giovedì 9 novembre 2017

Dossier top secret: Israele e sauditi insieme per provocare guerra

Israele e l’Arabia Saudita stiano facendo combutta per provocare una guerra alle forze filo iraniane nella polveriera mediorientale. Lo rivela un dossier diplomatico esplosivo e top secret israeliano che è stato reso pubblico. Di fatto Tel Aviv e Riyad stanno in maniera deliberata coordinando un’escalation militare in Medioriente.
Domenica, dopo le dimissioni scioccanti del premier libanese Saad Hariri, Israele ha inviato un messaggio a tutte le sue ambasciate chiedendo ai suoi rappresentanti diplomatici sparsi in tutto il mondo di fare il possibile per aumentare le pressioni diplomatiche sui nemici Hezbollah e Iran.
Nel messaggio, pubblicato da Channel 10 News, si lancia un appello alla guerra saudita contro i ribelli anti governativi Huthi, popolo sostenuto dall’Iran, in Yemen. Nel cable diplomatico l’Iran viene criticato per essere “impegnato in operazioni sovversive nella regione“.
Il governo israeliano – si legge nel file ottenuto dal navigato corrispondente di politica estera della testata, Barak Ravid – chiede ai suoi diplomatici di appellarsi ai funzionari più alti dei paesi in cui risiedono, per tentare di espellere Hezbollah dal governo del Libano e dalla politica più in generale.
Il messaggio top secret di stamattina è stato inviato dopo gli eventi caotici del fine settimana in Libano e Arabia Saudita, dove il nuovo corso del Regno ha avviato una maxi operazione di purga dei piani alti nell’ambito di una lotta alla corruzione senza mezze misure, caratterizzata da arresti, congelamento di conti in banca e sequestri.
Hariri si è dimesso dopo essere stato convocato a Riyad dalle autorità saudita che lo sostenevano. Dopo l’annuncio a sorpresa, l’Arabia Saudita ha accusato il Libano di “aver dichiarato guerra” contro il Regno del Golfo. Accusando lo Hezbollah e il suo alleato iraniano di esercitare la loro egemonia sul paesi dei Cedri, Hariri ha spiegato di aver abbandonato l’incarico perché teme per la sua vita.
Le crescenti tensioni nella regione hanno contribuito a spingere al rialzo i prezzi del petrolio sui mercati con il Brent che ha sfiorato i 61 dollari al barile. Al momento le quotazioni tirano il fiato dopo la corsa degli ultimi giorni per via dell’ottimismo su un’estensione della durata del piano di tagli alla produzione da parte dell’Opec, che si riunisce a fine mese.
Come è noto, la causa che accomuna Israele e Arabia Saudita è la lotta contro l’Iran e Hezbollah, con l’intento di impedirne l’espansione in luoghi strategici e in tumulto come la Siria, l’Iraq e anche il Libano. Per ridurne l’influenza, i due nemici storici hanno deciso di unire le forze per raggiungere un obiettivo politico preciso: indebolire la fazione sciita.
L’organizzazione sciita Hezbollah è da anni uno dei principali nemici di Israele insieme ad Hamas. Per i leader del governo israeliano il braccio armato libanese di Hezbollah non è altro che l’estensione della presenza sul territorio dell’Iran non appena sopra i confini settentrionali dello stato ebraico.

