Il Parlamento non è stato informato. I cittadini non ne sanno niente. Ed
è molto probabile che lo ignorino anche i deputati di Sel e del M5S,
che nelle scorse settimane hanno presentato due distinte mozioni per il
ritiro accelerato dei soldati italiani dall’Afghanistan: l’Italia si è
già impegnata a contribuire militarmente a Resolute Support, la missione
della Nato che dall’inizio del 2015 sostituirà la missione Isaf
(International Security Assistance Force). A dirlo chiaro è tondo è
stato Chuck Hagel, segretario alla Difesa degli Stati uniti, al termine
del vertice interministeriale della Nato che si è tenuto il 4 e 5 giugno
a Bruxelles. A partecipare c’erano ben 50 ministri della Difesa,
provenienti dai 28 paesi membri della Nato e dai 22 paesi “non-Nato” che
attualmente contribuiscono alla missione Isaf in Afghanistan. Nelle
dichiarazioni successive al vertice, Hagel ha confermato che gli Stati
uniti continueranno a essere il paese che più contribuisce in termini
militari alla missione Nato in Afghanistan. Ma ha voluto sottolineare il
sostegno ricevuto dall’Italia e della Germania: «Apprezziamo gli
impegni che altre nazioni stanno assumendo – ha dichiarato -, inclusi
gli annunci fatti dalla Germania e dall’Italia secondo i quali
assumeranno il compito di nazioni-guida per le aree settentrionali e
occidentali».
Il Concept of Operations della missione Resolute Support adottato due giorni fa a Bruxelles prevede infatti la divisione dell’Afghanistan in diverse aree geografiche di competenza: agli Stati uniti spetterà la responsabilità delle attività nelle aree meridionali e orientali (le più insicure); alla Germania l’area settentrionale, dove è attiva da anni; all’Italia la parte occidentale, dove attualmente ha la responsabilità del comando-ovest della missione Isaf (il comando comprende le province di Herat, Farah, Badghis e Ghor).
Secondo il capo del Pentagono, la Turchia starebbe «considerando favorevolmente» l’ipotesi di gestire le attività nell’area centrale attorno a Kabul (sarebbero cinque i punti nevralgici della provincia di Kabul interessati dalla nuova missione).
Presentando alla stampa la missione Resolute Support, il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, ha parlato di una pagina nuova nei rapporti tra l’Afghanistan e la Nato: «Non sarà un’altra missione Isaf con un nome diverso» – ha detto Rasmussen – ma una missione «differente e significativamente più piccola», in termini di uomini impegnati sul terreno, che segue – aggiunge – «un limitato approccio regionale». I numeri dei soldati che resteranno in Afghanistan ancora non ci sono, perché «saranno decisi dai nostri esperti militari nei prossimi mesi». Per ora, c’è solo la certezza che Resolute Support non sarà «una missione di guerra», perché ha come obiettivi quelli di «addestrare, consigliare e sostenere» le forze di sicurezza afghane, puntando al rafforzamento delle «istituzioni nazionali, come i ministeri deputati alla sicurezza, i corpi dell’esercito e del comando della polizia».
L’adesione della Germania non sorprende: il 18 aprile in una conferenza a Berlino il ministro della Difesa tedesco, Thomas de Maizièr, aveva annunciato che la Germania avrebbe contribuito con 600/800 soldati alla nuova missione della Nato.
L’adesione dell’Italia rappresenta invece una sorpresa (anche perché arriva prima ancora che siano stati resi noti nel dettaglio i piani per il ritiro dei 3.000 soldati attualmente impegnati nella missione Isaf). E resterà un’incognita fino a quando il ministro della Difesa, Mario Mauro, non spiegherà in Parlamento i termini dell’impegno assunto a Bruxelles.
Il Concept of Operations della missione Resolute Support adottato due giorni fa a Bruxelles prevede infatti la divisione dell’Afghanistan in diverse aree geografiche di competenza: agli Stati uniti spetterà la responsabilità delle attività nelle aree meridionali e orientali (le più insicure); alla Germania l’area settentrionale, dove è attiva da anni; all’Italia la parte occidentale, dove attualmente ha la responsabilità del comando-ovest della missione Isaf (il comando comprende le province di Herat, Farah, Badghis e Ghor).
Secondo il capo del Pentagono, la Turchia starebbe «considerando favorevolmente» l’ipotesi di gestire le attività nell’area centrale attorno a Kabul (sarebbero cinque i punti nevralgici della provincia di Kabul interessati dalla nuova missione).
Presentando alla stampa la missione Resolute Support, il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, ha parlato di una pagina nuova nei rapporti tra l’Afghanistan e la Nato: «Non sarà un’altra missione Isaf con un nome diverso» – ha detto Rasmussen – ma una missione «differente e significativamente più piccola», in termini di uomini impegnati sul terreno, che segue – aggiunge – «un limitato approccio regionale». I numeri dei soldati che resteranno in Afghanistan ancora non ci sono, perché «saranno decisi dai nostri esperti militari nei prossimi mesi». Per ora, c’è solo la certezza che Resolute Support non sarà «una missione di guerra», perché ha come obiettivi quelli di «addestrare, consigliare e sostenere» le forze di sicurezza afghane, puntando al rafforzamento delle «istituzioni nazionali, come i ministeri deputati alla sicurezza, i corpi dell’esercito e del comando della polizia».
L’adesione della Germania non sorprende: il 18 aprile in una conferenza a Berlino il ministro della Difesa tedesco, Thomas de Maizièr, aveva annunciato che la Germania avrebbe contribuito con 600/800 soldati alla nuova missione della Nato.
L’adesione dell’Italia rappresenta invece una sorpresa (anche perché arriva prima ancora che siano stati resi noti nel dettaglio i piani per il ritiro dei 3.000 soldati attualmente impegnati nella missione Isaf). E resterà un’incognita fino a quando il ministro della Difesa, Mario Mauro, non spiegherà in Parlamento i termini dell’impegno assunto a Bruxelles.
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