Sono solo proposte avanzate verbalmente, neppure sulla carta di
progetti legislativi, ma quanto è stato discusso tra Governo e Sindacati
sul terreno delicatissimo delle pensioni è già oggetto da parte degli
organi d’informazione di una vera e propria campagna di mistificazione.
La realtà viene nascosta da titoli devianti rispetto alla realtà che nascondono i diversi progetti di provvedimento.
Prendiamo ad esempio, ma soltanto come esempio, le due pagine che Repubblica dedica all’argomento.
Il titolo in alto recita : Pensioni a 63 anni e minime più alte. Governo e sindacati firmano l’accordo”. E il catenaccio: “Sei miliardi alla previdenza in un triennio. No tax area, tutele per i lavoratori precoci”.
Qual è la realtà di partenza, tanto per cominciare?
L'età media all'incasso del primo assegno Inps, in particolare, è aumentata di tre anni per le pensioni di vecchiaia (dai 62,5 del 2009 ai 65,6 del 2014) e di quasi un anno per quelle di anzianità (dai 59 anni ai 59,9 anni).
Il bilancio sociale 2014 presentato da Tito Boeri mostra la difficile situazione in cui si trovano molti pensionati. Quasi un pensionato su due, il 42,5%, pari a circa 6,5 milioni d’individui, percepisce un reddito pensionistico medio inferiore a mille euro mensili. Tra questi, il 12,1% non arriva a 500 euro al mese. E le sorprese non finiscono qui perché l’Inps ha comunque il bilancio ancora in rosso. Il saldo tra entrate e uscite evidenzia un disavanzo complessivo di 7 miliardi, benché nel 2014 abbia erogato 20.920.255 pensioni, tra cui 17.188.629 pensioni previdenziali, ossia invalidità, vecchiaia e superstiti, per circa 243,514 miliardi di euro e 3.731.626 pensioni assistenziali. Il reddito medio più basso è dei pensionati residenti al Sud: 1.151 euro; al Nord si sale a 1.396 euro, mentre al Centro si arriva a 1.418 euro.
Questa dunque sommariamente la situazione di partenza.
Entriamo ora nel dettaglio dell’attualità.
Sotto il titolo “L’anticipo pensionistico, via dal lavoro prima con il prestito” è presentata l’APE : punto d’intesa, del resto, che rimane ancora del tutto aperto.
A parte i lavoratori che le aziende mettono fuori per ristrutturazioni o riorganizzazioni (accollandosi però anche il costo dell'Ape) e quelli che rientrano nell'Ape sociale, tutti gli altri - la stragrande maggioranza dei 350 mila potenziali italiani interessati all'Anticipo pensionistico - dovranno pagare di tasca propria la possibilità di ritirarsi sino a tre anni prima. Quanto? Secondo alcune simulazioni, come quelle di Progetica, anche un quarto del futuro assegno previdenziale (quello che s’incassa dal compimento dei 66 anni e 7 mesi, il requisito di legge per andare in pensione). Con una postilla non da poco: la metà della futura rata andrà a ripagare banche e assicurazioni, dunque il sistema finanziario che di fatto rende fattibile l'intera operazione, altrimenti impossibile alla nostra finanza pubblica.
L’ipotesi più probabile è quella di una ridottissima funzione dell’APE in quanto pochissimi potranno usufruirne restando in possesso di un assegno degno di questo nome.
Così com’è accaduto per la previdenza complementare.
In Italia la partecipazione alla previdenza complementare appare ancora limitata. A fine 2015 gli iscritti ammontavano a circa 7,3 milioni e le risorse destinate alle prestazioni avevano raggiunto i 139 miliardi di euro; si tratta di un valore pari a circa l’8,1% del Pil e il 3,3% delle attività finanziarie delle famiglie italiane. Il tasso di adesione risulta pari al 25,6% rispetto alla forza lavoro e al 29,5% rispetto agli occupati. Per i dipendenti del settore privato il tasso di adesione supera il 33%, con valori diversificati per dimensione aziendale. Si stima un valore prossimo al 50% nelle imprese con almeno 50 addetti che scende al 20% nelle imprese di minore dimensione.
