Se
dovessimo mutuare una espressione tal volta abusata per ciò che sta
avvenendo nell’Esagono, dovremmo parlare di “Autunno Caldo” francese.
Ad
un anno esatto dall’irrompere sulla scena politica della marea gialla
il 17 novembre scorso, che si è ripresa prepotentemente strade e piazze
in questo week end anche senza l’effetto impattante dello scorso anno,
per il 53esimo sabato di mobilitazione, la Francia si avvia verso una
data che sarà probabilmente uno nuovo spartiacque della storia politica:
il 5 dicembre.
La “marea gialla”, un anno dopo
Ad un anno esatto dalle mobilitazioni dei gilets jaunes
un sondaggio di Odoxa-Dentsu Consulting ha rivelato che il 69% degli
intervistati giudica il movimento “giustificato”, e solo un esiguo 13%
la pensa all’opposto.
Il
58% delle persone sostiene – sempre secondo il sondaggio – che la
mobilitazione è stata una cosa positiva per la gente; un dato che, se
scorporato per fasce di reddito, sale quando scende la condizione
economica.
Allo
stesso tempo il 65% pensa che Macron e l’Esecutivo non hanno fatto
abbastanza, tenendo conto di ciò che ha espresso il movimento.
In
buona sostanza, nonostante il costante terrorismo mediatico e le varie
operazioni tese a ricostruire una narrazione positiva attorno al
“Presidente dei Ricchi” e del suo governo, la maggior parte dei francesi
è favorevole alle “giacche gialle” e ritiene insufficiente l’azione
intrapresa dalla coalizione governativa, proprio alla vigilia dello
scoglio della riforma pensionistica.
La
marea gialla, oltre ad avere cambiato in profondità la società
francese, è stata l’unico movimento – dai tempi delle mobilitazioni
contro il CPE di metà Anni Duemila – che ha ottenuto dei risultati
tangibili.
In
due riprese la popolazione – quindi non solo i diretti partecipanti –
ha beneficiato delle lotte dei GJ: in questo senso sono le giacche
gialle sono state le vere rappresentanti della volontà generale.
Pressato
dalla marea gialla l’Esecutivo ha dovuto “sborsare” qualcosa come 17
miliardi di euro. Prima in dicembre, con una serie di disposizioni
comunque parziali, di cui hanno beneficiato le fasce meno abbienti:
pieno di produzione di fine anno facoltativo, defiscalizzato così come
gli straordinari; aumento dello SMIC (il salario minimo
inter-categoriale comunque previsto) e soppressione della tassazione –
la CSG – per le fasce più basse delle pensioni.
A fine aprile poi, dopo la celebrazione comunque abbastanza infruttuosa del Gran Débat (almeno
per ciò che concerne la ricomposizione della frattura tra Macron ed il
Paese), sono state abbassate le imposte sui redditi (5 miliardi di euro
in totale), avendo come target specifico le classi medie, e sono state
re-indicizzate parzialmente le pensioni.
Secondo
quanto riferisce l’OFCE, il potere d’acquisto – anche per questo –
dovrebbe aumentare di 800 euro. Qualcosa di mai visto dal 2007, un
incremento dovuto “per metà” ai risultati ottenuti dal movimento.
Certamente
alcune richieste specifiche di natura sociale sono state ampiamente
disattese – per non parlare di quelle più politiche – come per esempio
il ripristino della patrimoniale, la ISF, abolita da Macron nel mentre
si apprestava a far pagare una “tassa ecologica” innalzando le accise su
carburanti, poi eliminate, motivo scatenante dell’inizio delle
mobilitazioni.
La
marea gialla ha comunque dato luogo ad un consolidamento organizzativo,
tendenzialmente attraverso due esperienze come “l’assemblea delle
assemblee” – giunta al suo quarto appuntamento, con delegati da tutto
l’Esagono e che ha recentemente dato indicazione di partecipare alle
mobilitazioni per lo sciopero generale – e la “linea gialla” di uno dei
portavoce più autorevoli dei GJ, l’avvocato F. Boulo.
Altre
figure uscite dall’anonimato politico sociale si sono affermate come
elementi di spicco del movimento, come Priscilla Ludosky, Eric Drouet,
“Fly Rider” e Jerôme Rodriguez.
