Il mondo è dei banchieri, si dice ed è vero. Ma non del tutto. O almeno non dappertutto.
Mettiamo in fila tre
notizie. La prima riguarda l’Italia e una storia ormai “stagionata”: il
crack di Banca Etruria – l’istituto dove Licio Gelli aveva aperto il
conto per le iscrizioni alla Loggia P2.
La
novità sta nel rinvio a giudizio, davanti al giudice monocratico del
tribunale di Arezzo per bancarotta colposa, di Pierluigi Boschi e altri
tredici ex dirigenti e consiglieri dell’ultimo cda dell’istituto di
credito prima del fallimento. Secondo l’accusa tutti costoro non
avrebbero vigilato su consulenze ritenute “inutili e ripetitive”. In
pratica delle elargizioni senza alcun corrispettivo, mascherate come
incarichi con parcelle per 4,5 milioni di euro affidati a Mediobanca e
Bain e agli studi legali Zoppini di Roma e Grande Stevens di Torino (il
cui titolare, Franzo, è stato famoso come “l’avvocato dell’Avvocato”,
ossia di Gianni Agnelli).
Un reato minore, per il
padre dell’ex ministra iper-renziana Maria Elena, dopo esser stato
prosciolto per ben due volte, che non comporta particolari rischi
(massimo della pena due anni e mezzo, ma col beneficio della
condizionale e della “non menzione” al casellario giudiziario; ossia con
la fedina penale che resta “pulita”).
Il caso di Banca Etruria è
diventato famoso – oltre che per l’evidente collegamento politico con
il “giglio magico” e per l’iperattivismo della ex ministra nel cercare
qualche “salvatore” – per le migliaia di normali correntisti che sono
rimasti truffati dopo esser stati “convinti” ad acquistare “obbligazioni
secondarie” emesse dalla stessa banca, invendibili sul mercato e di
valore zero al momento del fallimento.
Per tutto questo, insomma, non pagherà nessuno,
Effettivamente, dunque, si può dire che “il mondo è dei banchieri”. Qui da noi.
Seconda notizia, sempre italiana: il crack della Popolare di Bari, controllata e diretta dalla famiglia Jacobini, che occupava tutti i ruoli dirigenti (presidente, vice, direttore generale, vice, ecc) di una banca anch’essa guidata consapevolmente verso il fallimento.
Scrive il Corriere della Sera nell’articolo “Popolare di Bari, la girandola di ville e immobili degli Jacobini”, a firma di Federico Fubini: “In quel maggio 2016 il più giovane dei figli del banchiere Jacobini, il rampollo considerato più abile nelle operazioni finanziarie, deve compierne una delicata: trasferisce sette immobili in un fondo patrimoniale intestato a se stesso e alla moglie Amalia Alicino, che ha sposato cinque anni prima. L’intenzione dichiarata è di «far fronte ai bisogni della famiglia». La natura dei beni è sicuramente in grado di garantire il futuro di questo ramo degli Jacobini. I primi quattro immobili costituiscono un complesso di circa duemila metri quadri nella splendida cornice di Polignano a Mare. C’è poi la parte di Gianluca della nuda proprietà di un appartamento in un quartiere elegante di Bari che il padre aveva comprato vent’anni prima intestandolo ai figli; e la proprietà pro-quota di un altro appartamento di sette vani non lontano dall’ateneo cittadino.”
Che cosa c’è di strano o illegale? Nulla, secondo la legge. “Costituire un fondo patrimoniale per Gianluca Jacobini è un’operazione legittima per cercare di proteggere i beni di una famiglia, anche se a volte le giovani coppie ci pensano al momento di sposarsi e non anni dopo. Ma stavolta l’atto notarile cade in un momento particolare. Due settimane prima l’assemblea della Popolare di Bari si era rivelata la più dolorosa nella storia della banca: il bilancio approvato riporta per il 2015 una perdita molto pesante, 295 milioni, mentre i requisiti patrimoniali subiscono un’erosione di circa l’uno per cento. Per la prima volta la crisi inizia a farsi conclamata. Soprattutto, l’assemblea era stata il primo innesco del panico fra i quasi 70 mila azionisti della Popolare di Bari: delibera la riduzione da 9,53 a 7,5 euro del titolo della banca, dopo che nei due anni precedenti la banca aveva piazzato azioni alla clientela per 330 milioni. Migliaia di piccoli risparmiatori che cercavano di vendere le proprie quote, senza riuscirci, iniziano a capire che rischiano di perdere molto, o tutto. Proprio nella prima metà del 2016 la Banca d’Italia chiede alla Bari di indagare sulle operazioni “baciate” (prestiti concessi in contropartita di sottoscrizioni azionarie) e da giugno la vigilanza avvierà una nuova ispezione il cui esito sarebbe stato «parzialmente sfavorevole».