Su questo elemento risiede un altro punto di mistificazione giornalistica: il titolo è “Sgravi fiscali sull’assegno integrativo”.
Ma, come abbiamo visto, questo riguarda soltanto una parte molto limitata della platea interessata all’universo pensionistico.
Addirittura si prevede che chi richiede l’APE potrà affiancare questa richiesta con l’anticipo dell’altra pensione, quella integrativa usufruendo di una “riduzione” non precisata sul piano fiscale. Tassazione che, nel frattempo, il governo Renzi ha innalzato dall’11,5 % al 20%.
Terzo passaggio: una mensilità in più per 3,3 milioni (sempre seguendo il titolo di Repubblica)
La famosa “quattordicesima”.
Per chi si colloca al di sotto dei 750 euro mensili non ci sarà il raddoppio dei 40 euro, bensì, come ha fatto intendere il sottosegretario Nannicini il 30% di aumento, quindi 12 euro in più, che per fare “sciato” saranno versati in unica soluzione.
Nella sostanza gli assegni in più, versati a luglio, corrisponderanno (su pensioni collocate tra i 750 e i 1000 euro al mese) a una fascia di 446 euro (15 anni di contributi), 546 (25 anni), 655 (più di 25 anni).
Infine,la questione della “no tax area” che salirà fino agli 8.125 euro annui (625 euro al mese) soltanto per gli “over 74”: una platea molto limitata, se andiamo a vedere le cifre complessive delle pensioni al di sotto della soglia.
Senza dimenticare la questione degli esodati: siamo ormai all’ottava salvaguardia che così si configura:
1) 1.542 esodati con una contribuzione insufficiente per il diritto alla pensione;
2) 1.779 sprovvisti di una delle condizioni accessorie previste dai singoli provvedimenti;
3) 14.010 non ammessi alle precedenti tutele per via del fatto che maturano tardivamente il diritto all’assegno previdenziale. Si tratta di: 3.099 con decorrenza fra il 7 gennaio 2017 e il 2018 e ulteriori 10mila che maturano l’assegno fra il 2018 e il 2045. Ammontano a circa una decina i lavoratori che hanno decorrenza oltre il 2030, la maggioranza infatti (si parla di 9mila esodati) l’ha entro il 2025.
Per quel che riguarda gli esodati il tema della decorrenza della pensione costituisce una questione centrale
Proprio su questo aspetto il nuovo intervento di ottava salvaguardia dovrebbe allungare la rete. Il disegno di legge presentato alla Camera, e come detto ora in attesa in commissione Lavoro, prevede di tutelare all’incirca 32mila esodati, quelli che maturano la pensione entro il 2019, nonostante la decorrenza dell’assegno sia successiva a questa stessa data.
Si ricorda inoltre che la liquidazione del trattamento pensionistico è stata completata nell’estate appena trascorsa per la seconda salvaguardia .
Questo quadro, fatto di piccole cifre per chi ci vive a stento e per di più presi in giro da chi calcola il proprio guiderdone nell’ordine delle migliaia di euro immessi nella cerchia del “sempre meglio che lavorare” si colloca in una situazione generale così composta:
Disoccupazione giovanile. 37,9% in Italia, in Europa la media è del 22%
In generale : a luglio il tasso di disoccupazione all’11,4%,
Nel 2015 il dato di povertà assoluta ha coinvolto il 6,1% delle famiglie.
Inoltre e davvero infine
Il rapporto realizzato dall'organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) ha mostrato come nella maggior parte dei Paesi la disuguaglianza di reddito abbia raggiunto livelli record.
Secondo il rapporto, nei 34 Paesi membri dell'Ocse il dieci per cento più ricco della popolazione ha un reddito corrispondente a 9.6 volte quello del 10 per cento più povero.