I GJ sono stati una scuola di educazione politica di massa
su un ampio spettro di temi, ed hanno permesso l’intersezione con una
serie di lotte come quella ecologista, sintetizzata dallo slogan che ha
precocemente caratterizzato la convergenza dei vari settori mobilitati
con le parole d’ordine: “fine del mese, fine del mondo: stessa lotta”.
Ha
dato impulso, con la sua insistenza sul tema referendario, alla
mobilitazione per l’organizzazione del referendum contro la
privatizzazione di alcuni importanti scali aeroportuali, approvata
dall’attuale esecutivo.
Lo
stile “gilets jaunes” ha influenzato l’azione dei lavoratori in quanto
tali e dato vita ad importanti convergenze in numerose città (Marsiglia,
Boredaux, Tolosa), ed anche a forme di lotta di fatto ispirate allo
spirito di “azione diretta” dei GJ. Dai blocchi della logistica, come a
Rungis – uno dei maggiori hub logistici francesi – alle recenti
fermate nel settore ferroviario per la sicurezza, così come per gli
insegnanti con le “stylos rouges”.
Ma
gli esempi potrebbero moltiplicarsi, perché i singoli settori entrati
in lotta hanno indirettamente beneficiato di un mutata sensibilità
sociale e del dissipamento del consenso rispetto all’operato di Macron,
sia che fossero pompieri od insegnanti, studenti o assistenti-materne.
Per usare le parole del politologo J. Sainte-Marie – autore di Bloc contre bloc, la dynamique du macronisme – “il conflitto dei ‘gilets jaunes’ ha risvegliato nell’opinione pubblica una immaginario della lotta di classe”,
affermando la contrapposizione tra un “blocco elitario” ed un “blocco
popolare”, che ha di fatto sostituito e superato la vecchia clivage tra destra e sinistra.
Il
movimento ha mostrato a tutti la simbiosi tra politiche di austerity e
torsione autoritaria, in un crescendo repressivo che ha implementato il
suo ingombrante bagaglio repressivo con la loi “anti-casseur” del
10 aprile; e fatto uso di tutto l’arsenale a disposizione delle forze
dell’ordine (dalle pallottole di gomma alle granate dis-accerchianti
esplosive) ed ha soprattutto perpetuato nei fatti lo “Stato
d’Emergenza”, senza che dovesse essere formalmente proclamato. Spesso
proibendo le manifestazioni nei centri cittadini, cercando di impedire
gli stessi concentramenti dei manifestanti sul nascere, facendo un
numero spropositato di feriti e “mutilando” le persone ed, ora,
caratterizzandosi per una maggiore propensione ad ingaggiare lo scontro
fisico.
Le
violenze poliziesche, pervicacemente negate dall’establishment politico
governativo, sono state puntualmente denunciate, anche grazie
all’encomiabile lavoro d’inchiesta del giornalista indipendente David
Dufresne. A metà maggio erano poco meno di 800 le segnalazioni, tra cui 1
morto, 286 feriti alla testa, 24 mutilati e 5 mani “saltate in aria”.
Un vero e proprio bollettino di guerra.
La filosofia del “mantenimento dell’ordine alla francese” è ormai mutata dal contenimento alla vera e propria “force de frappe”.
In
sintesi, Macron durante questo anno ha dato una spinta decisiva alla
“militarizzazione” del conflitto sociale ed il bilancio è un inedito
nella storia francese. Diamo alcune cifre basandosi sulle verifiche
fatte dall’équipe di Check-news di Libèration.
Da
novembre a fine giugno, un migliaio di persone sono state condannate al
carcere, erano 762 in aprile, con pene che variano da qualche mese a
tre anni – 400 con l’incarcerazione immediata e 600 con possibilità di
“concordare” la pena.
1.230 altri GJ sono stati condannati a delle pene detentive “avec surcis” e più di 900 ad altre pene, come a dei lavori di interesse generale o dei “jours-amendes”.
Su
queste più di 3.000 condanne, circa 2/3 sono state pronunciate nel
quadro di processi “per direttissima”. Naturalmente sono numeri
“approssimativi”, che devono tenere conto dello svolgimento dei futuri
processi.
