domenica 1 luglio 2012

Internet. Come il “grande fratello” conosce i nostri interessi e condiziona i nostri stili di vita


Condividendo sempre più informazioni e documenti online nei motori di ricerca e nei social network, aziende specializzate come la Acxiom, ci conoscono sempre meglio. Il procedimento è molto semplice: grazie alle tracce che lasciamo nella rete, quando condividiamo un post in Facebook o in Twitter, oppure quando facciamo una ricerca di un prodotto che vorremmo acquistare su un motore di ricerca, queste società catalogano gli interessi e fanno per ognuno di noi una scheda del “consumatore perfetto” di determinati prodotti.
Dal 2005 ad oggi, il numero di intermediari a “caccia” dei nostri dati è raddoppiato….
Una delle maggiori aziende, che per noi è sconosciuta, èla Acxiom con sede operativa in Arkansas. Con i suoi 23mila server e 50mila miliardi di dati, ha prodotto 500milioni di profili di “perfetti clienti”.
Secondo il New York Times, la Acxiom ha raccolto la più grande massa di dati al mondo sui consumatori. Tutti queste informazioni vengono poi rivendute ad altre aziende importanti (banche, case automobilistiche, grandi magazzini e grandi multinazionali) che vogliono sapere se stanno offrendo la cosa giusta al momento giusto.
Secondo una ricerca del Wall Street Journal dello scorso anno, i cinquanta siti più popolari del mondo, hanno istallato in media 64 cookie e beacon carichi di dati su di noi. E’ così che ci ritroveremo, mentre guardiamo la nostra posta elettronica, delle pubblicità che ci propongono (guarda caso) lo stesso prodotto che avevamo cercato in precedenza in motori di ricerca come Google o Yahoo.
Un tempo internet era un mezzo anonimo in cui tutte le persone potevano essere chiunque, ma ora tutto questo è cambiato, è diventato marketing allo stato puro. Se fosse solo un modo per vendere pubblicità mirata, sarebbe grave. Ma non troppo. Il problema è che la personalizzazione non condiziona solo quello che compriamo, ma il nostro stile di vita. E potrebbe essere molto pericoloso.
Bisogna, dunque, trasformale il virus in antivirus. Utilizzare internet a nostro vantaggio e non il contrario. Perché, altrimenti, saremo schiavi controllati e addomesticati dai venditori del nulla.

