria economica neoclassica e nella filosofia
neoconservatrice che ha informato lo sviluppo del neoliberismo. Autori
come Ludwig von Mises, Friedrich von Hayek e Milton Friedman hanno
considerato le istituzioni sovrane come ostacoli agli scambi economici e
ai flussi finanziari; interferenze al primato del mercato e alla
libertà economica di imprenditori e consumatori. Gli Stati-nazione
avrebbero dovuto lasciare spazio ad un mercato globale, l'unico
legittimo sovrano secondo la Weltanschauung neoliberista.
Questo
progetto ha trovato la sua applicazione concreta nelle politiche
neoliberiste di deregolamentazione economica e finanziaria che sono
state sviluppate a partire dalla fine del regime di Bretton Woods e
dalla crisi petrolifera del 1973, per poi esplodere negli anni '80 e
'90. Le grandi imprese multinazionali che si sono sviluppate nel secondo
dopoguerra hanno costituito presto una minaccia al potere territoriale
degli Stati-nazione, che hanno spesso ricattato con la minaccia di
trasferire altrove le proprie attività per ottenere normative fiscali e
sul lavoro più favorevoli ai loro interessi. La creazione dei paradisi
fiscali, che è andata di pari passo con lo sviluppo delle
multinazionali, è servita come mezzo per vanificare il controllo sovrano
sulla tassazione e sui flussi di capitale. Come descritto da Nicholas
Shaxson in Le isole del tesoro, i paradisi fiscali hanno sovvertito il
sistema di sovranità territoriale, rivolgendo questo principio contro se
stesso e rivendicando sovranità per piccole isole e micro-Stati come il
Lichtenstein o San Marino, usati come una sorta di covo dei pirati:
territori extraterritoriali in cui nascondere proventi illeciti
sottratti alle tesorerie nazionali. Gli espedienti utilizzati negli
ultimi anni da aziende digitali come Google, Facebook e Amazon per
evadere le tasse non sono che l'ultimo capitolo di questo attacco di
lunga data alla sovranità fiscale.
Inoltre, la liberalizzazione
commerciale, realizzata attraverso una serie di trattati commerciali
globali e la formazione dell'Organizzazione mondiale del commercio, è
stata anch'essa finalizzata a indebolire la sovranità degli
Stati-nazione, privandoli di qualsiasi capacità di proteggere le loro
industrie locali attraverso l'uso delle tariffe e altre barriere
commerciali, ed esponendo così i lavoratori ad una corsa al ribasso
globale sul salario e sulle condizioni di lavoro.
Dunque,
nonostante il sospetto che alberga a sinistra rispetto all'idea di
sovranità, è evidente che è stato esattamente il suo svuotamento il
fattore che ha consentito gli effetti più nefasti del neoliberismo. È
stata la demolizione delle giurisdizioni sovrane attraverso i paradisi
fiscali e i trattati di libero commercio che ha favorito l'accumulazione
di immense ricchezze da parte dei super-ricchi, a spese della gente
comune, portando ad una situazione in cui, come documentato da un famoso
rapporto della ONG britannica Oxfam pubblicato nel gennaio 2016, 62
persone controllano il 50% della ricchezza mondiale.
Alla luce di
questi effetti nefasti della guerra del neoliberismo contro la
sovranità, non dovrebbe sorprendere nessuno che di fronte alla crisi
dell'ordine neoliberista, la sovranità venga vista nuovamente come un
elemento necessario per costruire un ordine politico e sociale
alternativo. Al centro di questa nuova politica della sovranità c'è la
domanda di nuove forme di autorità territoriale per controllare i flussi
globali: quei flussi che il neoliberismo ha visto come necessariamente
virtuosi, e che molti oggi percepiscono più come una minaccia al loro
benessere e alla loro sicurezza.
La domanda di sovranità è il
punto nodale della politica post-neoliberista e il punto di
sovrapposizione tra il populismo di destra e di sinistra, tra la
politica di Trump e quella Sanders, tra la visione del Movimento 5
Stelle e quella di Podemos. Tuttavia i nuovi populisti di destra e di
sinistra sono in profondo disaccordo rispetto a cosa si intenda
esattamente per sovranità, quali siano i flussi globali che
costituiscono effettivamente un rischio per la sicurezza e il benessere e
che dovrebbero quindi essere controllati. Se l'idea di sovranità è al
centro della disputa politica, la battaglia che si gioca intorno a
questo concetto ha a che fare in buona parte con il significato che le
viene assegnato, e il contenuto politico che ne consegue.
