venerdì 22 novembre 2013

LA RINUNCIA DEGLI IDEALI DA PARTE DELLA POLITICA

Gli italiani hanno ormai talmente fatto abitudine alla consuetudine dei loro politici di rinunciare ai propri ideali personali allo scopo di privilegiare gli “interessi superiori” del partito che ormai questa cosa non fa nemmeno più notizia. E invece dovrebbe.
Li senti argomentare seri e compunti davanti al cronista televisivo per spiegare agli italiani che loro hanno una idea diversa, quella decisione non la condividono, tuttavia loro sono persone serie e responsabili, quindi “fanno un passo indietro” (No, non come la Cancellieri, che invece ne ha fatto uno in avanti, per far capire che in Italia un Ministro della Giustizia può, essendo un privilegio riservato a quelli del suo livello, telefonare personalmente ad una amica in carcere per garantirle tutto il proprio sostegno come si conviene ad una persona di buon cuore che non abbandona mai gli amici).
No, non scherziamo, il parlamentare “responsabile” fa davvero una rinuncia sofferta, e per giustificarsi si appella alla ragione superiore: “Mi adeguo alla disciplina di partito”, conclude. Quindi con un saluto ed un sorrisetto di circostanza saluta il cronista e gli spettatori e si allontana soddisfatto di aver fatto appieno il suo dovere.
Sicuramente mentre si allontana starà pensando di sé: “Sono stato bravissimo! Ho preso due piccioni con una fava: da una parte ho soddisfatto i miei fans ribadendo la mia posizione, dall’altra ho guadagnato punti pesanti facendo vedere che io non tradisco, al bisogno so essere fedele e adeguarmi alla decisione del partito anche se è diversa da quella che avrei voluto io”.
Peccato che ad assistere a queste rappresentazioni ci siano anche degli italiani che vivono all’estero, e quando sentono nominare la “disciplina di partito” si chiedono subito allarmati: “ma… hanno per caso cambiato la Costituzione in Italia? Cosa sono diventati i partiti, delle caserme?”. E cosa sono gli onorevoli, dei soldatini che devono obbedire e tacere agli ordini di un caporale qualunque?
Va bene che c’è ancora il “porcellum”, che consente ai partiti di scegliere chi candidare, e quindi scegli di fatto chi siederà in Parlamento (salvo i trombati), ma la Costituzione non è cambiata. La Costituzione dice ancora che il parlamentare rappresenta i cittadini, non il partito.
Proprio ieri nel Senato degli Stati Uniti si è visto come si deve interpretare esattamente il ruolo del “rappresentante eletto dal popolo”: è stata presentata dal partito democratico, che al Senato conta una maggioranza di 55 senatori su 100, una modifica di legge che qui definiscono “nucleare”, perché modifica la maggioranza necessaria ad approvare le nomine presidenziali, portandola da una maggioranza “qualificata” di 60 voti, ad una maggioranza semplice di 51 voti. In questo modo i democratici potranno finalmente liberare il campo dal cosiddetto “filibustering” dei repubblicani, che fin dall’inizio della presidenza Obama hanno abusato un numero record di volte (più di 60) la tecnica del filibustering per bloccare le nomine di Obama.
Quello che mi interessa far rimarcare qui è che la modifica di legge è stata approvata con 52 voti favorevoli e 48 contrari. Ma tre senatori democratici hanno votato contro alla modifica e, benché il leader democratico Harry Reid abbia raccomandato compattezza nel voto, lui non si è mai sognato di invocare la “disciplina” di partito. E anche dopo che tre gli hanno votato contro, Mr. Reid non ha gridato al tradimento. La Costituzione dà al parlamentare il diritto-dovere di votare secondo la propria coscienza interpretando il volere dell’elettorato. Non quello del partito, quello dell’elettorato!
So che in Italia, finché dura questo malvezzo, uno che manifesta questo pensiero non verrà mai candidato da nessun partito, ciò nondimeno questa cattiva abitudine italiana deve cessare. Non è questione di opinioni, è questione di democrazia.

