giovedì 31 maggio 2012

Nell'era del social network

Grazie a noi, Zuckemberg diventa miliardario mentre noi, grazie a lui, perdiamo privacy e vita, tanta, troppa, e perdiamo anche baricentro, concentrazione e obiettivo. Perdiamo, e basta.
Perché a fare un’analisi sincera, a fare due conti veri, e non da tossico che imbroglia sui grammi di “roba” giornalieri, le ore passate sui social media sono veramente troppe. Sì, sono minuti, a volte solo secondi che rubo al mio lavoro, a una lettura che interrompo perdendo climax e segno, e solo per comunicare al mondo i 140 caratteri che mi piacciono di più, per tenerlo al corrente dei miei progressi e delle mie letture, come se gliene fregasse qualcosa, al mondo, di me e delle mie scoperte. Forse, di rimando invierà due righe da una poesia della Merini, e che l’abbia letta per intero, c’è anche da scommetterci.
Ma naturalmente questo dubbio facciamo bene a tenercelo per noi, visto che dietro l’icona chiunque può fingersi ciò che non è.
Ma una buona volta, almeno adesso che sembriamo così responsabili e civili, facciamo una prova, e mettiamoli assieme questi attimi rubati, contiamoli, e il risultato sarà ragguardevole, forse, in molti casi spaventoso.
Perché anziché stare a sentire l’emozione di un tramonto crescere e serrarci il respiro, invece di cercare di capire dove risiede e da dove arriva quel brivido, scattiamo una foto e la mettiamo lì. Invece di sentire l’acquolina che sale in bocca, a tavola, prendiamo il piatto e lo mettiamo lì, lo mostriamo al mondo e al mondo diciamo: lo vedi? Non sono abbastanza bravo anch’io?
E ogni “mi piace” ci dà l’illusione di avere qualcuno seduto alla nostra tavola deserta, e a ogni commento di approvazione, è come se qualcuno bussasse alla porta di casa dove pare manchi sempre qualcosa.
Ma cos’è che ci manca veramente, qual è il vuoto e quanto è profondo per giustificare il continuo e ossessivo aggiornamento di stato?
Questa “ammucchiata partecipativa”, di cui parla il sociologo Geert Lovink che a dieci anni dal suo primo saggio lancia un secondo allarme con il libro “Ossessioni collettive”, quanto ci farà male?
Quanto siamo stretti, piegati e piagati, nell’affermazione di un “sé” che non è più deciso dal talento vero e proprio ma solo dall’incontro giusto e da un paio di retweet che ci danno l’illusione di cambiarci la vita?
Non mi va di levarmi su in alto ed elargire consigli o poetiche soluzioni, non posso, so di non avere l’autorevolezza né il carattere per farlo e anche perché, io per prima, ci sto dentro fino al collo. Semplicemente, sono alcune settimane che mi ripeto che così non va.
Credo di aver mancato troppi tramonti negli ultimi tre anni, troppe torte fatte in casa e corse, e sicuramente molto di più. E ho perso anche la nozione del tempo.
Facebook è stata la finestra da cui mostrare al mondo che valevo qualcosa.
In un momento in cui tutto crollava, la mia azienda, il matrimonio, il mio futuro, è stata un’illusione che mi ha aiutata, sì, ma mi ha anche fatto perdere lucidità e tempo.
FB ci dà solo la possibilità di provare con un clic di essere presenti, e di valere qualcosa in più, anche se la nostra vita così com’è ci soddisfa poco, perché poi, si sa che ciò che conta veramente non è l’approvazione di un post, ma continua a essere, e così sarà sempre, e giustamente, il riscontro effettivo, l’effetto reale delle nostre azioni sul vivere quotidiano.
FB non mi consente di dissentire, è una società virtuale tutta votata al positivo che ci costringe a essere compassionevoli per forza, comunque assai poco distante da twitter, dove migliaia di persone fanno a gara per scrivere qualcosa che sia più cool, più giusto, più divertente o più amaro degli altri.
Ma cosa cambia nelle nostre vite? Cosa ci sarà di diverso domani a parte qualche follower in più? Cosa sarà cambiato nel rapporto tra stato e cittadino.
Finora non mi pare che non abbiamo ribaltato il sistema né affossato lo strapotere delle banche. Questo, è un dato di fatto.
Fino ad oggi, a parte il consumo delle parole, anche le più belle e inusuali, e i Koan più complessi della tradizione zen ridotti a battute, mi pare che nulla sia cambiato.
È vero che il popolo del web organizza mobilitazioni, è vero che mostra solidarietà verso vittime innocenti e piange lacrime virtuali di fronte alle ingiustizie, ma succedeva anche prima e forse, l’effetto si consumava anche più lentamente.
Io confesso.
Sono stata presa nella rete, sono rimasta impigliata nelle maglie strettissime di questa falsa condivisione e al momento, mi pare anche che senza, il mondo rischierebbe di sparire all’improvviso ingoiato dai pixel.
Ma la verità, l’unica e tangibile, è che alla mia tavola siedono gli amici di sempre e che il mio blog riceve visite non da persone che cliccano “mi piace” ai miei post perché chi lo fa, compie atto di presenza, e basta. Come l’ospite invitato al vernissage che arriva imbellettato e solo per conoscere gente “che conta” e mangiare gratis al buffet. Chi condivide articoli senza nemmeno leggerli, non è troppo distante dal tizio che alla mia festa non vede l’ora di andarsene dopo aver bevuto cinque bicchieri di qualcosa ed essersi ingozzato di tartine.
Perché non siamo diventati più buoni, non siamo più impegnati socialmente, né più consapevoli.
La mia cultura e la mia consapevolezza vengono da lontano, da un mondo 0.0 e dalle ore che ho passato sui libri, e a teatro, e nei locali, ad ascoltare musica live. E anche quando siamo lì, oggi, tra la gente, nel mondo reale, mi domando perché continuiamo a sentirci in dovere di mettere al corrente il mondo su cosa facciamo, ciò che guardiamo, cosa mangiamo, chi vediamo.
È sempre un modo per affermarsi e mostrarsi, dimostrare a noi stessi, prima che agli altri, di essere ancora in vita.
Ci sentiamo vivi partecipando alle disgrazie altrui, ma sempre meno alle gioie e alle vittorie dell’altro, purtroppo, visto che questa realtà vive la frustrazione di un vero scollamento dal “friendly” cui siamo abituati on line, perché Zuk, ci ha dato l’illusione di poter giudicare chiunque e accedere ovunque quando poi, nella realtà, è sempre e solo la telefonata giusta che ci farà assumere da qualche parte o pubblicare da qualcuno.
Mi auguro soltanto, come ipotizza Lovink, che tra un po’ sarà molto poco cool controllare di continuo il proprio smartphone in pubblico.