In Italia il 21 per cento più ricco della popolazione detiene il 60 per cento della ricchezza del Paese, mentre il 40 per cento più povero ne controlla solamente il 4.9 per cento.
Una differenza, stando ai dati, accentuata soprattutto dalla crisi economica: tra il 2007 e il 2011, il 10 per cento più povero degli italiani ha perso il 4 per cento della ricchezza, contro l'1 per cento perso dal 10 per cento più ricco.
Le disuguaglianze del reddito non riflettono tanto il tasso di disoccupazione, quanto piuttosto la dispersione salariale, ovvero la differenza di salario tra persone che svolgono simili impieghi.
Dati che non richiedono commento di sorta.
Intanto ci si balocca con le favole del turismo, del cibo, del ponte sullo Stretto, delle Olimpiadi in un Paese privo di piano industriale, incapace di una seria politica di intervento pubblico.
Un paese dove l’evasione fiscale si situa a livello stratosferici: secondo il Rapporto sull’evasione fiscale 2014 pubblicato ministero dell’Economia basato su dati Istat, l’entità del sommerso nazionale nel 2008 oscillava tra i 255 e i 275 miliardi di euro, cifre che in percentuali rappresentano il 16,3% e il 17,5% del PIL.
Un paese dove Cantone proibisce di parlare di corruzione e invece: Nella ventunesima edizione del CPI, l’Italia si classifica al 61° posto nel mondo, così l’Italia rimane ancora in fondo alla classifica europea, seguita solamente dalla Bulgaria e dietro altri Paesi generalmente considerati molto corrotti come Romania e Grecia, entrambi in 58° posizione con un punteggio di 46.
Un Paese nel quale la presenza della criminalità organizzata appare evidente: mafia, n’drangheta, camorra, sacra corona unita così come l’allargamento delle attività economiche coperte da parte di queste organizzazioni ben al di fuori dei territori di riferimento tradizionale.
In realtà, tornando al tema pensionistico, ci sarà un trascinamento propagandistico che arriverà al 4 Dicembre, data del referendum, poi il tutto si dileguerà come neve al sole com’è stato nel caso del Job Act, senza dimenticare il fallimento dell’operazione anticipo del TFR in busta paga.
La realtà viene nascosta da titoli devianti rispetto alla realtà che nascondono i diversi progetti di provvedimento.
Prendiamo ad esempio, ma soltanto come esempio, le due pagine che Repubblica dedica all’argomento.
Il titolo in alto recita : Pensioni a 63 anni e minime più alte. Governo e sindacati firmano l’accordo”. E il catenaccio: “Sei miliardi alla previdenza in un triennio. No tax area, tutele per i lavoratori precoci”.
Qual è la realtà di partenza, tanto per cominciare?
L'età media all'incasso del primo assegno Inps, in particolare, è aumentata di tre anni per le pensioni di vecchiaia (dai 62,5 del 2009 ai 65,6 del 2014) e di quasi un anno per quelle di anzianità (dai 59 anni ai 59,9 anni).
Il bilancio sociale 2014 presentato da Tito Boeri mostra la difficile situazione in cui si trovano molti pensionati. Quasi un pensionato su due, il 42,5%, pari a circa 6,5 milioni d’individui, percepisce un reddito pensionistico medio inferiore a mille euro mensili. Tra questi, il 12,1% non arriva a 500 euro al mese. E le sorprese non finiscono qui perché l’Inps ha comunque il bilancio ancora in rosso. Il saldo tra entrate e uscite evidenzia un disavanzo complessivo di 7 miliardi, benché nel 2014 abbia erogato 20.920.255 pensioni, tra cui 17.188.629 pensioni previdenziali, ossia invalidità, vecchiaia e superstiti, per circa 243,514 miliardi di euro e 3.731.626 pensioni assistenziali. Il reddito medio più basso è dei pensionati residenti al Sud: 1.151 euro; al Nord si sale a 1.396 euro, mentre al Centro si arriva a 1.418 euro.
Questa dunque sommariamente la situazione di partenza.
Entriamo ora nel dettaglio dell’attualità.
