I dati forniti dall’Istat sulla disoccupazione sono preoccupanti: 9.2 %.
Ha raggiunto il suo livello massimo dal 2004. Il governo Monti avrà
pure fatto riacquistare fiducia all’Italia sui mercati finanziari ma non
ci sono risposte sull’occupazione. Questo è un dato di fatto. Il nostro
paese è in recessione. In attesa del decreto che andrà a riformare il
mercato del lavoro previsto per la fine di marzo, latitano proposte
convincenti volte a stimolare la domanda interna. Per il momento la
trattativa governo-parti sociali si gioca sul terreno dell’articolo 18
dello Statuto dei Lavoratori, il quale non consente alle imprese
superiori ai 15 dipendenti di fare licenziamenti discriminatori. È da
ricordare che in Italia il 95% delle imprese hanno meno di 15 dipendenti
ma anche chi ne ha di più molte volte già non rispetta l’articolo ma
per fortuna c’è un giudice terzo che decide. Il governo sostiene, con la
mano destra convinta della Confindustria, la linea di superare
l’articolo 18, ritenendolo un ostacolo alla libertà d’impresa. I
sindacati, in primis la Cgil, sostengono al contrario, che la legge non
deve esser toccata perché essa è una“norma di civiltà”. E siamo sicuri
che qui si arriverà allo scontro finale. Da un lato il governo, il quale
non fa altro che obbedire alle direttive della lettera della BCE di
agosto ( il mese clou della sospensione della democrazia ) firmata
Draghi-Trichet (nella quale il mercato flessibile teorizzato come dogma
diventa scelta ineluttabile per tutti i governi dell’area Euro) e
dall’altra le forze sociali che si oppongono alle scelte neo-liberiste
che stanno massacrando l’economia. Le ragioni della disoccupazione
nascono soprattutto da qui. Con la stretta ai consumi derivata dal
crollo della domanda, le imprese ritengono di non dover produrre. Ne
conseguono licenziamenti. Il risultato finale rappresenta l’aumento
esponenziale della disoccupazione. In Italia ce ne sono più di 2 milioni
di disoccupati, senza contare chi studia o chi non avendo più fiducia,
ha totalmente rinunciato a mettersi alla ricerca di trovarsi un impiego.
Ma anche chi lavora, è a rischio povertà. L’Italia è agli ultimi posti
per retribuzioni lorde nell’Eurozona. Secondo la “propaganda padronale”,
sostenuta anche dal ministro del Welfare, gli stipendi nel nostro paese
sono bassi perché il costo del lavoro è alto ed anche la produttività
risulta bassa. In verità, siccome la produttività totale è la risultante
della somma tra capitale e lavoro, essa è bassa perché questi due
fattori sono bassi, quindi il problema del costo del lavoro è falso,
considerando il fatto che esso è maggiore in paesi che godono di una
salute sicuramente migliore della nostra, uno tra tutti la Germania che
guida questa classifica. Da una parte non si vuole andare al nocciolo
della questione, non facendo altro che spostare l’asso sul fronte delle
polemiche nei confronti dei sindacati accusati dalla leader della
Confindustria Marcegaglia di difendere “assenteisti cronici”. Tra
l’altro definire i lavoratori anche dei ladri, in un momento di forte
tensione sociale, non fa che acuire la rabbia di chi non ha voce perché
questa le viene scippata, come la ricchezza che essi producono. È da
trent’anni che si sposta sistematicamente la ricchezza da chi lavora a
chi invece detiene i mezzi di produzione. In assenza o quasi di
politiche volte a ridistribuire il reddito, si assiste al disastro
economico-finanziario, determinando in buona sostanza pericolose nuove
forme di povertà. Ma su questa crisi c’è chi si arricchisce, forse chi
l’ha provocata, ovvero quell’establishment oligarchico ben rappresentato
dalla finanza, il vero potere egemone che dietro le quinte muove i fili
di tutte le operazioni politiche ed economiche. E del resto l’attuale
governo, il quale è espressione di quei poteri si dimostra insensibile
alle richieste di lavoro e sostegno economico nei confronti delle fasce
più deboli. In Parlamento tuttavia, si continua a sostenere in maniera
più che convinta ogni scelta politica, eccetto se si toccano gli
interessi di Berlusconi. È un dato di fatto che il Pdl dà qualche
sussulto solamente nel caso in cui si tratta di argomenti come la
televisione e la giustizia, tutti e due molto cari all’ex premier. La
natura del Popolo della Libertà è imperniata proprio sugli interessi di
una persona, non lo abbiamo scoperto certo ieri mattina, ma dall’altra
sponda, ovvero quella del Partito Democratico se il governo manomettesse
in maniera decisa i diritti dei lavoratori, questi come si
comporterebbe. Ma quella è un’altra storia. O forse no ?
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