A
meno di due anni dalle elezioni presidenziali del 2022 il “rimpasto
governativo” – la nuova composizione dell’esecutivo è stata comunicata
alle sette di lunedì sera – è l’ennesimo tentativo di recuperare
credibilità da parte del Presidente francese, specie dopo la batosta
delle elezioni amministrative.
“Macron gioca Macron per tentare di salvare la fine del suo Quinquennio”, titolava il primo commento a caldo del prestigioso quotidiano francese Le Monde, affidato a F. Frezzos.
In
questi anni la disaffezione civica verso il voto dei francesi è
cresciuta esponenzialmente, nonostante l’Esagono sia stato attraversato
da movimenti che hanno fortemente “ri-politicizzato” la società.
L’astensionismo
è passato dal 25,44% nel secondo turno delle presidenziali al 57,36%
delle legislative, e dal 49,88% delle europee dello scorso anno al 58,6%
del secondo turno delle elezioni amministrative.
Ormai
la Francia è divenuta un regime censitario “post-rappresentativo”, dove
le classi popolari, i giovani e le periferie praticamente non votano
più. A Seine Saint-Denis per esempio – comune della ex “cintura rossa”
parigina, persa dai comunisti in favore dei socialisti – l’astensione è
stata del 67,5%, con punte dell’80% in alcuni quartieri – quasi due
operai su tre, così come i giovani tra i 18 e 34 anni, non si è recato
alle urne.
E questo è un fenomeno che ha riguardato anche comuni come Marsiglia, dove una composita lista di sinistra (“Printemps Marsailleise”)
costruita attorno all’impegno militante di alcuni suoi animatori, con
al centro alcune lotte importanti e vittoriose in città – contro il
disagio abitativo e contro la partnership pubblico-privato nella scuola,
per esempio – hanno posto fine a 25 anni di gestione clientelare della
destra.
Nel
corso di questi tre anni – dalla sue elezione il 7 maggio del 2017 –
sono state numerose le defezioni di ministri anche di alto profilo in un
governo che ha potuto contare su una solida maggioranza governativa –
la creatura politica di Macron, LREM, aveva la maggioranza assoluta fino
a poco tempo fa, oltre all’appoggio dei deputati di MoDem e UDI – e su
una impalcatura istituzionale presidenzialista, che Macron ha
interpretato da “monarca repubblicano”.
Come afferma Edwy Plenel di Mediapart: “il nostro presidenzialismo è un regime d’eccezione divenuto norma”,
che fa di un uomo solo al comando l’arbitro in grado di fare e disfare
senza alcun contrappeso, senza reale bilanciamento del suo operato,
senza alcun vettore in grado di fare da cinghia di trasmissione per
correggere la rotta.
Lui da un lato, rappresentante di un’oligarchia piuttosto opaca e sorda ai bisogni popolari, e dall’altra “le peuple”,
che però non ha trovato un output politico adeguato, in grado di
rappresentare l’estrema vivacità di ciò che si muove in piazza.
In
questi tre anni l’agenda politica neo-liberista è sempre rimasta la
stessa, nonostante il cambio di narrazione che ha cercato di adattarsi
alle esigenze contingenti. In questa ultima trasformazione una maggiore
enfasi sembra essere data alla questione ecologica – visto tra l’altro
il “successo” dei verdi alle recenti elezioni amministrative – alla
discriminazione razziale (tenendo conto delle le mobilitazioni avvenute
anche in Francia dopo la morte di George Floyd), oltre all’attenzione al
settore sanitario, mobilitato dalla primavera del 2019 e quasi subito
tornato in piazza con la fine del “confinamento”.
Il
tentativo di dare una parvenza di maggiore dialogo e concertazione dopo
la “marea gialla”, in quello che voleva essere l’“Atto II” della sua
Presidenza, girando pagina, è stato un flop, come ammettono candidamente
gli analisti.
Il
segno di Macron resta infatti ferocemente neo-liberista. Ne sono una
prova le sue dichiarazioni sulla volontà di portare a compimento
contestata la riforma pensionistica, osteggiata da un inedito sciopero
ad oltranza da parte dei ferrovieri e di quelli della metro parigina
durante l’ultimo inverno, da una serie di scioperi generali e da
massicce mobilitazioni in tutto l’Esagono.
La
“sinistra” di LREM avrebbe voluto un approccio più “dialogante”, su
questo e su tutta una serie di dossier che in questa difficile
congiuntura implicherebbero un nuovo “patto sociale”, ma che una
Presidente senza consenso, che si appoggia ad una creatura politica non
radicata e senza alcun corpo intermedio di riferimento, non può
costruire.
