Che
qualcosa di significativo fosse nell’aria era stato chiaro sin
dall’antivigilia. Il fatto che Vladimir Putin avesse anticipato al 15
gennaio il messaggio all’Assemblea Federale, che tradizionalmente
rivolgeva un po’ più tardi, aveva messo sull’avviso.
E infatti è arrivata puntuale la stangata: di fronte a deputati, senatori, Governo, presidenti di Corte costituzionale, Corte dei Conti, Procuratore generale e patriarca Kirill, Putin ha elencato una serie di non poco conto di correzioni costituzionali da apportare ai poteri di Duma, Consiglio di Stato, autonomie regionali. Dopo di che, con una rapidità difficilmente scambiabile per “casuale”, sono arrivate le dimissioni dell’intero governo e la candidatura del nuovo Presidente del consiglio da parte di Putin. Tutto questo, tra le 10 e le 15 di mercoledì 15 gennaio.
Passa così, dal puro campo speculativo a quello delle reali manovre di potere, quanto ipotizzato da tempo e messo poi nero su bianco oltre un anno fa, in coincidenza con alcune esternazioni del Presidente della Corte costituzionale, Valerij Zorkin. In sintesi, non una nuova Costituzione, ma alcuni “aggiustamenti” dell’attuale carta eltsiniana, nel quadro di una revisione della ripartizione dei poteri tra i massimi organi statali; un maggior bilanciamento tra esecutivo e legislativo, e anche tra Presidente e governo; più “sintonia” tra potere centrale e regioni: quello che Zorkin aveva definito come “necessità che il governo locale divenga l’anello più basso del potere centrale”.
E, non di poco conto: prevalenza sia della Costituzione, sia di tutta la legislazione russa, sulle norme internazionali. Il potere, scrive oggi ROTFront, sta compiendo “un ulteriore passo verso l’arbitrio. Ora, sarà possibile adottare qualsiasi legge che annulli l’efficacia degli accordi internazionali, in primo luogo i diritti umani e gli interessi dei lavoratori: sarà possibile, ad esempio, annullare l’effetto sul territorio russo delle convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro”. Ancora: si potranno ignorare “trattati e norme internazionali che interferiscano con le opportunità della borghesia russa, si potranno introdurre dazi su import e export e sarà molto più facile per i capitalisti russi eludere le sanzioni internazionali”.
Secondo Putin, le modifiche proposte non incidono sui fondamenti della Carta, così da poter essere approvate dal Parlamento con procedura normale. La Russia rimane in ogni caso una Repubblica presidenziale.
Dopo alcuni punti, che sembravano messi apposta per rispondere alle richieste dell’opposizione di sinistra (il KPRF di Gennadij Zjuganov ha da anni al centro della propria politica la parola d’ordine “Dimissioni del governo Medvedev”), in particolare sui problemi sociali più acuti – pauroso calo demografico, sostegno alle famiglie, istruzione, sanità, salario minimo, minimo di sussistenza, ecc. – Putin è venuto al dunque delle variazioni costituzionali, da sottoporre al voto dei cittadini, forse con referendum. Dunque: trasferimento della nomina di Premier e Ministri nelle mani dell’Assemblea federale (Duma e Senato), che oggi può solo dare il proprio consenso alla loro nomina da parte del Presidente.
Se la correzione verrà accolta, saranno i deputati ad avanzare le candidature e il Presidente non potrà respingerle, pur mantenendo il diritto di congedare il Governo. Per quanto riguarda rafforzamento e istituzionalizzazione del Consiglio di stato (sul cui ruolo l’attuale Costituzione tace), non pochi lo vedono quale nuova poltrona, di peso, per Vladimir Putin, allorché nel 2024 dovrà lasciare il Cremlino in mano a una figura presidenziale che sarà ben lontana dai poteri concessigli oggi dalla Costituzione e un Governo controllato dalla Duma.
Per il politologo Aleksej Makarkin, il discorso di Putin significa che la trasmissione di poteri è già iniziata e la prospettata sostanziale limitazione del futuro Presidente potrà togliere “drammaticità” alla questione su chi sostituirà Vladimir Vladimirovič: chiunque sia, sarà una figura che non potrà mettere in ombra gli altri rami della élite .
Così, a tempo di record, Putin ha accolto le dimissioni di Medvedev e dei suoi Ministri e porterà oggi all’esame della Duma la candidatura del nuovo premier, il cinquantaquattrenne attuale capo del Servizio fiscale federale, Mikhail Mišustin. L’art.111 della Costituzione dice che il Premier è nominato dal Presidente con il consenso della Duma di Stato; al comma 4, specifica che, in caso di triplice diniego della Duma sulla candidatura del Premier, il Presidente nomina il Premier, scioglie la Duma e indice le elezioni. Per gli sprovveduti che avessero qualche dubbio, stamattina la Tass precisava che fonti di “Russia Unita” (343 deputati su 450 alla Duma) hanno già confermato che il partito sosterrà la candidatura di Mišustin. Da non credere!