La sovranità popolare contro la sovranità nazionale
Ciò che il discorso della sovranità proposto da formazioni e candidati
altrimenti agli antipodi come Trump e Sanders, Brexiters e Podemos hanno
in comune è l'idea che per costruire un nuovo ordine sociale sulle
macerie della globalizzazione neoliberista sia necessario rivendicare il
diritto di comunità politiche definite su base territoriale (che si
tratti di comuni, regioni, nazioni o continenti) di gestire la loro vita
collettiva in modo relativamente autonomo dalle interferenze esterne;
ovvero rivendicare alle comunità un certo grado di indipendenza rispetto
alle forze e ai flussi globali che sembrano frustare qualsiasi
tentativo di controllo reale da parte delle comunità sul proprio
destino. Questa comunanza spiega come mai, nonostante le loro enormi
differenze, ci siano dei punti di sovrapposizione tra populisti di
destra e di sinistra. Ad esempio Trump e Sanders hanno entrambi proposto
forme di protezionismo economico, e di intervento dello Stato
nell'economia, attraverso uno stimolo alla costruzione di nuove
infrastrutture.
Fatta eccezione per tali elementi di somiglianza,
la sinistra e la destra populista sono in profondo disaccordo rispetto a
ciò che significa realmente la sovranità, e che tipo di controllo
territoriale debba essere ricostruito. Per i populisti xenofobi di
destra, la sovranità è prima di tutto la sovranità nazionale, proiettata
su un immaginario etnico Blut und Boden ('sangue e suolo'), spesso
definito lungo linee etniche e isolazioniste e mobilitato contro coloro -
stranieri e migranti - che sembrano mettere in dubbio l'omogeneità e la
sicurezza del popolo. La visione di sovranità che si associa a questa
logica politica riecheggia la filosofia politica di Thomas Hobbes, per
cui la sovranità si reggeva sulla garanzia di sicurezza e protezione
offerta dal sovrano ai suoi sudditi.
Il tipo di flusso globale
che questa visione reazionaria della sovranità considera come la
minaccia principale è evidentemente la migrazione. La sovranità in
questa prospettiva significa innanzitutto la chiusura delle frontiere ai
migranti, compresi i profughi in fuga dalla guerra, ma anche
l'emarginazione delle minoranze interne indesiderate, e in particolare
dei musulmani, sospettati di mettere in pericolo la sicurezza e la
coesione sociale. Questa interpretazione xenofoba della sovranità era
evidente nel dibattitto sulla Brexit, dove la campagna "Leave" ha vinto
sfruttando la paura dei migranti, percepiti e additati come responsabili
per il calo dei salari e il peggioramento dei servizi pubblici.
La visione progressiva della sovranità che è al centro della politica
populista di sinistra, da Podemos a Bernie Sanders, ha un'accezione
molto diversa. Essa rivendica la sovranità come sovranità popolare e non
solo nazionale. Inoltre vede la sovranità come mezzo di inclusione - di
reintegrazione nello Stato di una cittadinanza che da esso si sente
alienata - piuttosto che di esclusione. Questa rinnovata domanda
progressista di sovranità è memore degli albori della sinistra moderna,
tra la fine del 18esimo secolo e l'inizio del 19esimo secolo. L'idea di
sovranità popolare è stata invocata negli scritti di Jean-Jacques
Rousseau, in cui era centrale l'idea che il potere doveva passare dalle
mani del monarca a quelle del popolo, e ha profondamente influenzato i
giacobini e la rivoluzione francese e le insurrezioni popolari del
19esimo secolo. Tuttavia l'idea di sovranità è caduta in discredito
presso molti movimenti radicali durante l'era neoliberista. La sovranità
è stata vista come un concetto autoritario, estraneo a una politica di
emancipazione, come visto nella critica di questo concetto sviluppata da
Michael Hardt e Antonio Negri in Impero. Tuttavia la nuova sinistra
populista che è sorta dopo il crash finanziario del 2008 ha riscoperto
la questione della sovranità, e si è convinta che una vera democrazie è
impossibile senza il recupero di forme di autorità territoriale.
Il recupero progressista dell'idea di sovranità, come proposto da
fenomeni come Sanders e Podemos, ha come principale nemico le banche,
gli imprenditori senza scrupoli ed i politici corrotto al loro soldo,
non gli stranieri, i rifugiati e le minoranze etniche. I flussi della
finanza e del commercio, piuttosto che i flussi migratori, sono quelli
che vengono visti come la principale minaccia al benessere e alla
sicurezza delle comunità. In questo contesto la sovranità è concepita
come un'arma che può essere usata dal Popolo contro l'Oligarchia, dai
Molti contro i Pochi, dall'insieme della cittadinanza contro tutte
quelle élite che prevaricano la volontà popolare: l'alta finanza che fa
leva sulla mobilità dei capitali in un mondo senza frontiere per
demolire ogni pretesa di controllo sull'economia, e i potentati
internazionali, come la troika e il Fondo monetario internazionale, che
vedono la democrazia come un pericolo per i mercati.