mercoledì 8 novembre 2017

Il mito della democrazia europea: una rivelazione sconvolgente

È un segreto noto che la rete di “Soros” abbia ampia influenza sul Parlamento europeo e altre istituzioni dell’Unione europea. L’elenco di Soros è stato reso pubblico recentemente. Il documento elenca 226 parlamentari europei di tutto lo spettro politico, tra cui l’ex-presidente del Parlamento europeo Martin Schulz, l’ex-presidente belga Guy Verhofstadt, sette vicepresidenti e numerosi commissari, coordinatori e questori. Costoro promuovono le idee di Soros, come ad esempio far entrare più migranti, matrimoni omosessuali, integrazione dell’Ucraina nell’UE e contrastare la Russia. Vi sono 751 membri nel Parlamento europeo. Significa che gli amici di Soros hanno più di un terzo dei seggi. George Soros, investitore ungaro-statunitense fondatore e proprietario dell’ONG Open Sociaty Foundation, incontrava il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker “senza alcuna agenda trasparente in una riunione a porte chiuse” e sottolineava come le proposte dell’UE per ridistribuire quote di migranti nell’UE siano simili ai programmi autoprodotti da Soros per affrontare la crisi. Il finanziere miliardario ritiene che l’Unione europea debba ricevere milioni di immigrati da Medio Oriente ed Africa settentrionale, fornire a ciascuno di essi 15000 euro di aiuti all’anno e posizionarli negli Stati membri dove non vogliono andare e non sono benvenuti. Il Primo ministro ungherese Viktor Orbán accusava l’UE di “prendere ordini” da Soros, ritenendo che il miliardario dai confini aperti sia dietro gli attacchi all’Ungheria. Il motivo è il tentativo del governo d’intraprendere un’azione legale con una nuova legge che richiede che le organizzazioni della società civile sostenute da stranieri, molte finanziate da Soros, elenchino i grandi donatori esteri su un registro pubblico e siano trasparenti sulle fonti di finanziamento nelle loro pubblicazioni. Il governo ungherese tenta di chiudere l’Università dell’Europa Centrale di Budapest, fondata da Soros. “L’Unione europea è in difficoltà perché i suoi capi e burocrati adottano decisioni come queste“, dichiarava Orbán. “La gente appoggia l’ideale dell’Unione Europea. Allo stesso tempo, non ne sopporta la leadership, perché insulta gli Stati membri con cose del genere e abusa del proprio potere. Tutti in Europa lo vedono, ecco perché la leadership europea non è rispettata”.
  Il gruppo di Visegrad cerca di opporsi alla pressione dell’UE sulla politica degli immigrati. La Commissione europea per la migrazione e gli affari interni propone un nuovo disegno di legge per rendere obbligatori i contingenti di migranti. Almeno 30 supporter di Soros lavorano nella commissione. Molti elencati nel documento sono noti per gli attacchi alla Russia. Per esempio, Rebecca Harms, deputata del Partito verde tedesco, chiede regolarmente al Parlamento europeo di rafforzare le sanzioni contro Mosca. Guy Verhofstadt accusa la Russia di ogni cosa che va male in Europa. Il suo articolo Mettere Putin a suo posto ha fatto casino l’anno scorso. Nel 2012, l’ex-premier croato Tonino Picula, a capo di una missione di osservatori dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), denigrava le elezioni presidenziali russe del 2012 come ingiuste, dicendo che erano “sprofondate” a favore di Vladimir Putin. L’elenco di Soros pone la domanda di come le politiche dell’UE contrastino cogli interessi degli europei. La risposta è la corruzione. I politici corrotti da Soros ballano sulle sue note. Lottano contro i tentativi dei leader nazionali di proteggere gli interessi dei propri popoli. Spesso chi si oppone a tale politica deve affrontare la resistenza delle élite politiche dei propri Paesi. Lo scontro tra Orbán e la rete Soros è un buon esempio che ne illustra il funzionamento. Il Parlamento europeo influenzato dagli amici di Soros spinge l’Europa a suicidarsi lasciando entrare milioni di migranti. Ciò dimostra che la democrazia europea europea è una facciata che nasconde le attività di un potere feudale col signorotto locale che detiene le redini. Difficilmente si può chiamare potere del popolo. La pubblicazione dell’elenco di Soros fornisce un indizio per capire chi governa l’UE e chi istiga sentimenti russofobi in Europa. In realtà, accade quando Paesi membri dell’UE come l’Ungheria sono assieme alla Russia quando si oppongono alle stesse forze statunitensi, pur proteggendo sovranità ed indipendenza. È il momento per gli europei di pensare a mutare sistema eliminando la pressione esterna.

martedì 7 novembre 2017

Guerra finanziaria: JP Morgan manipola il rischio paese ogni volta che il Venezuela paga il suo debito

Il rischio paese è un indicatore che permette di valutare lo stato di salute finanziario di un paese in base agli impegni di debito che ha contratto, cioè la sua capacità o incapacità di pagare. Nel caso venezuelano è la banca statunitense JP Morgan che elabora questo indice - denominato EMBI -, incentrato principalmente sui mercati emergenti.