giovedì 21 giugno 2012

NO ALL'ECONOMIA SHOCK

Mentre l'economia greca è sconvolta dal quinto anno consecutivo di recessione e la riduzione del suo prodotto interno lordo - a causa delle misure di «austerità» imposte al paese dalla troika - ha superato il 17%, si sta verificando una catastrofe sociale senza precedenti.
Il tasso di disoccupazione ha oltrepassato il 21%, il che significa che in un paese con meno di 11 milioni di abitanti e una forza lavoro inferiore a 5 milioni, oltre 1.200.000 persone non riescono a trovare nemmeno un lavoro part time che gli permetta di guadagnare 400 euro al mese, e tra queste soltanto il 30% ha diritto, per un periodo massimo di 12 mesi, al povero sussidio di disoccupazione di 300 euro.
Inoltre, per le stesse ragioni, il paese sta assistendo alla distruzione dei servizi sociali (sanità, istruzione, assegno di disoccupazione, assistenza pensionistica e sanitaria) e i poveri (pensionati, disoccupati e sottopagati) sono costretti a pagare di tasca propria i farmaci e le cure mediche, oltre alla fornitura di elettricità (acqua etc.), proprio mentre la compagnia Greek Petroleum ha annunciato di aver aumentato del 5% i suoi profitti e la Banca Piraeous del 18% circa.
Il 29 maggio scorso le autorità economiche europee hanno annunciato il trasferimento di 18 miliardi di euro alle quattro principali banche private greche, le quali controllano oltre il 70% del settore bancario ellenico e le cui azioni sono detenute in maggioranza da fondi europei privati e istituzionali, per aumentare la loro adeguatezza patrimoniale. In questa misura di assistenza finanziaria europea non sono invece state incluse le due banche pubbliche del Paese. Il giorno successivo (il 30 maggio) l'Agenzia nazionale per la salute (Eoppy) ha annunciato di non essere in grado di rimborsare ai farmacisti i soldi che deve a questi ultimi per i medicinali prescritti.
Nel frattempo i funzionari dell'Unione europea e i loro protettori (speculatori, banchieri e leader politici) fanno a gara a chi spaventa di più il popolo greco, affinché non voti contro i partiti che hanno sottoscritto le misure di «austerità» e quelle previste dal Memorandum, in cambio della liquidità accordata con nuovi prestiti al settore bancario ellenico. Un memorandum - sottoscritto da Nuova democrazia, Laos e Pasok - che invece di favorire il riorientamento produttivo dell'economia greca riducendo l'enorme evasione fiscale della quale beneficiano gli operatori medio alti e gli intermediari, cancella almeno il 30% dello stipendio annuale dei lavoratori e delle classi medio-basse, annulla gli standard del contratto collettivo mentre l'inflazione avanza al ritmo del 4-5%. Si pretende inoltre che i lavoratori paghino a caro prezzo beni e servizi di prima necessità e di tasca propria i servizi sociali, nonostante sborsino già contributi assicurativi altissimi, così come alta è la tassazione sul reddito e l'Iva a cui sono sottoposti.
Ma c'è di più dietro queste misure punitive: il tentativo è quello di far sentire colpevole il cittadino greco se non riuscirà - a qualsiasi costo, per sé e per la sua famiglia - a restituire, ad alti tassi d'interesse, i debiti che le sue classi dirigenti hanno contratto per importare dalla Germania, dall'Olanda e dall'Italia merci che hanno spazzato via dal mercato interno i prodotti greci e danneggiato le sue prospettive produttive e di impiego.
Le classi dominanti europee e greche, il cui dominio si basa su patrimoni finanziari immateriali, sanno molto bene che nel contesto capitalistico la riformulazione dell'economia europea presuppone la distruzione delle classi medie che si sono sviluppate nel secondo dopoguerra e la degradazione dei servizi pubblici e di quelli sociali. Quale migliore e inevitabile soluzione per l'enigma greco provano dunque ad applicare la scelta del «letto di Procuste», ribattezzata per l'occasione Financial assistance facility agreement.
Secondo questo accordo, il popolo greco deve pagare più denaro ai suoi creditori (oltre 35 miliardi di euro ogni anno per i prossimi 30 anni) e meno per salari, pensioni e misure assistenziali. Salari e pensioni, secondo l'accordo, vanno corrisposti solo dopo che i creditori hanno ottenuto le rate dei loro rimborsi.
In passato una parte di questi prestiti, che andava ad alimentare i consumi, garantiva il consenso delle classi medie al progetto dell'area euro, anche se la maggior parte di quel denaro serviva per riprodurre il privilegio dell'élite politica e della borghesia compradora e finanziaria. Negli ultimi vent'anni il paese si è trasformato in un'economia di servizi basata sul turismo e sul commercio e il popolo greco, a causa dell'euro forte, ha perso una porzione importante della sua capacità produttiva, ma non dei suoi valori umani. Nonostante le élite europee e nazionali gli chiedano di accettare il destino di diventare vassalli, i greci resistono seguendo i loro sentimenti di libertà e le loro aspirazioni a una vita dignitosa. Proprio questa prospettiva alternativa rappresenta ciò che le élite europee temono di più, perché può dare l'avvio a una catena di cambiamenti radicali in tutta l'Europa.
Il voto del 6 maggio scorso ha rivelato che l'applicazione della dottrina dello shock, descritta in maniera autorevole da Naomi Klein, non è applicabile all'Europa, dove la memoria storica e la cultura democratica, invece di essere cancellate, risvegliano la coscienza libertaria dei popoli.
Le ultime elezioni in Grecia hanno dimostrato che l'Europa sta dando l'addio all'era neoliberale. Ma questa prospettiva non è ancora sicura, perché siamo in un equilibrio precario in cui - come direbbe Antonio Gramsci - «il nuovo non è ancora nato e il vecchio resiste». È per questo che in Grecia molte aziende stanno distribuendo ai loro dipendenti dei questionari che chiedono in quale paese preferirebbero trasferirsi per lavorare, nel caso Syriza diventasse il partito di governo dopo le elezioni del prossimo 17 giugno. È per questo che in tutta Europa le classi dominanti stanno utilizzando il loro arsenale per terrorizzare il popolo greco e convincerlo a non votare contro i partiti che hanno sottoscritto la violazione della sua esistenza dignitosa.
Questa testimonianza dall'anello debole della catena europea si trasmetterà all'Europa progressista, spingendo verso la legittimazione di un governo europeo autorevole e reattivo. O siamo diretti verso la disintegrazione e il rafforzamento dei nazionalismi?
La risposta non «soffia nel vento», ma nei sentimenti dei popoli e nella loro aspirazione a una vita dignitosa.

venerdì 8 giugno 2012

IL BERLUSCONI POVERO ?!