Se leader
populisti progressisti come Iglesias e Sanders spesso hanno fatto uso di
sentimenti patriottici e hanno visto lo Stato-nazione come lo spazio
centrale di mobilitazione contro il sistema neoliberista, la loro
visione di sovranità è certamente più multi-scala e inclusiva di quella
del populismo di destra e comprende il livello locale, regionale,
nazionale e continentale. La sovranità è stata infatti spesso invocata
anche a livello locale dalle formazioni "municipaliste" che hanno
conquistato i governi locali di Madrid e Barcellona. Le amministrazioni
di Manuela Carmena e Ada Colau hanno usato il potere delle giurisdizione
locali per sostenere l'economia locale, limitare i processi di
gentrificazione e combattere la rapacità delle compagnie della
cosiddetta "sharing economy", come Airbnb e Uber. Bernie Sanders si è
invece appellato alla sovranità delle comunità dei nativi americani, in
occasione delle proteste contro la costruzione dell'oleodotto Dakota
Access Pipeline (DAPL).
È evidente che in un mondo globalizzato e
interconnesso come quello in cui viviamo, una vera sovranità popolare,
per essere efficace, deve essere esercitata anche a livello
sovranazionale. Il caos provocato in Gran Bretagna dalla Brexit, e
l'incertezza che ha generato sul futuro economico del paese, dimostrano
che non è possibile nell'era contemporanea un semplice ritorno alla
scala nazionale, o quantomeno quest'opzione non è possibile per gli
Stati-nazione europei, che sono troppo piccoli per poter esercitare un
reale controllo su processi economici di scala planetaria. Una politica
progressista della sovranità deve trovare il necessario bilanciamento
tra il livello nazionale e quello sovranazionale. Questo è il motivo per
cui le richieste di democratizzare l'Europa come quelle avanzate dal
movimento DIEM25 guidato dall'ex ministro delle Finanze greco Yanis
Varoufakis sono così importanti.
Confini porosi
Una
visione progressiva della sovranità deve ammettere che lo Stato-nazione
non è l'unico spazio di esercizio della sovranità, e che nel mondo
contemporaneo la sovranità funziona a diverse scale, tutte con la loro
legittimità, e tutte utilizzabili come un mezzo per perseguire un
programma politico progressista. Viviamo del resto in un tempo in cui il
luogo della sovranità è incerto e la definizione stessa di sovranità è
oggetto di uno scontro simbolico. In questi tempi siamo chiamati a
ripensare e reinventare la sovranità per adattarla ai contorni mutevoli
di territori, diritti e istituzioni. Dobbiamo costruire nuove
territorialità, concepite non come uno spazio a chiusura stagna, ma
piuttosto come uno spazio delimitato da confini porosi, che possono
essere aperti a migranti e rifugiati ed al contempo chiusi ai flussi di
capitale speculativi e a forme dannose di commercio globale.
Il
futuro ci dirà quale visione di sovranità sarà quella che prevarrà nel
panorama post-neoliberista e se saranno i populisti di sinistra o di
destra a vincere la battaglia per l'egemonia in questa nuova fase. Al
momento è la destra populista ad apparire in chiaro vantaggio. Questo è
dovuto da un lato al fatto che la maggioranza delle persone continua ad
associare la politica della sovranità con lo Stato-nazione ed il
nazionalismo, e in parte a causa delle esitazioni delle forze di
sinistra e dei movimenti sociali nel rivendicare il principio di
sovranità.
Ciò che è chiaro è che la sinistra non può permettersi
il lusso di lasciare il discorso della sovranità alla destra. La
domanda di recupero della sovranità scaturisce da un'esperienza reale di
sofferenza e di umiliazione scatenata dalla demolizione neoliberista
delle forme di protezione offerte un tempo dello Stato-nazione. Per
rispondere alla rabbia e al disordine provocato dalla crisi economica,
politica e morale del neoliberismo, la sinistra ha urgente bisogno di
costruire una visione progressiva della sovranità nella quale il
controllo del territorio non significhi l'esclusione degli stranieri e
delle minoranze etniche e religiose, ma l'inclusione di diverse comunità
a livello locale, nazionale e transnazionale nelle decisioni che le
riguardano.