lunedì 18 novembre 2013

LE SPIAGGE DI TUTTI

Il processo di svendita del patrimonio costiero, gli sversamenti di liquame e materiali inquinanti in mare e la cementificazione delle nostre coste, sono problematiche oramai note. Con la crisi si intensificano i processi capitalistici di iper sfruttamento del territorio e di chi mantiene in vita e sorregge il turismo balneare come i lavoratori e le lavoratrici stagionali.
Un processo apparentemente inarrestabile, in corso già da anni, che sta portando alla progressiva privatizzazione degli arenili e delle nostre spiagge.
La direttiva Bolkestein, tanto contestata dai bagnini romagnoli ma non solo, introduce un elemento nuovo, quello della concorrenza nel rinnovo delle concessioni balneari trasformando così le spiagge in mera merce, mentre ora tutto si regge grazie ad una sorta di “baronato” che ha garantito negli ultimi decenni incredibili privilegi ai bagnini e contribuito a formare una vera e propria classe dominante nei territori turistici, quella dei mega consorzi dei balneari.
Questi ultimi non solo dettano legge sulla gestione di un bene comune come le spiagge ma impongono anche scelte politiche arbitrarie e razziste come accade oramai da un ventennio a Rimini sul tema della vendita ambulante senza licenza sull’arenile. Senza considerare gli aspetti che legano questo settore all’evasione fiscale e alla rendita maturata grazie a canoni per le concessioni demaniali ridicoli in termini monetari.
I balneari forti dei loro privilegi si sono riuniti, in diverse occasioni, attraverso le varie sigle sindacali rappresentative del settore. L’ultima volta è avvenuto il 23 ottobre 2013 a Firenze in occasione della prima giornata della XXX Assemblea dell’ANCI.
Nel volantino contro la direttiva Bolkestein che i balneari hanno distribuito all’esterno dei locali dell’Assemblea Anci si legge: “Fino al 2010 il regime del rinnovo delle concessioni demaniali-marittime per attività turistico-ricreative, dipendeva principalmente dall’art.37, comma secondo, del Codice della Navigazione e dalla Legge “Baldini” (L.88/2001). In pratica, in presenza di più domande, l’articolo 37 dava preferenza al precedente concessionario, questa Legge stabiliva invece il rinnovo automatico di sei anni in sei anni delle concessioni in oggetto. In precedenza si era già passati da una durata delle concessioni, annuale, ad una durata quadriennale. Le due norme contribuivano quindi a dare, alle nostre aziende, quella “tranquillità” necessaria per fare investimenti, migliorare l’offerta, creare posti di lavoro e incrementare la competitività turistica del nostro Paese”.
Pertanto chi ha da sempre sfruttato il mare e la spiaggia per pure logiche di profitto e di business privatistico cerca di opporsi al neoliberismo sfrenato e alla sua logica intrinseca, ovvero la concorrenza sul libero mercato, imposta con la Bolkestein dall’UE.
La difesa delle concessioni balneari oramai pluridecennali, intese dagli imprenditori turistici come la piena legittimità a quella che considerano una loro proprietà privata, diventa il terreno di scontro della governance capitalistica nel turismo.
Fra le spinte dell’UE nell’accelerare il progetto di privatizzazione del demanio marittimo e quelle a difesa delle concessioni e quindi dei privilegi dei balneari non rimane che riporre al centro il tema dei beni comuni e del turismo come bene comune contro sfruttamento del territorio e delle persone.
In questo quadro e mentre le spiagge libere – che potrebbero essere gestite da disoccupati e precari per creare reddito e nuovi posti di lavoro – si riducono o sono abbandonate a se stesse (dovrebbero essere il 20% rispetto a quelle date in concessione), il Governo dovrà decidere nelle prossime settimane, durante il dibattito per la legge di stabilità, se accelerare il processo di privatizzazione già in atto e fortemente sostenuto anche dalle U.E. e dal FMI o favorire la rendita dei balneari.
A chi vive nei territori turistici e costieri, da Rimini a Senigallia, dal Lido di Venezia a Trieste, da San Vito Chietino alla Torrazza, da Ostia a Livorno, non rimane che tessere le file di reti di scopo e coalizioni sociali capaci di sfidare il presente e imporre, attraverso le lotte un nuovo tema dominante: le spiagge sono di tutti e tutte, le spiagge sono un bene comune inalienabile.