lunedì 21 maggio 2012

In quale contesto sociale e politico si inserisce l'attentato di Brindisi?

Il dolore atroce che si rovescia sulla vita civile del nostro Paese, nel giorno dell’attentato che ha profanato la gioventù di Brindisi, è ancora una volta l’ingrediente sanguinario che puntualmente si inserisce dall’ombra nei momenti cruciali della storia nazionale.
Le bombe che scoppiano fra la gente hanno sempre favorito lo stesso obiettivo: convalidare un restringimento della libertà in nome della sicurezza e disinnescare le possibilità di cambiamento democratico mentre si approntano nuovi equilibri.
L’attentato di Brindisi, un episodio che si aggiunge alla lunga serie del terrorismo stragista italiano, emerge come un evento di grande importanza perché si affaccia tragicamente in un crocevia di crisi politiche ed economiche che stanno ridisegnando la sovranità, i rapporti sociali e di potere, la forma stessa del sistema politico: esattamente come accadde in questi stessi giorni vent’anni fa, quando la strage di Capaci fu un fatto decisivo nel passaggio drammatico della nostra storia in cui crollava la cosiddetta Prima Repubblica, un momento di crisi che travolse vite, carriere, movimenti politici e speranze di rinnovamento, il tutto in mezzo a stragi, tensioni, ricatti, messaggi trasversali e misteri mai risolti, che hanno pregiudicato la vita democratica italiana nei vent’anni successivi.
Alla vigilia di un netto peggioramento della crisi, alla quale la tragedia economica delle Grecia sta per fare da innesco, l’entrata in scena di questa forma di violenza deve suscitare il massimo allarme democratico.
Non sfugge a nessuno il fatto che l’attentato stragista è perpetrato davanti a una scuola intitolata proprio a una delle vittime della strage di Capaci, Francesca Morvillo Falcone.
Così come non ci sfugge un’altra singolare coincidenza: è colpita per prima la città portuale italiana che funge da “porta della Grecia”, quasi ad aprire simbolicamente una nuova fase in cui convergeranno tutti i fattori di crisi.
Il governo Monti-Napolitano, che si è costituito per un grave deficit di democrazia e ha continuato ad agire su quella strada, appare come il meno adatto e il più pericoloso a gestire questa fase di crisi: recentemente, di fronte al crescere delle tensioni sociali aggravate dalle loro scelte politiche, i governanti hanno fatto presagire una militarizzazione della loro risposta, accompagnata da indiscriminati allarmi antiterrorismo.
Il laboratorio politico Alternativa fa appello ai movimenti, ai cittadini, a tutte le forze popolari che hanno a cuore la difesa della Costituzione, affinché vigilino e non cedano sulla difesa delle libertà fondamentali. Con l’obiettivo di avere un governo che non sia gravato dal deficit di democrazia.