Numerose
sono le crisi che ha conosciuto la Presidenza Macron già prima
dell’emergenza Covid-19; dall’“Affaire Benalla”, passando per il
movimento dei Gilets Jaunes e giungendo alle mobilitazioni invernali
contro la “pensione a punti”.
Più
la sua popolarità è calata, più ha guardato “a destra”, in un
distillato di politiche liberiste, torsione autoritaria e notevole
spinta repressiva.
Come ha dichiarato lo stesso Macron alla stampa regionale prima del rimpasto. “credo che la direzione verso cui mi sono mi sono impegnato nel 2017 resti vera”.
Il
cambiamento dell’esecutivo è avvenuto dopo le dimissioni presentate dal
Primo Ministro E. Philippe, venerdì scorso, e il quasi contestuale
annuncio della nomina di Jean Castex per questa carica.
L’ex
capo del governo, dopo la sua riconferma elettorale come sindaco di Le
Havre, nel secondo turno delle elezioni amministrative la settimana
precedente, aveva consegnato “a sorpresa” le dimissioni, accettate dal
Presidente.
Philippe,
che proveniva dal gaullismo – dall’UMP – era stato collaboratore di
Alain Juppé e faceva parte di quella compagine di politici di LR entrati
a far parte della compagine governativa senza prendere la tessera di
LREM, all’inizio aveva il ruolo di “bilanciare a destra” l’immagine di
un presidente che era stato ministro durante la precedente presidenza
del socialista Hollande.
In realtà sempre più quadri gaullisti, nel corso del tempo, hanno rimpolpato le file governative.
Castex,
si inserisce in questo solco, un anonimo funzionario di destra – tra
l’altro ex stretto collaboratore di Sarkozy durante la sua presidenza –
un tecnocrate proveniente dall’ENA, che i francesi hanno conosciuto per
l’elaborazione del piano di “de-confinamento” a partire dall’11 maggio.
A
differenza del suo predecessore ha preso la tessera di LREM, e sembra
volere essere un elemento propulsivo e coagulante della maggioranza
parlamentare, guidando questo tentativo di “riassembramento”.
Una
figura destinata ad essere in secondo piano rispetto a Macron – un
“collaboratore” è stata la definizione data dalla stampa – che infatti
anticiperà il suo Primo Ministro parlando il 14 luglio, prima che questo
possa esporre ai deputati il suo progetto governativo, come sarebbe
prassi, soprattutto considerato che enfatizza il suo ruolo di esponente
della “maggioranza governativa”.
Come scrivono C. Pietralunga e A. Lemane sul quotidiano francese Le Monde, il 3 luglio: “c’è l‘impressione
di una messa sotto tutela, rinforzata dalla scelta, per dirigere la
cabina del primo ministro, di Nicolas Revel (…) vicino a Macron”. Un fedelissimo che aveva già cercato di “piazzare” a Matignon, incontrando però il diniego di Philippe.
Macron
quindi vuole tenere saldo in mano il timone, timoroso dei segnali di
riconfigurazione del paesaggio politico; a sinistra lungo l’asse Partito
Socialista (PS) e verdi (EELV), ma anche dei suoi possibili avversari a
destra tra LR, anche se RN (Le Pen) ha dimostrato di abbaiare senza
però mai mordere.
Sono
9 i nuovi ministri, compreso il Primo Ministro; ed escono dalla
compagine governativa alcuni nomi di peso come Castaner, Belloubet,
Ndiaey, Pénicaud.
Il
ministro dell’Interno C. Castaner è stato sostituito da G. armanin,
dopo il suo arrivo a place Beauvau il 16 ottobre del 2018. Uomo vicino
al Presidente, era stato nominato dopo le dimissioni a sorpresa di G.
Collomb, ex-notabile socialista, due volte sindaco di Lione, che ha
perso alle recenti elezioni amministrative.
Eric-Dupont
Moretti, avvocato proveniente dalle file della società civile, diviene
“guarda-sigilli”; alla cultura va la ex-gaullista (UMP) Roselyne
Bachelot, mentre Barbara Pompili, ex “verde” passata a LREM, diviene
ministra dell’ecologia.
Membri
della società civile, ex gaullisti e centristi, esponenti padronali,
sono i protagonisti di questo rimpasto “gattopardesco” di ministri e
delegati con un tocco di “rosa”: sono infatti sei le nuove ministre.
La
scelta di Moretti – che sostituisce Belloubet – è un gesto di
distensione verso gli avvocati, fortemente mobilitati contro la riforma
pensionistica, ma è una figura piuttosto esposta, mediaticamente
divisiva e osteggiata dai magistrati.
Il Presidente dei ricchi si conferma tale. Sarà la piazza a decidere il suo destino, come per ogni monarca giunto al crepuscolo.
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