Il Cavaliere è ossessionato da quello che vent’anni fa fu il sogno di Massimo D’Alema: vederlo chiedere l’elemosina all’angolo di via del Corso. Il buon Silvio sarebbe preoccupato, ne avrebbe parlato anche con Napolitano. Non ha superato la mazzata della sentenza Mondadori. E non a caso sta svendendo quasi tutto il Milan.
Berlusconi di questi tempi grami avrebbe addirittura l’ossessione di diventare povero. Sarebbe così ossessionato da averne messo a conoscenza persino il Capo dello Stato, di cui peraltro non è data sapersi alcuna reazione. Possiamo immaginarla, riproiettandola a diciotto anni fa, quando quel simpaticone di Massimo D’Alema prefigurò, per il Cav., un futuro in cui il medesimo sarebbe stato costretto a chiedere l’elemosina all’angolo di via del Corso.
Se a distanza di quasi un ventennio l’argomento ritorna di stretta attualità, almeno nell’animo più profondo di Silvio Berlusconi, è perché – evidentemente – qualcosa è accaduto. Innanzitutto, di concreto, quello che lui stesso considera uno scippo, quei seicento, o giù di lì, milioni che gli ha sciroppato l’Ingegnere per la storia (antichissima) della Mondadori. Quella sentenza è stata per lui un vero e proprio trauma dal quale non si è più ripreso. Vero che c’è sempre la Cassazione che potrebbe riportare nelle casse di Mediaset il poderoso malloppo, ma già con il primo giudizio la grana pesante ha preso la via della Cir, dove viene gelosamente custodita (e investita).
L’ossessione del Cav. di diventare povero ha ovviamente stretta correlazione con la congiuntura del momento. Dovrebbe farci perlomeno sorridere, noi spiantati e lui (ancora) straricco, e invece qualche significato più recondito lo porta con sé. Ed è l’idea di terrore. La sensazione, cioè, che non vi sia più nulla di logico che possa tamponare (intellettualmente) il tracollo economico sotto gli occhi di tutti, raccontato con enfasi sin troppo drammatica da tutti i mezzi di informazione. Se ne siamo traumatizzati noi, che per paradosso ne abbiamo da perdere molto meno, perché non dovrebbe esserlo lui, che porta la responsabilità di una grandissima azienda? Ecco, perdere l’azienda e diventare povero tutto d’un colpo. Il sogno di Massimo D’Alema che si avvera con vent’anni di ritardo sulla tabella di marcia.
Un’azienda che come sappiamo, e come ci ha ripetuto lo stesso Confalonieri, non se la passa benissimo. Un’azienda che non dà più molti segni di modernità, un’azienda che allora nacque più giovane delle altre, ma che è invecchiata infinitamente prima (delle altre). Non si è rammodernata e francamente lo si vede soprattutto negli uomini. A parte la fatica di dare una pedata nel sedere a Emilio Fede, alla verde età di ottant’anni, ma poi in fondo il presentatore non fa testo. Prendiamo gli altri, i dirigenti d’età più vispa. E prendiamo, a paradigma di una certa condizione, la «contendibilità» dei dirigenti Mediaset/Fininvest all’interno di un mercato più ampio. Praticamente zero. Ormai, nel mondo dell’economia, è tutto un cacciare teste. L’ultimo, Mario Greco per Generali. Da quanto non ricordate un dirigente di Silvio Berlusconi che è stato strappato alle sue aziende con la forza, con la potenza, con la struttura, della sua sola professione?
Quell’ossessione di diventare povero è reale, vera, concreta. Lo si nota col Milan, dove sta andando in onda solo una commedia e senza neppure gli equivoci. Si svende, ragazzi. Si fa vergognosamente cassa. Adesso infiocchetta Ibra e lo spedisce all’emiro del Psg. Peraltro meno male, un rompicoglioni in meno. Poi si vorrebbe vendere anche l’unico buono che c’è, Thiago Silva, il Barcellona preme.
Il pacchetto vale più o meno un centinaio di milioni. Che finirebbero immediatamente sotto il lettone di Putin. Per ogni evenienza.