martedì 12 novembre 2013

LO STATO CANAGLIA PER ECCELLENZA: GLI USA

L’America, dominata da un partito (azienda) unico, si arroga il diritto di fare ciò che vuole nel mondo e del mondo. Un commentatore ha scritto che se gli Usa non possono essere un membro responsabile del sistema mondiale, forse il mondo dovrebbe «de-americanizzarsi», separarsi dallo Stato canaglia che regna tramite il suo potere militare, ma sta perdendo credibilità in altri settori.
La fonte diretta dello sfacelo di Washington è stato il forte spostamento a destra della classe politica.
In passato, gli Usa sono stati talvolta descritti ironicamente (ma non erroneamente) come uno Stato avente un unico partito: il partito degli affari, con due fazioni chiamate democratici e repubblicani.
Questo non è più vero. Gli Usa sono ancora uno Stato a partito unico, il partito azienda. Ma hanno una sola fazione: i repubblicani moderati, ora denominati New Democrats.
Esiste ancora una organizzazione repubblicana, ma essa da lungo tempo ha abbandonato qualsiasi pretesa di essere un partito parlamentare normale, i repubblicani di oggi sono come «una rivolta radicale, ideologicamente estrema, sdegnosa dei fatti e dei compromessi, che disprezza la legittimità della sua opposizione politica». In altre parole, un grave pericolo per la società.
Il partito è al servizio dei più ricchi e del settore delle imprese. Siccome i voti non possono essere ottenuti a quel livello, il partito è stato costretto a mobilitare settori della società che per gli standard mondiali sono estremisti. Pazza è la nuova norma tra i membri del Tea Party e una miriade di altri gruppi, al di là della corrente tradizionale.
La classe dirigente repubblicana e i suoi sponsor d’affari avevano previsto di usarli come ariete nell’assalto neoliberista contro la popolazione, per privatizzare, deregolamentare e limitare il governo, pur mantenendo quelle parti che sono al servizio della ricchezza e del potere, come i militari.
La classe dirigente repubblicana ha avuto un certo successo, ma ora si accorge che non riesce più a controllare la sua base, con sua grande costernazione. L’impatto sulla società americana diventa così ancora più grave.
Nel 1999, l’analista politico Samuel P. Huntington avvertiva che per gran parte del mondo, gli Usa stanno «diventando la superpotenza canaglia», visti come «la più grande minaccia esterna per le loro società».
Nell’ultimo documento emanato da “Foreign Affairs”, si esamina un aspetto dell’allontanamento di Washington dal mondo: il rifiuto dei trattati multilaterali, «come se si trattasse di sport».
Egli spiega che alcuni trattati vengono respinti in modo definitivo, come quando il Senato degli Stati Uniti «ha votato contro la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità nel 2012 e il Comprehensive Nuclear – Test Ban Treaty (il trattato sulla messa al bando del nucleare o Ctbt), nel 1999».
Altri trattati sono scartati dal non agire, inclusi «temi come il lavoro, i diritti economici e culturali, le specie in pericolo di estinzione, l’inquinamento, i conflitti armati, il mantenimento della pace, le armi nucleari, la legge del mare, e la discriminazione contro le donne».
