Ilda Boccassini ha defnito il comportamento di Ruby da "furbizia orientale". Apriti cielo. Chi era a caccia del pretesto per criticarla, ha trovato
la parola a cui inchiodarla: “orientale”. Un aggettivo che proverebbe il
razzismo di Ilda la rossa, il suo pregiudizio contro
gli stranieri e la sua disumanità. Impossibile ragionare con chi non
vuole sentire ragioni, ma per capire il senso di quell’espressione basta
ascoltare (davvero) la requisitoria e comprendere il contesto in cui
quell’aggettivo è inserito. Davvero la pm, trasportata dalla foga, ha
rivelato la sua essenza culturalmente razzista? Proviamo a vedere come è arrivata a parlare della “furbizia orientale” di Ruby.
Il tema in discussione era non la ragazza (che nel processo è “parte offesa”),
ma suo padre. Per ben due volte, in due diversi punti della sua lunga
requisitoria, Ilda Boccassini ha tentato di ripristinare la verità sulla
figura di M’hamed El Mahroug. La figlia lo ha descritto come un padre-padrone,
cattivo e violento, che l’avrebbe maltrattata fin da piccola e sarebbe
giunto perfino a versarle addosso dell’olio bollente. Un musulmano
perfido e torturatore.
Non è vero, ha spiegato la pm. Gli operatori sociali e gli educatori di comunità
che da anni conoscono Ruby e la sua famiglia (la ragazza è scappata di
casa la prima volta quando aveva 14 anni) raccontano di due genitori
poveri e privi di strumenti culturali sofisticati, ma pacifici,
dignitosi e onesti. La madre lavora in casa e cresce i figli. Il padre
fa l’ambulante e vive una vita umile ma decorosa. La cicatrice in testa che Karima esibisce per commuovere gli interlocutori non le è stata procurata dal padre, ma è il risultato di un incidente domestico capitato alla madre quando la bambina era piccola.
È Karima, diventata Ruby, a inventarsi la storia del padre cattivo,
che reagisce con violenza alla sua volontà di farsi cristiana.
Approfitta, sostiene Boccassini, di un diffuso clima culturale, questo
sì razzista e anti-islamico, “sfruttando da furba le difficoltà
culturali dell’integrazione”. Si fa accettare in un contesto che sa
pieno di pregiudizi, rinnegando le proprie origini e cavalcando quei
pregiudizi: “Mi volevo fare cristiana e mio padre mi ha punito con
l’olio bollente”.
La storia, secondo gli educatori della comunità siciliana che ha ospitato la piccola Karima, è falsa. Ma siccome serve ad accreditare l’immagine di Ruby brava ragazza perseguitata e bisognosa d’aiuto, ecco che le tv Mediaset
e i giornali di famiglia diffondono una falsità, perché questa serve a
difendere il loro padrone, cioè l’imputato del processo, il generoso Silvio Berlusconi.
E allora: chi dimostra i propri pregiudizi, chi fa trapelare una cultura razzista?
La magistrata che tenta di ristabilire la verità su un pover’uomo,
marocchino e islamico, che ha a che fare con una figlia difficile;
oppure le tv, i quotidiani e i rotocalchi che strumentalmente diffondono
la favola della ragazza che vuole diventare cristiana, oppressa dal
padre musulmano malvagio e violento?
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