Sotto il titolo “L’anticipo pensionistico, via dal lavoro prima con il prestito” è presentata l’APE : punto d’intesa, del resto, che rimane ancora del tutto aperto.
A parte i lavoratori che le aziende mettono fuori per ristrutturazioni o riorganizzazioni (accollandosi però anche il costo dell'Ape) e quelli che rientrano nell'Ape sociale, tutti gli altri - la stragrande maggioranza dei 350 mila potenziali italiani interessati all'Anticipo pensionistico - dovranno pagare di tasca propria la possibilità di ritirarsi sino a tre anni prima. Quanto? Secondo alcune simulazioni, come quelle di Progetica, anche un quarto del futuro assegno previdenziale (quello che s’incassa dal compimento dei 66 anni e 7 mesi, il requisito di legge per andare in pensione). Con una postilla non da poco: la metà della futura rata andrà a ripagare banche e assicurazioni, dunque il sistema finanziario che di fatto rende fattibile l'intera operazione, altrimenti impossibile alla nostra finanza pubblica.
L’ipotesi più probabile è quella di una ridottissima funzione dell’APE in quanto pochissimi potranno usufruirne restando in possesso di un assegno degno di questo nome.
Così com’è accaduto per la previdenza complementare.
In Italia la partecipazione alla previdenza complementare appare ancora limitata. A fine 2015 gli iscritti ammontavano a circa 7,3 milioni e le risorse destinate alle prestazioni avevano raggiunto i 139 miliardi di euro; si tratta di un valore pari a circa l’8,1% del Pil e il 3,3% delle attività finanziarie delle famiglie italiane. Il tasso di adesione risulta pari al 25,6% rispetto alla forza lavoro e al 29,5% rispetto agli occupati. Per i dipendenti del settore privato il tasso di adesione supera il 33%, con valori diversificati per dimensione aziendale. Si stima un valore prossimo al 50% nelle imprese con almeno 50 addetti che scende al 20% nelle imprese di minore dimensione.
Su questo elemento risiede un altro punto di mistificazione giornalistica: il titolo è “Sgravi fiscali sull’assegno integrativo”.
Ma, come abbiamo visto, questo riguarda soltanto una parte molto limitata della platea interessata all’universo pensionistico.
Addirittura si prevede che chi richiede l’APE potrà affiancare questa richiesta con l’anticipo dell’altra pensione, quella integrativa usufruendo di una “riduzione” non precisata sul piano fiscale. Tassazione che, nel frattempo, il governo Renzi ha innalzato dall’11,5 % al 20%.
Terzo passaggio: una mensilità in più per 3,3 milioni (sempre seguendo il titolo di Repubblica)
La famosa “quattordicesima”.
Per chi si colloca al di sotto dei 750 euro mensili non ci sarà il raddoppio dei 40 euro, bensì, come ha fatto intendere il sottosegretario Nannicini il 30% di aumento, quindi 12 euro in più, che per fare “sciato” saranno versati in unica soluzione.
Nella sostanza gli assegni in più, versati a luglio, corrisponderanno (su pensioni collocate tra i 750 e i 1000 euro al mese) a una fascia di 446 euro (15 anni di contributi), 546 (25 anni), 655 (più di 25 anni).
Infine,la questione della “no tax area” che salirà fino agli 8.125 euro annui (625 euro al mese) soltanto per gli “over 74”: una platea molto limitata, se andiamo a vedere le cifre complessive delle pensioni al di sotto della soglia.
Senza dimenticare la questione degli esodati: siamo ormai all’ottava salvaguardia che così si configura:
1) 1.542 esodati con una contribuzione insufficiente per il diritto alla pensione;
2) 1.779 sprovvisti di una delle condizioni accessorie previste dai singoli provvedimenti;
3) 14.010 non ammessi alle precedenti tutele per via del fatto che maturano tardivamente il diritto all’assegno previdenziale. Si tratta di: 3.099 con decorrenza fra il 7 gennaio 2017 e il 2018 e ulteriori 10mila che maturano l’assegno fra il 2018 e il 2045. Ammontano a circa una decina i lavoratori che hanno decorrenza oltre il 2030, la maggioranza infatti (si parla di 9mila esodati) l’ha entro il 2025.