giovedì 31 maggio 2012

Nell'era del social network

Grazie a noi, Zuckemberg diventa miliardario mentre noi, grazie a lui, perdiamo privacy e vita, tanta, troppa, e perdiamo anche baricentro, concentrazione e obiettivo. Perdiamo, e basta.
Perché a fare un’analisi sincera, a fare due conti veri, e non da tossico che imbroglia sui grammi di “roba” giornalieri, le ore passate sui social media sono veramente troppe. Sì, sono minuti, a volte solo secondi che rubo al mio lavoro, a una lettura che interrompo perdendo climax e segno, e solo per comunicare al mondo i 140 caratteri che mi piacciono di più, per tenerlo al corrente dei miei progressi e delle mie letture, come se gliene fregasse qualcosa, al mondo, di me e delle mie scoperte. Forse, di rimando invierà due righe da una poesia della Merini, e che l’abbia letta per intero, c’è anche da scommetterci.
Ma naturalmente questo dubbio facciamo bene a tenercelo per noi, visto che dietro l’icona chiunque può fingersi ciò che non è.
Ma una buona volta, almeno adesso che sembriamo così responsabili e civili, facciamo una prova, e mettiamoli assieme questi attimi rubati, contiamoli, e il risultato sarà ragguardevole, forse, in molti casi spaventoso.
Perché anziché stare a sentire l’emozione di un tramonto crescere e serrarci il respiro, invece di cercare di capire dove risiede e da dove arriva quel brivido, scattiamo una foto e la mettiamo lì. Invece di sentire l’acquolina che sale in bocca, a tavola, prendiamo il piatto e lo mettiamo lì, lo mostriamo al mondo e al mondo diciamo: lo vedi? Non sono abbastanza bravo anch’io?
E ogni “mi piace” ci dà l’illusione di avere qualcuno seduto alla nostra tavola deserta, e a ogni commento di approvazione, è come se qualcuno bussasse alla porta di casa dove pare manchi sempre qualcosa.
Ma cos’è che ci manca veramente, qual è il vuoto e quanto è profondo per giustificare il continuo e ossessivo aggiornamento di stato?
Questa “ammucchiata partecipativa”, di cui parla il sociologo Geert Lovink che a dieci anni dal suo primo saggio lancia un secondo allarme con il libro “Ossessioni collettive”, quanto ci farà male?
Quanto siamo stretti, piegati e piagati, nell’affermazione di un “sé” che non è più deciso dal talento vero e proprio ma solo dall’incontro giusto e da un paio di retweet che ci danno l’illusione di cambiarci la vita?
Non mi va di levarmi su in alto ed elargire consigli o poetiche soluzioni, non posso, so di non avere l’autorevolezza né il carattere per farlo e anche perché, io per prima, ci sto dentro fino al collo. Semplicemente, sono alcune settimane che mi ripeto che così non va.
Credo di aver mancato troppi tramonti negli ultimi tre anni, troppe torte fatte in casa e corse, e sicuramente molto di più. E ho perso anche la nozione del tempo.
Facebook è stata la finestra da cui mostrare al mondo che valevo qualcosa.
In un momento in cui tutto crollava, la mia azienda, il matrimonio, il mio futuro, è stata un’illusione che mi ha aiutata, sì, ma mi ha anche fatto perdere lucidità e tempo.
FB ci dà solo la possibilità di provare con un clic di essere presenti, e di valere qualcosa in più, anche se la nostra vita così com’è ci soddisfa poco, perché poi, si sa che ciò che conta veramente non è l’approvazione di un post, ma continua a essere, e così sarà sempre, e giustamente, il riscontro effettivo, l’effetto reale delle nostre azioni sul vivere quotidiano.
FB non mi consente di dissentire, è una società virtuale tutta votata al positivo che ci costringe a essere compassionevoli per forza, comunque assai poco distante da twitter, dove migliaia di persone fanno a gara per scrivere qualcosa che sia più cool, più giusto, più divertente o più amaro degli altri.
Ma cosa cambia nelle nostre vite? Cosa ci sarà di diverso domani a parte qualche follower in più? Cosa sarà cambiato nel rapporto tra stato e cittadino.
Finora non mi pare che non abbiamo ribaltato il sistema né affossato lo strapotere delle banche. Questo, è un dato di fatto.
Fino ad oggi, a parte il consumo delle parole, anche le più belle e inusuali, e i Koan più complessi della tradizione zen ridotti a battute, mi pare che nulla sia cambiato.
È vero che il popolo del web organizza mobilitazioni, è vero che mostra solidarietà verso vittime innocenti e piange lacrime virtuali di fronte alle ingiustizie, ma succedeva anche prima e forse, l’effetto si consumava anche più lentamente.
Io confesso.
Sono stata presa nella rete, sono rimasta impigliata nelle maglie strettissime di questa falsa condivisione e al momento, mi pare anche che senza, il mondo rischierebbe di sparire all’improvviso ingoiato dai pixel.
Ma la verità, l’unica e tangibile, è che alla mia tavola siedono gli amici di sempre e che il mio blog riceve visite non da persone che cliccano “mi piace” ai miei post perché chi lo fa, compie atto di presenza, e basta. Come l’ospite invitato al vernissage che arriva imbellettato e solo per conoscere gente “che conta” e mangiare gratis al buffet. Chi condivide articoli senza nemmeno leggerli, non è troppo distante dal tizio che alla mia festa non vede l’ora di andarsene dopo aver bevuto cinque bicchieri di qualcosa ed essersi ingozzato di tartine.
Perché non siamo diventati più buoni, non siamo più impegnati socialmente, né più consapevoli.
La mia cultura e la mia consapevolezza vengono da lontano, da un mondo 0.0 e dalle ore che ho passato sui libri, e a teatro, e nei locali, ad ascoltare musica live. E anche quando siamo lì, oggi, tra la gente, nel mondo reale, mi domando perché continuiamo a sentirci in dovere di mettere al corrente il mondo su cosa facciamo, ciò che guardiamo, cosa mangiamo, chi vediamo.
È sempre un modo per affermarsi e mostrarsi, dimostrare a noi stessi, prima che agli altri, di essere ancora in vita.
Ci sentiamo vivi partecipando alle disgrazie altrui, ma sempre meno alle gioie e alle vittorie dell’altro, purtroppo, visto che questa realtà vive la frustrazione di un vero scollamento dal “friendly” cui siamo abituati on line, perché Zuk, ci ha dato l’illusione di poter giudicare chiunque e accedere ovunque quando poi, nella realtà, è sempre e solo la telefonata giusta che ci farà assumere da qualche parte o pubblicare da qualcuno.
Mi auguro soltanto, come ipotizza Lovink, che tra un po’ sarà molto poco cool controllare di continuo il proprio smartphone in pubblico.