Putin ha già trovato lavoro anche per il dimissionario Medvedev: per lui sarà istituita la nuova figura di vice Presidente del Consiglio di sicurezza.
Resta a vedere se, quanto e in cosa, su quali politiche, il nuovo governo si differenzierà dall’attuale, cui Putin ha chiesto di continuare il lavoro ordinario fino alla formazione del nuovo esecutivo.
La reazione del KPRF è stata affidata a Gennadij Zjuganov: “Insistevamo da tempo per un cambio di rotta e la formazione di un Governo di difesa degli interessi nazionali”. Riferendosi ai punti “sociali” toccati di sfuggita da Putin, Zjuganov ha detto che, “alla fine si sono resi conto che il paese sta morendo; noi appoggeremo una serie di proposte presidenziali. Ho più volte dichiarato che con questo corso non risolveremo nessun compito. È necessario un bilancio di sviluppo, che consenta al paese di avanzare sicuro, di rafforzare la sfera sociale, l’economia, la demografia”. Nel segno della “concordia nazionale”, di cui è da sempre assertore, Zjuganov ha detto: “Spero che, tutti insieme, faremo un passo in avanti”.
Quanto a passi, meno ottimista il suo compagno di partito, membro del Presidium del KPRF, Valerij Raškin che, per quanto riguarda le dimissioni del governo Medvedev, parla di “passo ammortizzatore”: di fronte alla profonda insoddisfazione del popolo, Putin “doveva pur sacrificare qualcosa e qualcuno”.
“La cosa più importante” ha detto stamani il futuro premier Mišustin, incontrandosi coi deputati di “Russia Unita”, è “rimuovere le barriere per il business, ridurre i costi per il business, parlare in modo concreto con il business”. Appunto.
L’ex deputato del KPRF, Ivan Nikitčuk, ha freddamente osservato che Putin, nel discorso del 15 gennaio, “i problemi chiave non li ha nemmeno toccati. Ad esempio, il fatto che giorno per giorno un pugno di oligarchi derubi il nostro paese, ne estragga tutte le ricchezze, creando così miseria di massa, mancanza di diritti, assenza di prospettive e di fiducia nel futuro, selvaggia stratificazione sociale”.
Su questo, attendiamo sfiduciosi.
E infatti è arrivata puntuale la stangata: di fronte a deputati, senatori, Governo, presidenti di Corte costituzionale, Corte dei Conti, Procuratore generale e patriarca Kirill, Putin ha elencato una serie di non poco conto di correzioni costituzionali da apportare ai poteri di Duma, Consiglio di Stato, autonomie regionali. Dopo di che, con una rapidità difficilmente scambiabile per “casuale”, sono arrivate le dimissioni dell’intero governo e la candidatura del nuovo Presidente del consiglio da parte di Putin. Tutto questo, tra le 10 e le 15 di mercoledì 15 gennaio.
Passa così, dal puro campo speculativo a quello delle reali manovre di potere, quanto ipotizzato da tempo e messo poi nero su bianco oltre un anno fa, in coincidenza con alcune esternazioni del Presidente della Corte costituzionale, Valerij Zorkin. In sintesi, non una nuova Costituzione, ma alcuni “aggiustamenti” dell’attuale carta eltsiniana, nel quadro di una revisione della ripartizione dei poteri tra i massimi organi statali; un maggior bilanciamento tra esecutivo e legislativo, e anche tra Presidente e governo; più “sintonia” tra potere centrale e regioni: quello che Zorkin aveva definito come “necessità che il governo locale divenga l’anello più basso del potere centrale”.
E, non di poco conto: prevalenza sia della Costituzione, sia di tutta la legislazione russa, sulle norme internazionali. Il potere, scrive oggi ROTFront, sta compiendo “un ulteriore passo verso l’arbitrio. Ora, sarà possibile adottare qualsiasi legge che annulli l’efficacia degli accordi internazionali, in primo luogo i diritti umani e gli interessi dei lavoratori: sarà possibile, ad esempio, annullare l’effetto sul territorio russo delle convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro”. Ancora: si potranno ignorare “trattati e norme internazionali che interferiscano con le opportunità della borghesia russa, si potranno introdurre dazi su import e export e sarà molto più facile per i capitalisti russi eludere le sanzioni internazionali”.
Secondo Putin, le modifiche proposte non incidono sui fondamenti della Carta, così da poter essere approvate dal Parlamento con procedura normale. La Russia rimane in ogni caso una Repubblica presidenziale.
