L’euro non si è dissolto, ma la politica dei leader dell’Eurozona ha già fatto abbastanza danni che non saranno mai riparati. Non è un mistero per nessuno che le popolazioni di Portogallo, Spagna, Italia, Grecia e Cipro vivano
oggi in condizioni peggiori di quanto non lo fossero prima
dell’introduzione della moneta unica. Quello che è grave è che la situazione potrebbe ancora peggiorare, sostengono gli economisti.
Prima che scoppiasse la crisi cipriota l’Unione
europea aveva sempre mostrato il suo pugno di ferro, chiedendo ai Paesi
parte dell’Eurozona di rispettare gli obiettivi di deficit e Pil posti
dal Trattato di Maastricht.
L’euro aveva, infatti, portato a una prosperità illusoria, durata
fintanto che non è emersa la crisi del debito. Poi si sono susseguite
manovre di tassazione sempre più pesanti, tagli alle pensioni
improponibili. E’ scoppiata una disoccupazione che non conosce limiti.
Un dato di fatto però c’è. “E’ il fardello del debito con cui le nazioni più in difficoltà continuano a convivere”, riprende Ilargi Meijer.
Calzante è l’esempio di Cipro. Secondo il
giornalista non è una vittima dell’euro come le altre. Qui a fare la
differenza è la tempistica. Entrata nell’Unione europea nel 2004,
l’isola non ha introdotto la moneta unica fino al 2008.
Ma già da allora le sue attività bancarie rappresentavano il 450% del
Pil: avrebbero messo a dura prova la stabilità dell’intero sistema
euro. Bruxelles è rimasta a guardare.
Quello che deve essere modificato è il meccanismo di funzionamento della democrazia europea.
“Viviamo in una democrazia dove la Germania con la sua quota pari al
24% della popolazione dell’Unione europea, decide la linea da seguire”.
Berlino lo fa con una visione limitata, che si ferma ai confini del
Paese. “A loro non importa quello che succede alla gente per le strade
di Nicosia, di Porto o di Siviglia; l’importante è che non si tocchi il
loro lavoro, i loro risparmi, il loro benessere – conclude Ilargi Meijer
– . Sono degli intoccabili”. Ma hanno fallito.