10.852 GJ sono stati posti in stato di fermo (“garde à vue”), e 2.200 procedimenti si sono conclusi in un nulla di fatto senza procedimenti giudiziari.
Da
una inchiesta di fine settembre del giornale indipendente on-line
“Bastamag”, che ha analizzato 700 condanne alla detenzione carceraria,
si evince che “le violenze contro le forze dell’ordine” sono
state il reato più contestato, tra le quali il “lancio di proiettili” è
di gran lunga in testa. In pratica si è trattato dell’unica possibilità
di contenere la violenza della polizia nel contesto di piazza, più che
altro una forma di auto-difesa dei manifestanti.
Bisogna
ricordare che molti GJ sono stati condannati dopo l’11 aprile per il
reato di “travisamento”, che può essere comminato per il possesso di un
qualsiasi indumento protettivo, come gli occhiali, e numerosi sono
coloro che hanno perso la vista in seguito al lancio delle LBD…
A
fronte di questo – anche per i meccanismi “più lenti” con cui funziona
la giustizia per le forze dell’ordine – solo 10 funzionari a questo
stadio sono stati rinviati a giudizio a Parigi…
Per venire all’oggi…
Le
mobilitazioni di sabato, alcune delle quali sono continuate la
domenica, hanno dato luogo alla solita guerra di cifre tra il ministero
dell’Interno, che stima a 28.000 il totale dei partecipanti – di cui
4.700 a Parigi – mentre il movimento parla di poco meno di 40 mila
persone (39.530), secondo il conto de la Nombre jaune, pagina
che ha regolarmente incominciato a rendicontare i partecipanti viste le
cifre ridicole fornite ufficialmente e riprese pedissequamente
dall’informazione mainstream.
Il bilancio repressivo è stato di 254 persone “interrogate” – di cui 173 a Parigi – e 155 “garde à vue”
nella capitale, con 639 controlli preventivi; una pratica altamente
“dissuasiva” che ha preceduto costantemente le mobilitazioni.
Non
solo a Parigi, ma in tutta la Francia le “giacche gialle” sono tornate a
farsi vedere, e domenica a mattina a Pont-de-Beauvoisin hanno reso
omaggio a Chantal Mazet, deceduta un anno fa il primo giorno dei
blocchi, investita da una macchina in una rotatoria.
Sono
stati undici le persone che hanno perso la vita durante le
mobilitazioni in incidenti in prossimità delle barriere o delle
rotatorie che nessuno tra i GJ si è scordato.
La marea bianca
Questa
settimana l’attenzione anche dei media mainstream d’oltralpe si è
concentrata sulle mobilitazioni di giovedì 14 novembre di tutto il
personale ospedaliero, che ha mostrato il profondo malessere che
attraversa tutto il comparto, pur nella pluralità delle figure che lo
compongono.
Le politiche made in UE
hanno portato una “eccellenza francese” come la sanità pubblica a
diventare un sistema prossimo al collasso, dove i tempi d’attesa si
allungano, i posti per la degenza diminuiscono, il personale
sotto-organico è costretto a turni massacranti e non vede riconosciute
le proprie responsabilità; oltre alla creazione di una “frattura
generazionale” tra chi ha conosciuto i fasti e l’orgoglio di un lavoro
nella sanità pubblica – in particolare nei prestigiosi ospedali
universitari – e l’inferno delle attuali condizioni di lavoro per i più
giovani, non più disposti ai sacrifici imposti dai continui tagli di
budget.
Una
mobilitazione assolutamente inedita, quella del personale sanitario per
ampiezza ed estensione, che ha posto con forza la necessità della
“spesa pubblica” per un ganglio vitale della vita sociale.
L’unico beneficiario della situazione della sanità pubblica è manco a dirlo la sanità privata,
o il privato “convenzionato”, che ha attirato sempre più personale di
tutti i profili – sostanzialmente, ma non esclusivamente – per le
retribuzioni che offre, mentre le condizioni di lavoro nel pubblico sono
caratterizzate da una cronica mancanza d’organico, da interi reparti
che rischiano o che effettivamente sono costretti a chiudere, dove la
situazione dei “pronto soccorsi” e delle “maternità” è la più complicata
specie fuori dalle grandi agglomerati urbani della Francia peri-urbana e
rurale.