Ci sono altri indicatori - come il Credit Default Swap, elaborato dalla banca tedesca Deutsche Bank - che valuta anche la capacità di pagamento di un determinato paese e il rischio d’investimento.

Secondo i punteggi dell'indice (dal più basso al più alto), la credibilità finanziaria, la capacità di pagare e la salute finanziaria variano. La base del calcolo per determinare questi fattori è la relazione del debito estero con il Prodotto Interno Lordo (PIL), cioè la capacità che ha l'economia di ottenere le risorse necessarie per affrontare gli impegni assunti dal paese.

Tuttavia, una lettura comparativa minima consente di constatare che, per quanto riguarda il Venezuela, questo indicatore è utilizzato per scopi politici. Secondo l'economista Pedro Schneider, che lavora per la brasiliana Itaú Unibanco, il debito estero del gigante sudamericano è vicino all'80% del suo PIL, un fattore che provoca incertezza nella sicurezza dei suoi pagamenti a medio termine. Schneider, citato dal quotidiano El Cronista, afferma che questo l’aumento del debito estero è dovuto alla politica neoliberista del governo di Michel Temer.

Per il Brasile, l'indicatore del rischio paese si trova a 245 punti, una cifra sostenibile che rende il paese sudamericano sicuro per gli investimenti e con un'alta certezza di pagamento dei suoi debiti esteri.

Secondo il Fondo Monetario Internazionale (FMI), il Messico ha un livello di indebitamento del 51% rispetto al suo PIL, approssimativamente. Diversi analisti hanno avvertito che se il governo di Peña Nieto continua con la sua politica di esteso indebitamento, nei prossimi anni il debito messicano potrebbe aumentare al 100% del PIL. Questo renderebbe il Messico un Paese con un debito non pagabile, simile a quello attuale della Spagna, del Giappone o degli Stati Uniti, dove i tassi di interesse su tali obbligazioni sono mantenuti artificialmente bassi in modo da non aumentare i disavanzi fiscali.

Per il Messico, l'indicatore di rischio del paese è di 186 punti, cifra che lo rende un paese meno rischioso del Brasile e altamente sicuro in merito al pagamento del suo debito.

Questi punteggi assegnati a Brasile e Messico stimolano il flusso di capitali a beneficio di gruppi di potere economico altamente concentrati, in quanto la privatizzazione delle risorse energetiche e delle società pubbliche strategiche offrono una gigantesca opportunità di investimento.

