E’ quasi difficile ritagliare uno spazio di commento alle
performances ultime, ma non sorprendenti, dei leghisti. Linguaggio, toni
e merito politico delle loro azioni non sono mai state degne di nota
per caratura politico-istituzionale, ma il pericolo e il degrado di
tanta bassezza ha mosso, come immaginabile, un clamore e un biasimo
generale.
Dopo recenti e passate esibizioni di volgarità, l’Oscar va al Vice
Presidente del Senato Calderoli che dal palchetto di un comizio aveva
candidamente dichiarato che guardare il Ministro Kyenge gli faceva
pensare ad un orango.
Questo il siparietto da cinepanettone che è stata rivolto ad un
Ministro della Repubblica. Se volevamo avere prove dell’arretratezza
culturale italiana nel panorama europeo è bastata l’elezione di un
Ministro con la pelle nera a soddisfare la curiosità. Gli insulti, i
sospetti e il solo brusio sollevato da questa elezione mostra, ahinoi,
tutto il ritardo che grava su questo Paese.
Peggio del peggio è che non solo numerosi compagni di merende abbiano
difeso Calderoli, ma che persino il monito lanciato dal Presidente
della Repubblica sia stato recepito come il messaggio dell’uomo
qualunque. Salvini parla di censura da parte di Napolitano, ignorando
peraltro che il Presidente della Repubblica ha espresso un allarme sul
clima generale del Paese fatto di intimidazioni di basso profilo in
tutte le salse: dalle innumerevoli aggressioni verbali a Kyenge, alle
minacce alla Carfagna dopo la sua presa di posizione contro i Cinque
Stelle e all’incendio del liceo Socrate, simbolo della lotta
alla’omofobia.
Si discute della necessità di togliere l’incarico istituzionale a
Calderoli il quale, pur non vantando particolari meriti sul campo se non
la sofisticheria del porcellum, mostra di non avere adeguato pedigree
umano e culturale. Sembra strano che se ne debba discutere a lungo di
fronte ad un episodio tanto eclatante. Basterebbe, anche questa volta,
prendere spunto da quello che accade nei paesi culla della cultura
politica moderna dove bastano piccoli inciampi a far dimettere le più
altre cariche di governo.
L’imbarbarimento
della politica che forse proprio nella nascita e crescita dei leghisti
ha visto il suo fulgore, trova oggi, con la modalità del colloquio di
strada al posto della dialettica politica, il suo trionfo analfabeta e
volgare.
Altro che società civile nelle istituzioni: il berlusconismo è stato
il brodo comune, culturale – se così si può dire – più che politico, di
due generazioni di politici che all’ignoranza sui temi sui quali
dovrebbero legiferare, uniscono un’ignoranza ancora più profonda di
cultura politica generale e condiscono il tutto con la volgarità che
spesso dell’ignoranza è conseguenza inevitabile.
L’appiattimento verso il basso ha trasformato un paese culla del
pensiero politico europeo in una stalla dalla quale sono usciti i
Borghezio, i Bossi, i Calderoli e gli Scilipoti ed ora a poco serve
chiudere le porte. Il berlusconismo ha fatto credere che chiunque
potesse entrare in Parlamento, come chiunque potesse diventare artista e
vip, come si potesse parlare di secessione con normalità e senza
percepire la gravità, il peccato e il reato.
Oggi quando le sfide sul tavolo sono tutte molto urgenti e i fatti
spingono sul Palazzo per cambiare il Paese, la presenza di figure di un
certo tipo suona grottesco più che pericoloso. Non basta togliere
Berlusconi dai meeting internazionali per riqualificare la nostra
immagine se poi si permette alla banda degli eredi di Bossi di armare
certi teatrini. Mutatis mutandis, sarebbe stato meglio, per
ridere e subire meno danni, prendere in prestito quella del maestro
Totò. Almeno la sua banda era degli onesti.
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