«Il rifiuto degli obblighi internazionali è cresciuto in modo così radicato, che i governi stranieri non si aspettano più la ratifica di Washington o la sua piena partecipazione nelle istituzioni create dai trattati. Il mondo va avanti; le leggi vengono fatte altrove, con limitato (quando c’è) coinvolgimento americano».
Anche se non è nuova, la pratica si è effettivamente consolidata in questi ultimi anni, insieme con l’accettazione tranquilla all’interno della nazione della dottrina che gli Usa hanno tutto il diritto di agire come uno stato canaglia.
Per fare un esempio, un paio di settimane fa, le forze speciali Usa hanno preso un sospetto, Abu Anas al-Libi, dalle strade della capitale libica Tripoli, portandolo su una nave da guerra per l’interrogatorio senza avvocato o diritti. Il segretario di Stato americano John Kerry ha fatto sapere alla stampa che le azioni sono legali perché sono conformi con il diritto americano, senza suscitare alcun particolare commento.
I principi sono validi solo se sono universali. Le reazioni sarebbero un po’ diverse, manco a dirlo, se le forze speciali cubane avessero rapito il prominente terrorista Luis Posada Carriles a Miami, portandolo a Cuba per l’interrogatorio e il processo in conformità alla legge cubana.
Tali azioni sono limitate agli Stati canaglia. Più precisamente, a quegli Stati canaglia abbastanza potenti da agire impuniti: in questi ultimi anni, per svolgere aggressioni a volontà, terrorizzare le grandi regioni del mondo, con gli attacchi dei droni, e molto altro.
E a sfidare il mondo in altri modi, ad esempio persistendo nel suo embargo contro Cuba, nonostante l’opposizione di lunga durata di tutto il mondo, oltre a Israele, che ha votato con il suo protettore, quando le Nazioni Unite hanno condannato ancora una volta l’embargo nel mese di ottobre.
Qualunque cosa il mondo possa pensare, le azioni degli Usa sono legittime perché diciamo così. Il principio fu enunciato dall’eminente statista Dean Acheson nel 1962, quando diede istruzioni alla Società americana di diritto internazionale, in base alle quali nessun problema giuridico si pone quando gli Stati Uniti rispondono a una sfida per il loro «potere, posizione e prestigio».
Cuba ha commesso quel delitto, quando ha sconfitto un’invasione proveniente dagli Stati Uniti, e poi ha avuto l’ardire di sopravvivere a un assalto progettato per portare «i terroristi della terra» a Cuba, nelle parole dello storico Arthur Schlesinger, consigliere di Kennedy.
Quando gli Stati Uniti hanno ottenuto l’indipendenza, hanno cercato di unirsi alla comunità internazionale del tempo. È per questo che la Dichiarazione d’Indipendenza si apre esprimendo la preoccupazione per il «rispetto delle opinioni dell’umanità».
Un elemento cruciale fu l’evoluzione da una confederazione disordinata verso un’unica «nazione degna di stipulare trattati».
Con il raggiungimento di questo status, la nuova nazione otteneva anche il diritto di agire a suo piacimento a livello nazionale.
Il diventare una «nazione degna di stipulare trattati» conferì molteplici vantaggi: il riconoscimento da parte degli altri Stati e la libertà di agire senza interferenze a casa propria.
Il potere egemonico fornisce l’opportunità di diventare uno Stato canaglia, sfidando liberamente il diritto internazionale e le sue norme, mentre affronta una crescente resistenza all’estero e contribuisce al proprio declino attraverso ferite auto inflitte.