lunedì 6 novembre 2017

Rosatellum: una legge elettorale che tradisce i principi costituzionali

L’idea è buona, ma se noi proponiamo una simile legge, questa legge sarà chiamata “truffa” e noi saremo chiamati “truffatori”». Fu certamente profetico Mario Scelba, Ministro degli Interni, quando nel 1953 il governo De Gasperi pose la questione di fiducia in entrambi i rami del Parlamento sulla nuova legge elettorale, che introdusse un premio di maggioranza consistente nell’assegnazione del 65% dei seggi alla lista o al gruppo di liste collegate che avesse superato la metà dei voti validi. L’anno successivo il Parlamento abrogò quella legge, che di fatto non fu mai utilizzata e che è passata alla storia come legge “truffa”.
A posteriori si può tranquillamente dire che in fondo non si trattava di una “truffa” grave, poiché lo scopo del premio era quello di dare più stabilità al governo, che comunque era sostenuto dalla maggioranza dei rappresentanti del popolo sovrano. In questo modo rischiavano di essere alterati alcuni equilibri costituzionali (per esempio per l’elezione del Presidente delle Repubblica), ma certamente si trattava di una “forzatura” meno grave di altre più recenti, che hanno trasformato in maggioranze assolute ciò che il corpo elettorale aveva indicato soltanto come maggioranze relative , cioè comunque minoranze, talvolta anche poco consistenti, come nelle ultime elezioni politiche del 2013.
Già il “Mattarellum” (approvato nel 1993) presentava qualche aspetto di dubbia costituzionalità, ma certamente peggio si può dire del “Porcellum” (approvato nel 2005 e così definito significativamente dal suo principale estensore) e del recente “Italicum” (voluto a colpi di fiducia dal governo Renzi nel 2015), considerato che queste ultime due norme elettorali sono state parzialmente annullate dalla Corte Costituzionale.
Con la firma apposta dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella si è concluso l’iter legislativo della nuova legge elettorale, detta “Rosatellum”, che verrà utilizzata nelle elezioni politiche del 2018. Il Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni il 13 dicembre 2016, presentando il programma dell’attuale governo alla Camera dei deputati, aveva dichiarato che «il governo non sarà l’attore protagonista del confronto parlamentare sulla legge elettorale». Poi sappiamo com’è andato a finire questo percorso, lastricato di voti di fiducia governativi, mentre la coerenza politica è stata gettata alle ortiche per l’ennesima volta.
Occorre anche ricordare che il “Rosatellum” ci viene proposto come seconda norma elettorale (la prima è stata l’“Italicum”) dall’attuale Parlamento che è stato nominato con il “Porcellum”,  poi risultato incostituzionale. Approvare una nuova legge elettorale non era sicuramente un obbligo, dato che vigente era il “Consultellum”, cioè il residuo auto applicativo delle due precedenti leggi elettorali, dopo i tagli subiti dalla penna della Consulta. Tra l’altro diverse simulazioni sugli esiti del prossimo voto per il Parlamento hanno mostrato come il risultato in termini di seggi ottenuti dai vari partiti non sarebbe molto diverso applicando il “Consultellum” o il “Rosatellum”. Perciò viene da chiedersi perché abbiamo dovuto assistere a questo accanimento per approvare ad ogni costo la nuova legge elettorale, che tra l’altro non garantisce affatto la governabilità.  Il sospetto è che, mentre quasi tutti i partiti ufficialmente sostengono che la sera delle elezioni i cittadini abbiano il diritto di sapere chi ha vinto, in realtà gli stessi sono ben contenti di avere le mani libere per decidere con chi allearsi dopo il voto alla luce dei risultati. Per questa ragione i candidati devono essere decisi tutti dall’alto, poiché è indispensabile che siano di provata fede al “capo” del partito, figura prevista non casualmente dal “Rosatellum” (come già dall’“Italicum”).
Così facendo, si trasforma il voto del cittadino da libero a predeterminato nelle candidature e si condizionano fortemente le funzioni politiche dell’eletto, che invece dovrebbe essere “senza vincolo di mandato” (art. 67 Costituzione).
Ma c’è di più e di peggio: alcuni costituzionalisti hanno sottolineato la palese incostituzionalità dell’impostazione del sistema elettorale del “Rosatellum” per diversi aspetti.
Anzitutto all’elettore è attribuito un unico voto, che serve per proclamare i vincitori nei collegi uninominali e, al contempo, per distribuire gli altri seggi nei collegi plurinominali proporzionali con listini bloccati.
L’unicità del voto, in un contesto di duplicità del canale rappresentativo, sembra però violare il principio costituzionale di uguaglianza, poiché i voti degli elettori dei candidati vincenti nei collegi uninominali vengono contati due volte. Benché quegli elettori, una volta assegnato il seggio in palio nel collegio uninominale, siano già pienamente rappresentati (addirittura con il risultato del 100%), essi determinano anche l’assegnazione degli altri seggi da ripartire su base proporzionale. Non era così con il “Mattarellum”, che prevedeva il meccanismo dello “scorporo”, in base al quale i voti che avevano già prodotto la rappresentanza nei collegi uninominali non venivano contati ai fini del riparto proporzionale.
Inoltre, il “Mattarellum” prevedeva due voti distinti: uno per l’uninominale e l’altro per il proporzionale. In questo modo, cioè con una votazione disgiunta, l’elettore era libero di scegliere la persona preferita per l’uninominale e qualsiasi lista tra quelle nel proporzionale, non necessariamente collegate al candidato dell’uninominale.
Ma quel che è peggio è che con il “Rosatellum”  il voto dato al candidato nel collegio uninominale, se non viene indicato anche un partito collegato, si trasferisce automaticamente alle liste che lo appoggiano, in proporzione alle scelte effettuate degli altri elettori. In questo modo l’attribuzione del voto è condizionata dalle altrui scelte.
Non solo: la legge stabilisce una soglia del 3% a livello nazionale per l’attribuzione dei seggi, ma nel caso una lista abbia un consenso compreso tra l’1% e il 3%, i voti verrebbero redistribuiti alle eventuali altre liste in coalizione. Ciò implica una palese disparità di trattamento tra il voto degli elettori che votano per piccoli partiti non coalizzati e quelli coalizzati, ma soprattutto non era mai stato inventato prima d’ora il trasferimento di voti da un partito ad un altro. Come è stato acutamente osservato dal costituzionalista Lorenzo Spadacini, potrebbe accadere che un elettore voti per un partito animalista e che il suo voto serva ad eleggere un deputato favorevole alla caccia di un partito coalizzato.
In conclusione  si può dire che il “Rosatellum” istituisca per legge la trasmissione e persino l’espropriazione del voto dei cittadini, violando sostanzialmente i principi del voto eguale, libero, personale e diretto (artt. 3, 48, 56 Costituzione). Tra le leggi elettorali approvate dal dopoguerra ad oggi, questa è sicuramente la peggiore. Gli estensori della legge “truffa” – al confronto – erano dei dilettanti.

