giovedì 21 giugno 2012

NO ALL'ECONOMIA SHOCK

Mentre l'economia greca è sconvolta dal quinto anno consecutivo di recessione e la riduzione del suo prodotto interno lordo - a causa delle misure di «austerità» imposte al paese dalla troika - ha superato il 17%, si sta verificando una catastrofe sociale senza precedenti.
Il tasso di disoccupazione ha oltrepassato il 21%, il che significa che in un paese con meno di 11 milioni di abitanti e una forza lavoro inferiore a 5 milioni, oltre 1.200.000 persone non riescono a trovare nemmeno un lavoro part time che gli permetta di guadagnare 400 euro al mese, e tra queste soltanto il 30% ha diritto, per un periodo massimo di 12 mesi, al povero sussidio di disoccupazione di 300 euro.
Inoltre, per le stesse ragioni, il paese sta assistendo alla distruzione dei servizi sociali (sanità, istruzione, assegno di disoccupazione, assistenza pensionistica e sanitaria) e i poveri (pensionati, disoccupati e sottopagati) sono costretti a pagare di tasca propria i farmaci e le cure mediche, oltre alla fornitura di elettricità (acqua etc.), proprio mentre la compagnia Greek Petroleum ha annunciato di aver aumentato del 5% i suoi profitti e la Banca Piraeous del 18% circa.
Il 29 maggio scorso le autorità economiche europee hanno annunciato il trasferimento di 18 miliardi di euro alle quattro principali banche private greche, le quali controllano oltre il 70% del settore bancario ellenico e le cui azioni sono detenute in maggioranza da fondi europei privati e istituzionali, per aumentare la loro adeguatezza patrimoniale. In questa misura di assistenza finanziaria europea non sono invece state incluse le due banche pubbliche del Paese. Il giorno successivo (il 30 maggio) l'Agenzia nazionale per la salute (Eoppy) ha annunciato di non essere in grado di rimborsare ai farmacisti i soldi che deve a questi ultimi per i medicinali prescritti.
Nel frattempo i funzionari dell'Unione europea e i loro protettori (speculatori, banchieri e leader politici) fanno a gara a chi spaventa di più il popolo greco, affinché non voti contro i partiti che hanno sottoscritto le misure di «austerità» e quelle previste dal Memorandum, in cambio della liquidità accordata con nuovi prestiti al settore bancario ellenico. Un memorandum - sottoscritto da Nuova democrazia, Laos e Pasok - che invece di favorire il riorientamento produttivo dell'economia greca riducendo l'enorme evasione fiscale della quale beneficiano gli operatori medio alti e gli intermediari, cancella almeno il 30% dello stipendio annuale dei lavoratori e delle classi medio-basse, annulla gli standard del contratto collettivo mentre l'inflazione avanza al ritmo del 4-5%. Si pretende inoltre che i lavoratori paghino a caro prezzo beni e servizi di prima necessità e di tasca propria i servizi sociali, nonostante sborsino già contributi assicurativi altissimi, così come alta è la tassazione sul reddito e l'Iva a cui sono sottoposti.
Ma c'è di più dietro queste misure punitive: il tentativo è quello di far sentire colpevole il cittadino greco se non riuscirà - a qualsiasi costo, per sé e per la sua famiglia - a restituire, ad alti tassi d'interesse, i debiti che le sue classi dirigenti hanno contratto per importare dalla Germania, dall'Olanda e dall'Italia merci che hanno spazzato via dal mercato interno i prodotti greci e danneggiato le sue prospettive produttive e di impiego.
Le classi dominanti europee e greche, il cui dominio si basa su patrimoni finanziari immateriali, sanno molto bene che nel contesto capitalistico la riformulazione dell'economia europea presuppone la distruzione delle classi medie che si sono sviluppate nel secondo dopoguerra e la degradazione dei servizi pubblici e di quelli sociali. Quale migliore e inevitabile soluzione per l'enigma greco provano dunque ad applicare la scelta del «letto di Procuste», ribattezzata per l'occasione Financial assistance facility agreement.
Secondo questo accordo, il popolo greco deve pagare più denaro ai suoi creditori (oltre 35 miliardi di euro ogni anno per i prossimi 30 anni) e meno per salari, pensioni e misure assistenziali. Salari e pensioni, secondo l'accordo, vanno corrisposti solo dopo che i creditori hanno ottenuto le rate dei loro rimborsi.
In passato una parte di questi prestiti, che andava ad alimentare i consumi, garantiva il consenso delle classi medie al progetto dell'area euro, anche se la maggior parte di quel denaro serviva per riprodurre il privilegio dell'élite politica e della borghesia compradora e finanziaria. Negli ultimi vent'anni il paese si è trasformato in un'economia di servizi basata sul turismo e sul commercio e il popolo greco, a causa dell'euro forte, ha perso una porzione importante della sua capacità produttiva, ma non dei suoi valori umani. Nonostante le élite europee e nazionali gli chiedano di accettare il destino di diventare vassalli, i greci resistono seguendo i loro sentimenti di libertà e le loro aspirazioni a una vita dignitosa. Proprio questa prospettiva alternativa rappresenta ciò che le élite europee temono di più, perché può dare l'avvio a una catena di cambiamenti radicali in tutta l'Europa.
Il voto del 6 maggio scorso ha rivelato che l'applicazione della dottrina dello shock, descritta in maniera autorevole da Naomi Klein, non è applicabile all'Europa, dove la memoria storica e la cultura democratica, invece di essere cancellate, risvegliano la coscienza libertaria dei popoli.
Le ultime elezioni in Grecia hanno dimostrato che l'Europa sta dando l'addio all'era neoliberale. Ma questa prospettiva non è ancora sicura, perché siamo in un equilibrio precario in cui - come direbbe Antonio Gramsci - «il nuovo non è ancora nato e il vecchio resiste». È per questo che in Grecia molte aziende stanno distribuendo ai loro dipendenti dei questionari che chiedono in quale paese preferirebbero trasferirsi per lavorare, nel caso Syriza diventasse il partito di governo dopo le elezioni del prossimo 17 giugno. È per questo che in tutta Europa le classi dominanti stanno utilizzando il loro arsenale per terrorizzare il popolo greco e convincerlo a non votare contro i partiti che hanno sottoscritto la violazione della sua esistenza dignitosa.
Questa testimonianza dall'anello debole della catena europea si trasmetterà all'Europa progressista, spingendo verso la legittimazione di un governo europeo autorevole e reattivo. O siamo diretti verso la disintegrazione e il rafforzamento dei nazionalismi?
La risposta non «soffia nel vento», ma nei sentimenti dei popoli e nella loro aspirazione a una vita dignitosa.