mercoledì 6 novembre 2013

Datagate, contro lo spionaggio spostiamo il G8 all'ONU?

Credo che ben poche persone siano mai state pienamente convinte dell’utilità dei vari assembramenti dei potenti della Terra quali i vari G8, G20 etc.. Se facciamo un bilancio di questi eventi, rileviamo a mio parere quattro criticità di base: 1) le vere decisioni strategiche a livello globale non sono mai state assunte in questi fora, ma piuttosto nelle riunioni dei governatori delle Banche Centrali; 2) i costi di organizzazione e gestione di tali eventi, compresi ovviamente quelli per la sicurezza e per la popolazione che ha la sciagura di vedere la propria città sequestrata per qualche giorno, sono esorbitanti rispetto alla loro utilità; 3) questi summit si sono rivelati una splendida occasione per ricompattare i vari movimenti di contestazione che, in un primo momento, avevano degli argomenti forti da proporre in contrasto alle politiche mondiali ma che, ultimamente, si organizzano solo per mostrare muscoli e scatenare violenza, molto ben aiutati – c’è da ammetterlo – dalla reazioni spesso spropositate delle forze dell’ordine; 4) tali meeting sono antistorici e non stanno al passo coi tempi, prova ne sia che l’Italia fa ancora parte del G8 pur essendo la nona economia mondiale e che i paesi emergenti si devono inventare fora paralleli per far sentire la loro voce, inascoltata nonostante l’evidente ribaltamento delle posizioni economiche globali attualmente in atto.
A tutto ciò si aggiunge poi la scoperta recente – ma non sorprendente – di come alcuni Paesi ospitanti tali summit (leggasi Russia) abbiano sfruttato l’occasione per rafforzare il loro sistema di spionaggio, regalando alle delegazioni partecipanti raffinatissimi gadget dotati di sistemi di cattura dati sensibili (sia vocali che scritti). Personalmente mi fa impressione pensare che i massimi potenti della terra, una volta tornati a casa dal G qualcosa, consegnino i regali offerti dal Paese ospitante ai propri servizi di sicurezza per verificare che non vi sia qualche trucco nascosto. Mi chiedo infatti quale possa essere il livello di fiducia presente nelle discussioni per decidere le sorti dell’umanità se nella sala aleggia il dubbio che ci si spii a vicenda.
Per questo motivo ritengo che la fase dei summit organizzati da un Paese ospitante dovrebbe essere conclusa per tornare al vero multilateralismo in campo neutro: leggasi Nazioni Unite. Certo, l’organismo non riscuote ampi consensi in vari strati dell’opinione pubblica, ma alla fine dovrete ammettere che è ad oggi l’unico vero meccanismo di tutela per garantire piena trasparenza e terzietà di fronte a tutti i Paesi membri. Da oggi in poi, sarebbe auspicabile che tutte le riunioni di questo genere si tenessero sempre e comunque nella sede e sotto l’egida ONU, che dovrebbe garantire appunto la sicurezza di tutte le delegazioni, la piena parità e legittimità delle posizioni rappresentante etc.., senza quel meccanismo perverso per cui il Paese ospitante detta l’agenda dei lavori, elemento che già a mio parere rappresenta un vulnus iniziale alla corretta e paritaria gestione dell’evento.
Desidererei che i paesi della vecchia Europa, che in questa congiuntura di spionaggio mondiale hanno mostrato di saper tenere la schiena dritta ed hanno dato prova di equilibrio e dignità, oltre ad avere una consolidata abitudine al multilateralismo grazie all’esperienza dell’Unione Europea, avanzassero congiuntamente una posizione forte di questo tipo: mai più G8 o G20 se non in campo neutro, nel Palazzo di Vetro. Sarebbe un ottimo segnale per far capire che i vari scandali di spionaggio non sono accaduti invano e che, come succede nella vita di tutti i giorni, ad ogni azione scorretta occorre rispondere con una reazione forte e decisa, per annullarne gli effetti.

venerdì 1 novembre 2013

LEGGI AD PERSONAM E CONTRA PERSONAM

Si e' dibattuto e combattuto in questi giorni sulla modalità del voto della decadenza da senatore di Silvio Berllusconi. Ora, pur essendo evidente la mia ostilità nei confronti del puttaniere di Arcore, non bisogna certo cadere nell'errore di diventare come lui lo è stato per 20 anni...un manipolatore della costituzione per usarla a proprio uso e consumo. Il fatto che la giunta abbia deciso, in autonomia per carità, di forzare la mano e votare a voto palese da un lato fa dire..ok tutti i parlamentari ci devono mettere pubblicamente la faccia..ma dall'altro presti il fianco a Mister B nel dire che per lui a differenza di tutti gli altri si usa un metodo unico e particolare..scorciatoie contra personam inaccettabili..in effetti cosa costava comportarsi con Mr B come tutti gli altri..la decadenza e quindi poi l'incandidabilita sarebbe stata sancita dal tribunale in maniera irreversibile..che bisogno c'era di forzare in questo modo? La spiegazione e' una: la sinistra vuole portarsi a casa il totem dell'eliminazione parlamentare di Berlusconi da sbandierare alle prossime elezioni e ciò la porta a fare mosse avventate, anche per accontentare Renzi. Vedremo se il popolo della sinistra apprezzerà o meno.