lunedì 21 maggio 2012

In quale contesto sociale e politico si inserisce l'attentato di Brindisi?

Il dolore atroce che si rovescia sulla vita civile del nostro Paese, nel giorno dell’attentato che ha profanato la gioventù di Brindisi, è ancora una volta l’ingrediente sanguinario che puntualmente si inserisce dall’ombra nei momenti cruciali della storia nazionale.
Le bombe che scoppiano fra la gente hanno sempre favorito lo stesso obiettivo: convalidare un restringimento della libertà in nome della sicurezza e disinnescare le possibilità di cambiamento democratico mentre si approntano nuovi equilibri.
L’attentato di Brindisi, un episodio che si aggiunge alla lunga serie del terrorismo stragista italiano, emerge come un evento di grande importanza perché si affaccia tragicamente in un crocevia di crisi politiche ed economiche che stanno ridisegnando la sovranità, i rapporti sociali e di potere, la forma stessa del sistema politico: esattamente come accadde in questi stessi giorni vent’anni fa, quando la strage di Capaci fu un fatto decisivo nel passaggio drammatico della nostra storia in cui crollava la cosiddetta Prima Repubblica, un momento di crisi che travolse vite, carriere, movimenti politici e speranze di rinnovamento, il tutto in mezzo a stragi, tensioni, ricatti, messaggi trasversali e misteri mai risolti, che hanno pregiudicato la vita democratica italiana nei vent’anni successivi.
Alla vigilia di un netto peggioramento della crisi, alla quale la tragedia economica delle Grecia sta per fare da innesco, l’entrata in scena di questa forma di violenza deve suscitare il massimo allarme democratico.
Non sfugge a nessuno il fatto che l’attentato stragista è perpetrato davanti a una scuola intitolata proprio a una delle vittime della strage di Capaci, Francesca Morvillo Falcone.
Così come non ci sfugge un’altra singolare coincidenza: è colpita per prima la città portuale italiana che funge da “porta della Grecia”, quasi ad aprire simbolicamente una nuova fase in cui convergeranno tutti i fattori di crisi.
Il governo Monti-Napolitano, che si è costituito per un grave deficit di democrazia e ha continuato ad agire su quella strada, appare come il meno adatto e il più pericoloso a gestire questa fase di crisi: recentemente, di fronte al crescere delle tensioni sociali aggravate dalle loro scelte politiche, i governanti hanno fatto presagire una militarizzazione della loro risposta, accompagnata da indiscriminati allarmi antiterrorismo.
Il laboratorio politico Alternativa fa appello ai movimenti, ai cittadini, a tutte le forze popolari che hanno a cuore la difesa della Costituzione, affinché vigilino e non cedano sulla difesa delle libertà fondamentali. Con l’obiettivo di avere un governo che non sia gravato dal deficit di democrazia.