Dopo alcuni punti, che sembravano messi apposta per rispondere alle richieste dell’opposizione di sinistra (il KPRF di Gennadij Zjuganov ha da anni al centro della propria politica la parola d’ordine “Dimissioni del governo Medvedev”), in particolare sui problemi sociali più acuti – pauroso calo demografico, sostegno alle famiglie, istruzione, sanità, salario minimo, minimo di sussistenza, ecc. – Putin è venuto al dunque delle variazioni costituzionali, da sottoporre al voto dei cittadini, forse con referendum. Dunque: trasferimento della nomina di Premier e Ministri nelle mani dell’Assemblea federale (Duma e Senato), che oggi può solo dare il proprio consenso alla loro nomina da parte del Presidente.
Se la correzione verrà accolta, saranno i deputati ad avanzare le candidature e il Presidente non potrà respingerle, pur mantenendo il diritto di congedare il Governo. Per quanto riguarda rafforzamento e istituzionalizzazione del Consiglio di stato (sul cui ruolo l’attuale Costituzione tace), non pochi lo vedono quale nuova poltrona, di peso, per Vladimir Putin, allorché nel 2024 dovrà lasciare il Cremlino in mano a una figura presidenziale che sarà ben lontana dai poteri concessigli oggi dalla Costituzione e un Governo controllato dalla Duma.
Per il politologo Aleksej Makarkin, il discorso di Putin significa che la trasmissione di poteri è già iniziata e la prospettata sostanziale limitazione del futuro Presidente potrà togliere “drammaticità” alla questione su chi sostituirà Vladimir Vladimirovič: chiunque sia, sarà una figura che non potrà mettere in ombra gli altri rami della élite .
Così, a tempo di record, Putin ha accolto le dimissioni di Medvedev e dei suoi Ministri e porterà oggi all’esame della Duma la candidatura del nuovo premier, il cinquantaquattrenne attuale capo del Servizio fiscale federale, Mikhail Mišustin. L’art.111 della Costituzione dice che il Premier è nominato dal Presidente con il consenso della Duma di Stato; al comma 4, specifica che, in caso di triplice diniego della Duma sulla candidatura del Premier, il Presidente nomina il Premier, scioglie la Duma e indice le elezioni. Per gli sprovveduti che avessero qualche dubbio, stamattina la Tass precisava che fonti di “Russia Unita” (343 deputati su 450 alla Duma) hanno già confermato che il partito sosterrà la candidatura di Mišustin. Da non credere!
Putin ha già trovato lavoro anche per il dimissionario Medvedev: per lui sarà istituita la nuova figura di vice Presidente del Consiglio di sicurezza.
Resta a vedere se, quanto e in cosa, su quali politiche, il nuovo governo si differenzierà dall’attuale, cui Putin ha chiesto di continuare il lavoro ordinario fino alla formazione del nuovo esecutivo.
La reazione del KPRF è stata affidata a Gennadij Zjuganov: “Insistevamo da tempo per un cambio di rotta e la formazione di un Governo di difesa degli interessi nazionali”. Riferendosi ai punti “sociali” toccati di sfuggita da Putin, Zjuganov ha detto che, “alla fine si sono resi conto che il paese sta morendo; noi appoggeremo una serie di proposte presidenziali. Ho più volte dichiarato che con questo corso non risolveremo nessun compito. È necessario un bilancio di sviluppo, che consenta al paese di avanzare sicuro, di rafforzare la sfera sociale, l’economia, la demografia”. Nel segno della “concordia nazionale”, di cui è da sempre assertore, Zjuganov ha detto: “Spero che, tutti insieme, faremo un passo in avanti”.
Quanto a passi, meno ottimista il suo compagno di partito, membro del Presidium del KPRF, Valerij Raškin che, per quanto riguarda le dimissioni del governo Medvedev, parla di “passo ammortizzatore”: di fronte alla profonda insoddisfazione del popolo, Putin “doveva pur sacrificare qualcosa e qualcuno”.
“La cosa più importante” ha detto stamani il futuro premier Mišustin, incontrandosi coi deputati di “Russia Unita”, è “rimuovere le barriere per il business, ridurre i costi per il business, parlare in modo concreto con il business”. Appunto.
L’ex deputato del KPRF, Ivan Nikitčuk, ha freddamente osservato che Putin, nel discorso del 15 gennaio, “i problemi chiave non li ha nemmeno toccati. Ad esempio, il fatto che giorno per giorno un pugno di oligarchi derubi il nostro paese, ne estragga tutte le ricchezze, creando così miseria di massa, mancanza di diritti, assenza di prospettive e di fiducia nel futuro, selvaggia stratificazione sociale”.
Su questo, attendiamo sfiduciosi.
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