venerdì 3 novembre 2017

LA BCE HA GUADAGNATO CON LA CRISI GRECA

La Banca centrale europea (BCE) ha tratto buon profitto dalle sue partecipazioni al debito pubblico greco, secondo un documento visionato dal Financial Times.

Una risposta scritta alla richiesta di un parlamentare greco ha dimostrato che la banca ha raccolto 7,8 miliardi di euro di pagamenti di interessi nel periodo tra il 2012 e il 2016 sui titoli di stato greci acquisiti nell'ambito del programma Securities Market Programme (SPM)

Gli utili sono di solito ridistribuiti tra le 19 banche centrali dell'area euro.

Nel 2016, la BCE aveva raccolto più di 1,1 miliardi di euro di pagamenti di interessi sui titoli greci sui circa 20 miliardi di euro di bond da essa detenuti, secondo il quotidiano tedesco Suddeutsche Zeitung.

Un'analisi della Jubilee Debt Campaign stima che l'altro creditore della Grecia, il Fondo Monetario Internazionale, aveva collezionato 2,5 miliardi di euro di guadagno sui suoi prestiti al paese.

Secondo Leo Hoffmann-Axthelm di Transparency International, la partecipazione della BCE al salvataggio della Grecia ha portato ad un "conflitto di interessi".

"La BCE con una mano chiede il rimborso dei suoi bond greci mentre con l'altra approva i progressi delle riforme della Grecia. La Banca è letteralmente seduta ai due lati del tavolo", ha dichiarato Hoffmann-Axthelm.

Il programma SMP è stato avviato in un momento di crisi del debito della zona euro nel 2009, inteso ad alleggerire la pressione dei mercati sui costi di finanziamento degli Stati membri. Più tardi nel 2015, la BCE ha avviato il suo programma di quantitative easing (QE), ma Atene è stata esclusa perché ancora sotto i termini di un terzo salvataggio dell'UE.

L'inclusione della Grecia nel QE è legata alla decisione sulla sostenibilità del debito del paese al 180 per cento del PIL da parte della banca centrale. La maggior parte dei 300 miliardi di euro del debito pubblico del paese è nelle mani dei creditori internazionali piuttosto che del settore privato.

"Questa è una questione di competenza nazionale e cade al di fuori delle competenze della BCE", ha riferito la banca centrale in una lettera al FT firmata dal presidente della BCE Mario Draghi.

Le decisioni su cosa fare con i guadagni saranno prese dagli Stati nazionali membri, spiega la lettera.

"Le future decisioni relative al trasferimento allo Stato greco di importi equivalenti ai redditi della Banca centrale nazionale (NCB) non rientrano nel mandato della BCE o delle NCB, bensì dei governi nazionali degli Stati membri dell'area euro", ha aggiunto.