Tratto da: Brindisi e la democrazia | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2012/05/21/brindisi-e-la-democrazia/#ixzz1vU8K1ErQ
- Nel tempo dell'inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario!

giovedì 10 maggio 2012

GLI SCANDALI DI EQUITALIA

Equitalia”, oltre ad applicare tassi di interesse pazzeschi (in pochi anni la cifra dovuta raddoppia, triplica…) strappa alle famiglie in difficoltà economica la casa, spesso pagata in anni e anni di rinunce e sacrifici:
Con le nuove normative approvate recentemente (in silenzio) Equitalia potrà prelevare i soldi direttamente dai conti correnti, e pignorare le case in SOLI 2 MESI dalla partenza delle procedure: (vedi articolo) la cosa che fa ancora più schifo, viene le case dei poveri vengono SVENDUTE all’asta, a qualche ricco speculatore (magari un evasore fiscale che ricicla i soldi sporchi, anche tramite prestanome) che la acquista a prezzo stracciato, per rivenderla con calma, al doppio: anche se impiega 2,3 anni per venderla, è sempre un ottimo investimento…
Facciamo un esempio:
La tua casa vale 200.000 Euro:
con gli interessi di un mutuo ventennale, ne hai restituiti 350.000:
Se la casa non viene venduta alla prima asta, viene ripetuta, e il prezzo di partenza di abbassa di volta in volta: pertanto diventa una prassi, che alla prima non venga mai venduta:
Alla prima asta, il prezzo di partenza è di 130.000: niente!
L’asta si ripete: partendo da 100.000….. niente!
alla terza asta, si parte da 70.000 … e viene venduta.
Poniamo che il tuo debito nei confronti di equitalia sia stato di 30.000 Euro: (magari l’importo dovuto è di 10.000 ma tra interessi e penali, in qualche anno è arrivato a 30.000) per recuperarli, svendono la tua casa a 70.000, dopodiché ti trattengono i 30.000 che devono, ti addebitano le spese (dell’asta e delle pratiche) per un importo di ulteriori 5.000 e ti restituiscono……….. 35.000 euro!
per sanare un debito iniziale di 10.000 Euro, ti hanno privato della tua casa che hai pagato 350.000 euro, restituendoti 35.000 Euro: in pratica, quel debito ti è costato la bellezza di 305.000 Euro, ovvero i 10.000 del debito iniziale sommati ai 35.000 che ti hanno restituito dopo la vendita all’incanto.
UNA SOLA PAROLA: SCANDALOSO!

martedì 1 maggio 2012

GRILLO E QUALCHE CAVOLATA DI TROPPO

Rapida dimostrazione del fatto che chi semina vento raccoglie tempesta.
Ieri Beppe Grillo a Palermo, ostentando un’antipatia stupida nei confronti dei cronisti che erano lì a interrogarlo, ha fatto un ragionamento complesso sulla mafia che tende a mantenere in vita le sue vittime in quanto fonti di reddito attraverso il pizzo. Argomento da prendere con le pinze, com’è giusto quando si parla di Cosa nostra in terra di Cosa nostra. La battuta è stata mal sintetizzata da siti e agenzie in un titolo di questo genere: “La mafia non strangola le sue vittime”. Che è una cazzata di proporzioni ciclopiche.
Superficialità giornalistiche a parte (molti Soloni tuonano dai loro divanetti in similpelle al solo tintinnar di catene antimafia), Grillo ha meritato questo trattamento frutto di superficialità e, diciamolo, anche di una certa incultura. Perché lui è il padre di ogni pregiudizio e sta mostrando di essere il migliore (o peggiore?) cultore dei luoghi comuni. I politici? Rubano tutti. I giornalisti? Peggio dei politici. Le tasse? Una rapina. E via dicendo.
Chi di giudizio sommario ferisce….
E’ un peccato però che ci vadano di mezzo i volenterosi cittadini del Movimento 5 stelle.