Era
stato proprio il personale del pronto soccorso il primo a muoversi,
ingaggiando una lotta che dura da circa otto mesi, che ha poi
“contaminato” tutto il settore fino ai direttori sanitari e che ha dato
vita ad una forma di coordinamento tra le differenti realtà ospedaliere,
di fatto il cuore organizzativo delle mobilitazioni di questo giovedì.
In
un appello che vede come primi firmatari 70 direttori medico-sanitari
universitari, pubblicato il 13 novembre sulla “Tribune” di Le Monde, la diagnosi è impietosa.
Due dati colpiscono. Il primo è che circa metà del personale della sanità pubblica è sottoposto a burn-out
e l’altro è legato alle retribuzioni, che da tempo non sono
ri-valorizzate e che ormai, per il personale paramedico, sono nel
pubblico un terzo di quello che garantisce il privato.
L’appello “L’ospedale pubblico affonda e noi non siamo più in grado di assicurare le nostre missioni”
auspica una netta inversione di tendenza nel finanziamento della sanità
pubblica, un netto miglioramento delle retribuzioni, un riconoscimento
delle responsabilità dei quadri. Macron ha dovuto promettere una forte
intervento nel settore, ma è chiaro che i margini di manovra sono assai
ridotti a causa della scura dell’Unione…
La marea rossa
Come
avevamo mostrato in un precedente contributo, il processo organizzativo
attorno alla preparazione dello sciopero generale contro la riforma
pensionistica del 5 dicembre – che per alcune categorie e in alcune regioni sarà a partire dal 5
dicembre, senza data di scadenza – sarà una data di cesura storica e
molto probabilmente la più incisiva mobilitazione contro le politiche
macroniane; “rischia” di fermare il Paese non solo in occasione di
quella giornata.
Questo
avverrà probabilmente nel comparto dei trasporti – in particolare la
metro parigina (RAPT) e le ferrovie, ma non solo – ed intere zone
economiche strategiche come la regione marsigliese, più precisamente il
dipartimento delle Bocche del Rodano, dove la sezione locale della CGT
(l’UD 13) insieme ad altri ha chiamato lo sciopero generale ad oltranza
fino al ritiro della riforma e sta organizzando assemblee generali
unitarie, di cui la prima è stata il 12 novembre oltre a incontri
pubblici.
Bisogna
ricordare che la prima categoria della CGT che aveva sposato questa
linea d’azione è stata la Federazione dei Chimici – storico settore
combattivo della Confederazione, spostato “a sinistra” ed aderente alle
FSM – un settore strategico per l’economia d’oltralpe, che insieme ai
ferrovieri della CGT (maggioritari nella categoria) sarà la spina
dorsale dello sciopero “ad oltranza”, che nella SNCF è stato promosso
inizialmente da UNSA-Ferroviarie (secondo sindacato) e SUD-Rail (terzo
sindacato) e FO-Cheminots (quinto sindacato).
La
Federazione di FO dei trasporti e della logistica – terzo sindacato
nella categoria dei conducenti – così come FO-Air France (primo
sindacato tra il personale di terra della compagnia francese), sono
entrate nella partita, ed anche SE-UNSA ha chiamato allo sciopero tra
gli insegnanti.
Di
fatto all’appello del fronte sindacale manca solo la centrale diretta
da Laurent Berger, la CFDT, l’organizzazione che ha maggiormente dato il
fianco a Macron da un anno a questa parte.
Una
situazione che ha delle somiglianze con le mobilitazioni di metà degli
Anni Novanta, quelle che respinsero la riforma pensionistica di Alain
Juppé, ma che oggi è ben più ampia ed in cui è assai diffusa la
coscienza della necessità di portare la lotte fino in fondo, vista
l’indifferenza di Macron e delle oligarchie che rappresenta.
Persino
un vecchio arnese della politica come l’ex presidente F. Hollande ha
espresso la propria viva preoccupazione per il clima nel Paese, di fatto
allineandosi alle sempre maggiori preoccupazioni dell’establishment per il montare del conflitto sociale.
Sarà un autunno caldo in Francia. E tutto ciò che abbiamo visto e vissuto era solo un preludio ad una lotta di lunga durata.