venerdì 8 giugno 2012

IL BERLUSCONI POVERO ?!

Il Cavaliere è ossessionato da quello che vent’anni fa fu il sogno di Massimo D’Alema: vederlo chiedere l’elemosina all’angolo di via del Corso. Il buon Silvio sarebbe preoccupato, ne avrebbe parlato anche con Napolitano. Non ha superato la mazzata della sentenza Mondadori. E non a caso sta svendendo quasi tutto il Milan.
Berlusconi di questi tempi grami avrebbe addirittura l’ossessione di diventare povero. Sarebbe così ossessionato da averne messo a conoscenza persino il Capo dello Stato, di cui peraltro non è data sapersi alcuna reazione. Possiamo immaginarla, riproiettandola a diciotto anni fa, quando quel simpaticone di Massimo D’Alema prefigurò, per il Cav., un futuro in cui il medesimo sarebbe stato costretto a chiedere l’elemosina all’angolo di via del Corso.
Se a distanza di quasi un ventennio l’argomento ritorna di stretta attualità, almeno nell’animo più profondo di Silvio Berlusconi, è perché – evidentemente – qualcosa è accaduto. Innanzitutto, di concreto, quello che lui stesso considera uno scippo, quei seicento, o giù di lì, milioni che gli ha sciroppato l’Ingegnere per la storia (antichissima) della Mondadori. Quella sentenza è stata per lui un vero e proprio trauma dal quale non si è più ripreso. Vero che c’è sempre la Cassazione che potrebbe riportare nelle casse di Mediaset il poderoso malloppo, ma già con il primo giudizio la grana pesante ha preso la via della Cir, dove viene gelosamente custodita (e investita).
L’ossessione del Cav. di diventare povero ha ovviamente stretta correlazione con la congiuntura del momento. Dovrebbe farci perlomeno sorridere, noi spiantati e lui (ancora) straricco, e invece qualche significato più recondito lo porta con sé. Ed è l’idea di terrore. La sensazione, cioè, che non vi sia più nulla di logico che possa tamponare (intellettualmente) il tracollo economico sotto gli occhi di tutti, raccontato con enfasi sin troppo drammatica da tutti i mezzi di informazione. Se ne siamo traumatizzati noi, che per paradosso ne abbiamo da perdere molto meno, perché non dovrebbe esserlo lui, che porta la responsabilità di una grandissima azienda? Ecco, perdere l’azienda e diventare povero tutto d’un colpo. Il sogno di Massimo D’Alema che si avvera con vent’anni di ritardo sulla tabella di marcia.
Un’azienda che come sappiamo, e come ci ha ripetuto lo stesso Confalonieri, non se la passa benissimo. Un’azienda che non dà più molti segni di modernità, un’azienda che allora nacque più giovane delle altre, ma che è invecchiata infinitamente prima (delle altre). Non si è rammodernata e francamente lo si vede soprattutto negli uomini. A parte la fatica di dare una pedata nel sedere a Emilio Fede, alla verde età di ottant’anni, ma poi in fondo il presentatore non fa testo. Prendiamo gli altri, i dirigenti d’età più vispa. E prendiamo, a paradigma di una certa condizione, la «contendibilità» dei dirigenti Mediaset/Fininvest all’interno di un mercato più ampio. Praticamente zero. Ormai, nel mondo dell’economia, è tutto un cacciare teste. L’ultimo, Mario Greco per Generali. Da quanto non ricordate un dirigente di Silvio Berlusconi che è stato strappato alle sue aziende con la forza, con la potenza, con la struttura, della sua sola professione?
Quell’ossessione di diventare povero è reale, vera, concreta. Lo si nota col Milan, dove sta andando in onda solo una commedia e senza neppure gli equivoci. Si svende, ragazzi. Si fa vergognosamente cassa. Adesso infiocchetta Ibra e lo spedisce all’emiro del Psg. Peraltro meno male, un rompicoglioni in meno. Poi si vorrebbe vendere anche l’unico buono che c’è, Thiago Silva, il Barcellona preme.
Il pacchetto vale più o meno un centinaio di milioni. Che finirebbero immediatamente sotto il lettone di Putin. Per ogni evenienza.