I membri dell'area euro avevano inizialmente accettato di restituire ogni interesse alla Banca centrale greca come gesto di solidarietà dell'UE. Tuttavia, quando è iniziato il secondo programma di salvataggio nel 2015, l'operazione di rimborso è stata interrotta e l'intero interesse non è mai stato restituito ad Atene.

giovedì 2 novembre 2017

Giustizia a Milano: lo specchio di un disastro nazionale

Qualche anno addietro ci vollero tre processi e 5 anni di calvario giudiziario per mandare assolto un povero disgraziato, nullatenente e senza fissa dimora perché “il fatto non costituisce reato”, per aver rubato un pezzo di formaggio in un supermercato del valore di circa 4 euro.
L’obbligatorietà dell’azione penale non conosce limiti, si disse: lo dice chiaro anche l’art.112 della Costituzione più bella del mondo.
Oggi il tema è un altro: a Milano, per pura coincidenza temporale  viene condannato un “Giudice corrotto” del contenzioso tributario che modellava le sentenze in base al ritorno economico che gli derivava e un Ciccillo CACACE, sconosciuto, che aveva rubato “una bottiglia di vino”: beveva per dimenticare!
Perché ne parlo?
Perché la sanzione penale è sostanzialmente la stessa: quattro anni di carcere ciascuno!
In Tribunale, l’accusa aveva chiesto dieci anni ma poi, strada facendo, fra ricorso, rito abbreviato, patteggiamento e sconto di pena si giunge alla farsa, all’italiana maniera: come sempre!
Per l’avvocato cassazionista che espletava l’importante ruolo di giudice tributario, avendo trovato il miglior modo per arricchirsi con estrema velocità, alla fine della giostra se la caverà quasi con la stessa pena dell’autore del furto da otto euro: il poveraccio che beveva per dimenticare!
La nostra giustizia non perdona, non distingue, mischia e alla fine confonde il ladro di polli, quello che ruba per mera sopravvivenza da colui che invece, pur se lautamente retribuito, ruba per arricchirsi in spregio alla dignità di tutti, a cominciare da quel senso di giustizia che dovrebbe caratterizzare l’Istituzione.
Un ladro decisamente sfortunato che, opponendosi al vigilantes all’uscita dal supermercato che cercava di bloccarlo, trasformava il furto in una rapina impropria.
Chissà se la bottiglia se la fosse bevuta sul posto, una volta ubriaco la faceva franca e avremmo registrato la sola condanna del giudice, che quando concordava le condanne con gli evasori fiscali era lucido, perché lui sul lavoro era serio: beveva acqua & mazzette!

martedì 31 ottobre 2017

Pd perde punti: Renzi accerchiato ora apre alle alleanze

Matteo Renzi si sente accerchiato e negli ultimi 5 mesi il Partito democratico ha bruciato ben 5 punti nei consensi elettorali. I dem, secondo un sondaggio Ipsos pubblicato dal Corriere della Sera, sarebbero così in caduta libera conquistando a malapena il 25,5%, mentre il centrodestra con Forza Italia è a 16,1%, la Lega viaggia intorno al 15%, mentre Fratelli d’ltalia è al 4,5% e infine il Movimento 5 Stelle, nelle ultime settimane ha subito una forte contrazione, fermandosi al 27,5%.
Ma un dato allarma i seguaci del Pd. Negli ultimi cinque mesi il partito al governo ha perso ben cinque punti. Così il segretario Matteo Renzi tenta di salvare il salvabile dopo aver fatto terra bruciata attorno a sé e apre nuovamente alle alleanze a sinistra. Durante la Conferenza programmatica del Pd a Napoli prende la parola e parla del partito democratico come il perno di una colazione che sia Renzi che il premier Paolo Gentiloni vogliono ampia, inclusiva, plurale.
“Serve unità, non possiamo permetterci liti o baruffe abbiamo una responsabilità istituzionale, sapere che il Pd ha un compito enorme, scommettere su un modello che non è polemica tutti i giorni. Non si possono mettere veti sulle realtà che vengono dal centro non possiamo permetterci veti alla nostra sinistra. Se qualcuno pensa che fuori dal Pd si possano combattere battaglie di sinistra… io penso che fuori dal Pd non ci sia la rivoluzione socialista ma Salvini e Di Maio. Se c’è disponibilità, sia a sinistra che al centro, di creare delle strutture e parlare di contenuti noi ci siamo, ma senza rinunciare alle idee del Pd”.