Per quel che riguarda gli esodati il tema della decorrenza della pensione costituisce una questione centrale
Proprio su questo aspetto il nuovo intervento di ottava salvaguardia dovrebbe allungare la rete. Il disegno di legge presentato alla Camera, e come detto ora in attesa in commissione Lavoro, prevede di tutelare all’incirca 32mila esodati, quelli che maturano la pensione entro il 2019, nonostante la decorrenza dell’assegno sia successiva a questa stessa data.
Si ricorda inoltre che la liquidazione del trattamento pensionistico è stata completata nell’estate appena trascorsa per la seconda salvaguardia .
Questo quadro, fatto di piccole cifre per chi ci vive a stento e per di più presi in giro da chi calcola il proprio guiderdone nell’ordine delle migliaia di euro immessi nella cerchia del “sempre meglio che lavorare” si colloca in una situazione generale così composta:
Disoccupazione giovanile. 37,9% in Italia, in Europa la media è del 22%
In generale : a luglio il tasso di disoccupazione all’11,4%,
Nel 2015 il dato di povertà assoluta ha coinvolto il 6,1% delle famiglie.
Inoltre e davvero infine
Il rapporto realizzato dall'organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) ha mostrato come nella maggior parte dei Paesi la disuguaglianza di reddito abbia raggiunto livelli record.
Secondo il rapporto, nei 34 Paesi membri dell'Ocse il dieci per cento più ricco della popolazione ha un reddito corrispondente a 9.6 volte quello del 10 per cento più povero.
In Italia il 21 per cento più ricco della popolazione detiene il 60 per cento della ricchezza del Paese, mentre il 40 per cento più povero ne controlla solamente il 4.9 per cento.
Una differenza, stando ai dati, accentuata soprattutto dalla crisi economica: tra il 2007 e il 2011, il 10 per cento più povero degli italiani ha perso il 4 per cento della ricchezza, contro l'1 per cento perso dal 10 per cento più ricco.
Le disuguaglianze del reddito non riflettono tanto il tasso di disoccupazione, quanto piuttosto la dispersione salariale, ovvero la differenza di salario tra persone che svolgono simili impieghi.
Dati che non richiedono commento di sorta.
Intanto ci si balocca con le favole del turismo, del cibo, del ponte sullo Stretto, delle Olimpiadi in un Paese privo di piano industriale, incapace di una seria politica di intervento pubblico.
Un paese dove l’evasione fiscale si situa a livello stratosferici: secondo il Rapporto sull’evasione fiscale 2014 pubblicato ministero dell’Economia basato su dati Istat, l’entità del sommerso nazionale nel 2008 oscillava tra i 255 e i 275 miliardi di euro, cifre che in percentuali rappresentano il 16,3% e il 17,5% del PIL.
Un paese dove Cantone proibisce di parlare di corruzione e invece: Nella ventunesima edizione del CPI, l’Italia si classifica al 61° posto nel mondo, così l’Italia rimane ancora in fondo alla classifica europea, seguita solamente dalla Bulgaria e dietro altri Paesi generalmente considerati molto corrotti come Romania e Grecia, entrambi in 58° posizione con un punteggio di 46.
Un Paese nel quale la presenza della criminalità organizzata appare evidente: mafia, n’drangheta, camorra, sacra corona unita così come l’allargamento delle attività economiche coperte da parte di queste organizzazioni ben al di fuori dei territori di riferimento tradizionale.
In realtà, tornando al tema pensionistico, ci sarà un trascinamento propagandistico che arriverà al 4 Dicembre, data del referendum, poi il tutto si dileguerà come neve al sole com’è stato nel caso del Job Act, senza dimenticare il fallimento dell’operazione anticipo del TFR in busta paga.
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