Per molti era il candidato “segreto” di Renzi e Berlusconi. E’ stato
tenuto nascosto quasi fino alla consegna ufficiale delle liste, poi è
stato gettato nella mischia. Per la corsa a sindaco di Roma c’è anche
lui: Patto di nome, del Nazareno di cognome. Con un Guido Bertolaso
ormai bollito ed un Roberto Giachetti sfiatato, il cavaliere ed il suo
vero erede, sono stati costretti a correre ai ripari, prima che fosse
troppo tardi per giocarsi la possibilità di andare almeno al
ballottaggio.
Virginia Raggi e Giorgia Meloni, le due signore in corsa per il Campidoglio, fanno sul serio e continuano a macinare consensi. Gli attacchi all’indirizzo della candidata grillina, condotti dall’Unità e da Libero, hanno sortito solo l’effetto di rafforzarla. I suoi presunti scheletri nell’armadio (il praticantato nello studio Previti, il ruolo di presidente del consiglio di amministrazione dell’Hgr, una società romana vicina a Franco Panzironi ed il video “bufala” della campagna elettorale di Forza Italia del 2008, rilanciato dall’Unità sulla base delle segnalazioni di alcuni utenti via Twitter che avevano scambiato grossolanamente una comparsa per la candidata M5s a sindaco di Roma), non hanno distratto l’elettorato che continua a vederla di buon occhio. A vuoto stanno andando anche i colpi sparati dai vari Fini, Alemanno e Storace contro l’ex mascotte e sodale, Giorgia Meloni. Sobria nelle uscite pubbliche e mediaticamente abile la prima; tignosa e più abituata alla piazza la seconda. Entrambe intenzionate a non mollare nemmeno un centimetro lungo la strada che porta alla poltrona che è stata fino a pochi mesi fa di Ignazio Marino.
Una brutta gatta da pelare per Renzi, sponsor dell’ex radicale, verde e margheritino Giachetti, che faceva affidamento sull’abilità di Berlusconi nel coagulare attorno alla Forza Italia attuale, sempre più in fase di smobilitazione nonostante i proclami battaglieri, un centrodestra innocuo, senza i numeri per puntare al bersaglio grosso. Lo smarcamento degli scissionisti Salvini-Meloni, insospettiti dalla forte puzza di “desistenza” proveniente dalle truppe fedeli al cavaliere, e la crescita nei sondaggi di Virginia Raggi, però, hanno imposto un cambio di passo e di spartito, con una soluzione di riserva e di salvataggio. Requisiti richiesti: trasversalismo, presenza nei salotti buoni romani e profilo da Partito della Nazione. Con poco tempo a disposizione, prima del gong, la scelta è caduta, obbligatoriamente, su uno dei candidati già in corsa.
Ci ha pensato Silvio Berlusconi a perferzionarla. Fuori Bertolaso, dentro Alfio Marchini, il Ridge Forrester romano. La prima scelta azzurra (com’è stata poi definita dal cavaliere), lo spauracchio della minoranza dem che nelle ore successive alle dimissioni di massa del Pd per mandare a casa Marino, a cui si erano aggiunte anche quelle dell’ingegnere, aveva parlato di “un’operazione spregiudicata” e di “embrione del partito della Nazione, con Alfio Marchini candidato sindaco”.
Un sospetto tramutatosi in certezza. Se Giachetti dovesse steccare, toccherà a Marchini scongiurare il rischio di scossoni politici ad un palmo di naso dal Governo. In nome del Nazareno.
Virginia Raggi e Giorgia Meloni, le due signore in corsa per il Campidoglio, fanno sul serio e continuano a macinare consensi. Gli attacchi all’indirizzo della candidata grillina, condotti dall’Unità e da Libero, hanno sortito solo l’effetto di rafforzarla. I suoi presunti scheletri nell’armadio (il praticantato nello studio Previti, il ruolo di presidente del consiglio di amministrazione dell’Hgr, una società romana vicina a Franco Panzironi ed il video “bufala” della campagna elettorale di Forza Italia del 2008, rilanciato dall’Unità sulla base delle segnalazioni di alcuni utenti via Twitter che avevano scambiato grossolanamente una comparsa per la candidata M5s a sindaco di Roma), non hanno distratto l’elettorato che continua a vederla di buon occhio. A vuoto stanno andando anche i colpi sparati dai vari Fini, Alemanno e Storace contro l’ex mascotte e sodale, Giorgia Meloni. Sobria nelle uscite pubbliche e mediaticamente abile la prima; tignosa e più abituata alla piazza la seconda. Entrambe intenzionate a non mollare nemmeno un centimetro lungo la strada che porta alla poltrona che è stata fino a pochi mesi fa di Ignazio Marino.
Una brutta gatta da pelare per Renzi, sponsor dell’ex radicale, verde e margheritino Giachetti, che faceva affidamento sull’abilità di Berlusconi nel coagulare attorno alla Forza Italia attuale, sempre più in fase di smobilitazione nonostante i proclami battaglieri, un centrodestra innocuo, senza i numeri per puntare al bersaglio grosso. Lo smarcamento degli scissionisti Salvini-Meloni, insospettiti dalla forte puzza di “desistenza” proveniente dalle truppe fedeli al cavaliere, e la crescita nei sondaggi di Virginia Raggi, però, hanno imposto un cambio di passo e di spartito, con una soluzione di riserva e di salvataggio. Requisiti richiesti: trasversalismo, presenza nei salotti buoni romani e profilo da Partito della Nazione. Con poco tempo a disposizione, prima del gong, la scelta è caduta, obbligatoriamente, su uno dei candidati già in corsa.
Ci ha pensato Silvio Berlusconi a perferzionarla. Fuori Bertolaso, dentro Alfio Marchini, il Ridge Forrester romano. La prima scelta azzurra (com’è stata poi definita dal cavaliere), lo spauracchio della minoranza dem che nelle ore successive alle dimissioni di massa del Pd per mandare a casa Marino, a cui si erano aggiunte anche quelle dell’ingegnere, aveva parlato di “un’operazione spregiudicata” e di “embrione del partito della Nazione, con Alfio Marchini candidato sindaco”.
Un sospetto tramutatosi in certezza. Se Giachetti dovesse steccare, toccherà a Marchini scongiurare il rischio di scossoni politici ad un palmo di naso dal Governo. In nome del Nazareno.
Nessun commento:
Posta un commento