I compromessi possono essere a volte necessari, e comunque si dividono sempre I buoni, pessimi o innumerevoli vie di mezzo.
Quello
trovato dal governo su e con Atlanti per il futuro di Autostrade per
l’Italia – Aspi, la società privata concessionaria di gran parte della
rete autostradale di proprietà pubblica è un pasticcio immondo
escogitato per salvare capra e cavoli: ossia la faccia della maggioranza
di governo e i soldi dei Benetton.
Stando a quel che ha reso noto lo stesso governo, dopo una seduta fiume finita alla 5 di mattina, la concessione non viene revocata
e resta ad Aspi. “In compenso” la quota azionaria in mano ai Benetton
dovrà rapidamente scendere dall’88% attualeal 10% (che non dà diritto a
un posto nel cda), al cui posto subentrerà prendendo il 51% Cassa Depositi e Prestiti, una
società per azioni, controllata per circa l’83% da parte Ministero
dell’economia e delle finanze e per circa il 16% da diverse fondazioni
bancarie.
Sembra una semi-nazionalizzazione, ma non lo è affatto.
Il
piano messo a punto dal ministro piddino Gualtieri prevede infatti la
quotazione in Borsa della nuova Aspi senza più i Benetton (sganciata
dalla holding Atlantia), sotto forma di public company
ad azionariato diffuso esposta – come tutte le società per azioni di
questo tipo – a scalate messe in atto da qualsiasi investitore
finanziario (anche dagli stessi Benetton, ovviamente sotto altra
“ragione sociale”).
L’operazione dovrebbe concludersi nell’arco di un anno, con una serie di corollari da realizzare nel frattempo.Autostrade per esempio dovrà intanto dovrà tagliare le tariffe più di quanto fino ad ora proposto (il 5%) e accettare di ridurre ulteriormente l’indennizzo previsto in caso di revoca delle concessioni.
Più generica e indeterminata, invece, la possibilità di rivedere prima o poi le clausole riguardanti le ipotesi di revoca per inadempimenti gravi.
Suona
quindi come una battuta inoffensiva la “minaccia” del governo, secondo
cui se Aspi non ottempererà a queste condizioni – concordate con la
società – scatterà la revoca della concessione. Anche perché, da qui a
qualche mese, chissà quale governo ci sarà e come la penserà in materia
di concessioni pubbliche.
Il
pessimo compromesso, dunque, salva la faccia solo a chiacchiere ai
partiti della maggioranza. Qui lo scontro tra Pd e renziani da un lato e
grillini dall’altro è stato sicuramente acceso, con i primi impegnati a
difendere gli interessi dei Benetton e secondi nel cercare di portare a
casa qualcosa che somigliasse a una “punizione” per la famiglia del
“golfino”, al solo scopo di non peerdere un altro pezzo rilevante della
propria credibilità.
A
rimetterci pochissimo sono proprio i Benetton, primi responsabili della
strategia “industriale” basata su risparmio nella manutenzione, aumento
continuo dei pedaggi e massimizzazione dei profitti che ha prodotto il
crollo di Ponte Morandi e un’infinità di problemi su tutta la rete
autostradale.
Le
loro azioni verrano comprate da Cdp, probabilmente al valore di mercato
al momento del passaggio di proprietà. E dunque senza quella
svalutazione drastica che sarebbe derivata da una scelta più radicale da
parte del governo. “I mercati” l’hanno capito così bene che il titolo
Atlantia, stamattina in Borsa, è schizzato in alto del 29,4%.
Soprattutto,
questo imbroglio consente di mantenere inalterata la “privatizzazione”
della gestione di infrastrutture pubbliche, costruite con fondi statali e
affidate a privati rapaci perché ne ricavino un ingiusto profitto.
Una
revoca sarebbe suonata come una vera nazionalizzazione, come una
minaccia agli altri gestori di concessioni pubbliche (da Gavio a Toto,
ecc) e in definitiva in una radicale correzione di rotta rispetto alle
politiche neoliberiste degli ultimi 30 anni, unitariamente perseguite da
centrosinistra e centrodestra.
In
definitiva, si tratta di un altro insulto alle 43 vittime della strage
di Ponte Morandi, ai loro familiari, alle famiglie che hanno perso la
casa a causa di crollo-demolizione-ricostruzione.
Il
che dà effettivamente la misura delle “qualità morali” di questo
governo e dei partiti che lo compongono, così come della cosiddetta
“opposizione” di centrodestra (che voleva, senza nasconderlo neanche
troppo, il mantenimento dello statu quo in mano ai Benetton, munifici finanziatori di tutti i partiti presenti in Parlamento).
P.s.
L’argomento tirato fuori dai giornali padronali, per cui non si poteva
revocare la concessione perché questo avrebbe comportato la perdita del
posto di lavoro per migliaia di dipendenti di Aspi è semplicemente falso.
Un falso per cui si sono spesi i migliori ideologi degli interessi
privati – pensiamo per esempio a Ferruccio De Bortoli, venerato
opinionista di via Solferino e dei “salotti buonissimi” – contando
sull’ignoranza diffusa e il silenzio complice dei sindacati concertativi
(CgilCislUil).
Persino
nei passaggi di proprietà tra società private, infatti, è previsto il
mantenimento dei posti di lavoro e dei contratti in essere (“clausola
sociale”). Impegni che naturalmente quasi tutte le neo-aziende poi
disattendono, ma che comunque sono obbligatori per legge.
Il
concetto semplice da capire è infatti: se anche la concessione viene
revocata, non è che tutto il lavoro intorno alle autostrade (caselli,
incasso pedaggi, manutenzione ordinaria, gestione delle emergenze di
traffico, funzioni amministrative, ecc) improvvisamente si ferma.
I
dipendenti, nel passaggio societario, restano al loro posto e con i
loro stipendi. Specie se a subentrare è lo Stato, anziché uno squalo
privato.
E
infatti, in tutto il pasticciare notturno, dei dipendenti non si è
preoccupato nessuno. Dovranno preoccuparsi loro, come sempre, quando
alla fine della temporanea presa di controllo pubblica, torneranno sotto
il comando di uno squalo più furbo.
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