Per coloro che non conoscono questa figura, va ricordato che Erich
Priebke fu uno dei più attivi collaboratori del tenente colonnello Herbert Kappler nella strage dove sono state uccise 335 persone. Per la precisione Priebke, in una memoria redatta per il processo, si è definito, al tempo, il numero due nel comando di Roma. Nazista della prima ora, si iscrive al partito nel 1933 (il suo diretto superiore Kappler entra nel 1931) aderisce poi al corpo delle SS, che sarà il più spietato durante il conflitto. Le SS sono un corpo scelto, i cui membri sono selezionati sulla
supposta base di purezza razziale pontificata dal nazismo e sulla
fedeltà assoluta a Hitler. Priebke, oltre ad essere tra i massimi
responsabili della strage, emerge dalle carte processuali anche per il
suo ruolo di aguzzino, uno che sa come far parlare i
prigionieri. E’ solo l’esempio di un corpo, quello delle SS, che agisce
al di fuori di ogni norma rispondendo solo all’ordine di Hitler.
L’eccidio è la risposta nazista all’attentato compiuto a Roma dai partigiani gappisti 23 ore prima, invia Rasella contro un convoglio di volontari tirolesi delle SS. L’attacco provoca la morte di 33 soldati. L’azione è realizzata dai comunisti, ma risponde alle linee dettate dal governo Badoglio e dal Comitato di liberazione nazionale che invitavano a colpire il nemico in ogni possibile occasione.
L’idea della rappresaglia è immediata, così come repentina è l’informazione che giunge a Hitler. A lungo i critici di questa azione hanno imputato ai partigiani di non essersi consegnati per evitare la carneficina,
basata sul ricatto nazista “dieci italiani da uccidere per ogni tedesco
morto”. Di fatto questo dilemma non si è mai posto perché non è mai
stato affisso per le strade nessun bando che invitasse gli autori
dell’attentato a consegnarsi. La rappresaglia è scattata esattamente 23 ore dopo e la cittadinanza ne è stata informata quando l’eccidio era già avvenuto.
Se la Resistenza italiana si fosse piegata alle minacce tedesche
non sarebbe mai nata, gli italiani avrebbero chinato la testa
all’occupante il quale, peraltro, ha sempre mantenuto una condotta non
prevedibile, avendo già compiuto numerose stragi nel Sud in assenza di
qualsiasi attacco.
L’esecuzione degli ostaggi avviene portandoli nei
cunicoli naturali delle fosse e uccidendoli a gruppi di tre. Chi
assisteva, vedeva la sorte che da lì a qualche istante gli sarebbe
toccata. Tra le vittime ci sono sanitari, infermi, malati, vecchi, minorenni, civili, persone rastrellate a caso nello stesso giorno, alcune decine di esponenti della Resistenza romana e 75 ebrei.
Dopo la guerra, Erich Priebke si gode cinquant’anni di libertà e chi
invoca pietà per lui non dovrebbe trascurare questo particolare.
Priebke, dopo la guerra, fugge in Argentina; Priebke, nel suo mezzo secolo di libertà, è riuscito
a compiere alcuni viaggi in Germania dove, nel 1978, ha partecipato al
funerale di Herbert Kappler, chiaro segnale per chi vuole illudersi del
suo pentimento. L’ex ufficiale nazista ha dichiarato di essere passato
in Italia per due volte. Soltanto nel 1995 è stato estradato nel nostro
Paese.
Nella più ingenua delle ipotesi qualcuno si è chiesto perché
condannare questo “innocuo” vecchietto, perché accanirsi contro di lui. I
reati per crimini di guerra sono ritenuti, a livello
mondiale, imprescrittibili e i suoi autori passibili di pena finché sono
in vita. E’ un elementare principio di diritto.
In questi anni di morbida detenzione riservata al
criminale nazista, non sono mancati in Italia drappelli di suoi seguaci
che ne hanno rivendicato la libertà e gli hanno attribuito onore. A Roma sono
comparse negli anni diverse frasi sui muri a favore di Priebke.
Dov’è la ragione che induce a stimare questo individuo? Qualcuno è
nostalgico di un passato che non conosce e che si rifiuta di conoscere,
oppure pensa che, di fronte al malcostume presente, quel passato abbia
una sua “integrità morale”, certo, un’”onestà” edificata sulla gerarchia delle razze umane, sulla tortura contro gli inermi e sulle morti degli innocenti.
Dinanzi a queste derive di nostalgismo ciascun cittadino, ciascun educatore deve sempre chiedersi: che cosa sto
facendo io perché simili idee non germoglino? E’ troppo poco
accontentarsi di una democrazia faticosamente
conquistata, nel cui principio di libertà c’è tolleranza anche per chi
alla libertà e alla dignità umana non crede.
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