Qui il meccanismo della truffa è molto simile a quello usato da Etruria: titoli non commerciabili venduti a clienti inconsapevoli (e non ben informati sui rischi), mentre i dirigenti della banca “si tutelano” da possibili richieste di risarcimento trasferendo le proprie (ricchissime) proprietà immobiliari in un “fondo patrimoniale” formalmente sganciato dalla famiglia stessa.
L’esperto Fubini capisce benissimo il senso e infatti scrive: “il risultato di fatto dell’operazione è che il banchiere rafforza le proprie difese contro eventuali azioni di responsabilità e richieste di risarcimenti – fondate o no, lo diranno i giudici — anche con le mosse successive. Nell’autunno 2018 la Consob sanziona infatti venti dirigenti della Bari, fra cui Gianluca Jacobini, per come hanno piazzato a clienti spesso ignari e impreparati dei titoli oggi di fatto azzerati. Il 2018 della banca si chiuderà con la perdita-monstre di 430 milioni. E il 4 gennaio 2019 l’uomo che in quel momento era ancora condirettore della Bari, presieduta da suo padre, ottiene dallo stesso istituto un mutuo ipotecario trentennale da 300 mila euro garantito dalla favolosa residenza di Polignano a Mare già messa nel fondo patrimoniale. La tenuta di conseguenza diventa ancora più difficile da aggredire con azioni risarcitorie”.
Insomma: anche se la magistratura dovesse infine processare gli Jacobini e condannarli, ai clienti truffati non verrà da loro restituito neanche un centesimo, perché si sono messi al sicuro molto prima che la situazione della banca precipitasse ufficialmente.
Anche in questo caso, dunque, si può dire che “il mondo è dei banchieri”. Qui da noi.
La terza notizia è simile, ma con esito molto diverso. Scrive sempre il Corriere della Sera: il banchiere “Jiang Xiyun, è stato condannato a morte dal tribunale, con una ‘grazia’ temporanea di due anni, per aver incassato illecitamente una somma superiore ai 100 milioni di dollari.”
Cosa ha fatto, concretamente? “L’ex banchiere è stato ritenuto colpevole di aver trasferito 754 milioni di yuan (108 milioni di dollari) in azioni della Hengfeng sui suoi conti personali in un periodo che va dal 2008 al 2013. Avrebbe inoltre incassato mazzette per altri 60 milioni di yuan insieme a un altro manager della stessa banca”.
Le leggi cinesi sono ovviamente molto diverse da quelle italiane, ma il caso concreto non è molto differente. Un banchiere bastardo si carica sul conto personale somme che avrebbero dovuto restare nelle casse della Hengfeng Bank, compromettendone la funzionalità – insieme ad altre operazioni “spericolate” – fino al punto da dover essere salvata dallo Stato.
L’esito finale è però decisamente opposto: in Italia i banchieri “felloni” quasi sempre riescono ad evitare la galera e addirittura cercano di non rimetterci nemmeno un soldo proprio, in Cina vengono condannati a morte.
Come i nostri lettori sanno, siamo decisamente contrari alla pena di morte e persino all’”ergastolo ostativo” (che comunque non è mai stato comminato a nessun banchiere). Però l’impunita dei banchieri ci sembra decisamente inaccettabile.
La diversità di “sistema sociale”, oltre che giuridico, tra mondo occidentale e Cina emerge qui con notevole nettezza. Nonostante un per molti versi utopico tentativo di “utilizzare il capitalismo per creare la ricchezza su cui edificare il ‘socialismo con caratteristiche cinesi’”, che prevede un ruolo importante per le attività delle banche private, il mondo non è lì dei banchieri.
O perlomeno non lo è al punto da garantire loro l’impunità totale. Anzi…
Inutile castellarci sopra lunghi ragionamenti sulle “società di transizione”. Ci sembra sufficiente, per ora, sapere che c’è una certa differenza. E pure abbastanza importante.
P.s. Per chi si dovesse commuovere anzitempo per la sorte del banchiere condannato a morte, riportiamo la precisazione fornita dallo stesso Corriere: “secondo il diritto cinese una condanna a morte con un periodo di “grazia” può essere trasformata in una condanna a vita se la persona colpita dimostra, nel frattempo, una buona condotta”.
Resterà vivo, insomma, ma sconterà l’ergastolo.
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