Come ridurre lo spreco di cibo in Italia? Secondo l’analisi diffusa
oggi, durante giornata di studio organizzata a Roma dall’associazione
Greenaccord e Arsial Lazio, ogni anno nel nostro Paese passando dal
terreno alla tavola si sprecano oltre 5 milioni di tonnellate di cibo:
falle che mandano in fumo «un controvalore economico pari a 12,6
miliardi di euro», come precisano dall’Agenzia laziale, e rappresentano
uno schiaffo inaccettabile sia per i 4,5 milioni di poveri italiani sia
per l’ecosistema.
Se non si indagano in profondità i tanti aspetti del fenomeno, difficilmente si può arrivare a risolvere i problemi che esso provoca. Francesco Maria Ciancaleoni, area ambiente e territorio della Coldiretti, sottolinea come in Italia «la maggiore responsabilità è nel consumo, visto che lì si contano il 54% delle perdite. Un modello efficace è quello di prossimità che prevede il riavvicinamento tra chi produce e chi consuma: si tratta di un modello che porta vantaggi sociali e ambientali concreti in termini di riduzione degli sprechi».
Ma per cambiare concretamente rotta è necessario l’apporto di tutti i componenti della filiera, dal produttore al consumatore passando per la distribuzione. A fornire numeri e scenari mondiali sul fenomeno dello spreco alimentare è stata Marcela Villareal, direttrice Divisione partenariati, attività promozionali e sviluppo della Fao, che ha ribadito la necessità di una rivoluzione culturale: «Il 44% della popolazione mondiale negli Anni ‘80 viveva in estrema povertà. Oggi è il 10%, nonostante questo ci sono ancora 800 milioni di persone che soffrono di fame cronica». Secondo uno studio dell’organizzazione Onu «un terzo del cibo prodotto al mondo viene perso durante il processo di produzione o sprecato durante la consumazione. Parliamo di 1,3 miliardi di tonnellate sprecate o perse ogni anno. Una quantità pari a quella che produce l’Africa in cibo». Per combattere queste realtà «serve realizzare gli impegni dell’Agenda 2030 – continua Villareal – che prevedono il dimezzamento degli sprechi e l’introduzione di sistemi di monitoraggio all’interno dei singoli Paesi».
Sprecare 1,3 miliardi di tonnellate di alimenti, dalla materia prima ai prodotti trasformati, significa infatti perpetrare gravissimi danni economici e ambientali, che valgono ben il 7% delle emissioni di gas serra mondiale prodotte.
«È arrivato il momento di una seria riflessione sulla riconquista di valore, non solo economico ma anche etico e culturale del cibo – conclude il presidente di Greenaccord, Alfonso Cauteruccio – Non solo gli attori delle filiere produttive e le catene di distribuzione ma ogni famiglia, soprattutto noi privilegiati residenti nel mondo ricco, è chiamato a ripensare i propri stili di consumo».
Se non si indagano in profondità i tanti aspetti del fenomeno, difficilmente si può arrivare a risolvere i problemi che esso provoca. Francesco Maria Ciancaleoni, area ambiente e territorio della Coldiretti, sottolinea come in Italia «la maggiore responsabilità è nel consumo, visto che lì si contano il 54% delle perdite. Un modello efficace è quello di prossimità che prevede il riavvicinamento tra chi produce e chi consuma: si tratta di un modello che porta vantaggi sociali e ambientali concreti in termini di riduzione degli sprechi».
Ma per cambiare concretamente rotta è necessario l’apporto di tutti i componenti della filiera, dal produttore al consumatore passando per la distribuzione. A fornire numeri e scenari mondiali sul fenomeno dello spreco alimentare è stata Marcela Villareal, direttrice Divisione partenariati, attività promozionali e sviluppo della Fao, che ha ribadito la necessità di una rivoluzione culturale: «Il 44% della popolazione mondiale negli Anni ‘80 viveva in estrema povertà. Oggi è il 10%, nonostante questo ci sono ancora 800 milioni di persone che soffrono di fame cronica». Secondo uno studio dell’organizzazione Onu «un terzo del cibo prodotto al mondo viene perso durante il processo di produzione o sprecato durante la consumazione. Parliamo di 1,3 miliardi di tonnellate sprecate o perse ogni anno. Una quantità pari a quella che produce l’Africa in cibo». Per combattere queste realtà «serve realizzare gli impegni dell’Agenda 2030 – continua Villareal – che prevedono il dimezzamento degli sprechi e l’introduzione di sistemi di monitoraggio all’interno dei singoli Paesi».
Sprecare 1,3 miliardi di tonnellate di alimenti, dalla materia prima ai prodotti trasformati, significa infatti perpetrare gravissimi danni economici e ambientali, che valgono ben il 7% delle emissioni di gas serra mondiale prodotte.
«È arrivato il momento di una seria riflessione sulla riconquista di valore, non solo economico ma anche etico e culturale del cibo – conclude il presidente di Greenaccord, Alfonso Cauteruccio – Non solo gli attori delle filiere produttive e le catene di distribuzione ma ogni famiglia, soprattutto noi privilegiati residenti nel mondo ricco, è chiamato a ripensare i propri stili di consumo».
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