Tratto da: Brindisi e la democrazia | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2012/05/21/brindisi-e-la-democrazia/#ixzz1vU8K1ErQ
- Nel tempo dell'inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario!

giovedì 10 maggio 2012

GLI SCANDALI DI EQUITALIA

Equitalia”, oltre ad applicare tassi di interesse pazzeschi (in pochi anni la cifra dovuta raddoppia, triplica…) strappa alle famiglie in difficoltà economica la casa, spesso pagata in anni e anni di rinunce e sacrifici:
Con le nuove normative approvate recentemente (in silenzio) Equitalia potrà prelevare i soldi direttamente dai conti correnti, e pignorare le case in SOLI 2 MESI dalla partenza delle procedure: (vedi articolo) la cosa che fa ancora più schifo, viene le case dei poveri vengono SVENDUTE all’asta, a qualche ricco speculatore (magari un evasore fiscale che ricicla i soldi sporchi, anche tramite prestanome) che la acquista a prezzo stracciato, per rivenderla con calma, al doppio: anche se impiega 2,3 anni per venderla, è sempre un ottimo investimento…
Facciamo un esempio:
La tua casa vale 200.000 Euro:
con gli interessi di un mutuo ventennale, ne hai restituiti 350.000:
Se la casa non viene venduta alla prima asta, viene ripetuta, e il prezzo di partenza di abbassa di volta in volta: pertanto diventa una prassi, che alla prima non venga mai venduta:
Alla prima asta, il prezzo di partenza è di 130.000: niente!
L’asta si ripete: partendo da 100.000….. niente!
alla terza asta, si parte da 70.000 … e viene venduta.
Poniamo che il tuo debito nei confronti di equitalia sia stato di 30.000 Euro: (magari l’importo dovuto è di 10.000 ma tra interessi e penali, in qualche anno è arrivato a 30.000) per recuperarli, svendono la tua casa a 70.000, dopodiché ti trattengono i 30.000 che devono, ti addebitano le spese (dell’asta e delle pratiche) per un importo di ulteriori 5.000 e ti restituiscono……….. 35.000 euro!
per sanare un debito iniziale di 10.000 Euro, ti hanno privato della tua casa che hai pagato 350.000 euro, restituendoti 35.000 Euro: in pratica, quel debito ti è costato la bellezza di 305.000 Euro, ovvero i 10.000 del debito iniziale sommati ai 35.000 che ti hanno restituito dopo la vendita all’incanto.
UNA SOLA PAROLA: SCANDALOSO!

martedì 1 maggio 2012

GRILLO E QUALCHE CAVOLATA DI TROPPO

Rapida dimostrazione del fatto che chi semina vento raccoglie tempesta.
Ieri Beppe Grillo a Palermo, ostentando un’antipatia stupida nei confronti dei cronisti che erano lì a interrogarlo, ha fatto un ragionamento complesso sulla mafia che tende a mantenere in vita le sue vittime in quanto fonti di reddito attraverso il pizzo. Argomento da prendere con le pinze, com’è giusto quando si parla di Cosa nostra in terra di Cosa nostra. La battuta è stata mal sintetizzata da siti e agenzie in un titolo di questo genere: “La mafia non strangola le sue vittime”. Che è una cazzata di proporzioni ciclopiche.
Superficialità giornalistiche a parte (molti Soloni tuonano dai loro divanetti in similpelle al solo tintinnar di catene antimafia), Grillo ha meritato questo trattamento frutto di superficialità e, diciamolo, anche di una certa incultura. Perché lui è il padre di ogni pregiudizio e sta mostrando di essere il migliore (o peggiore?) cultore dei luoghi comuni. I politici? Rubano tutti. I giornalisti? Peggio dei politici. Le tasse? Una rapina. E via dicendo.
Chi di giudizio sommario ferisce….
E’ un peccato però che ci vadano di mezzo i volenterosi cittadini del Movimento 5 stelle.