La soppressione della democrazia, l’aumento del divario sociale ed
economico tra poveri e ricchi, il disfacimento dello stato sociale, la
privatizzazione e la conseguente applicazione delle norme del mercato a
tutte le sfere della nostra vita, e così via. Quando l’assurdo ci viene
propinato ogni giorno come normale, è solo una questione di tempo prima
che uno si senta malato o anomalo. Di seguito provo a riassumere alcune
idee che ritengo fondamentali.
1. Parlare di
assalto alla democrazia è un eufemismo. Una situazione in cui alla
minoranza di una minoranza è consentito nuocere al bene di tutti per
l’arricchimento di pochi, è postdemocratica. La colpa è della collettività, perché non è stata in grado di eleggere persone che tutelassero i suoi interessi.
2. Ogni giorno sentiamo che i governi dovrebbero “riconquistare la fiducia dei mercati“.
Con “mercati” si intendono prima di tutto le borse e i mercati
finanziari, ossia quegli attori che speculano per i propri interessi o
per conto di altri, con l’obiettivo di ottenere il più alto profitto
possibile. Non sono gli stessi che hanno alleggerito la collettività di
una quantità inimmaginabile di miliardi? È la loro fiducia che i nostri
sommi rappresentanti dovrebbero cercare in ogni modo di ottenere?
3. Ci indignamo, a ragione, per la “democrazia guidata” di Vladimir Putin. Ma perché ad Angela Merkel non è stata chiesto di dimettersi, quando ha parlato di “democrazia conforme al mercato“?
4.
Con il crollo del blocco orientale, alcune ideologie hanno raggiunto
un’egemonia talmente incontestata da essere percepite come normali. Un
esempio di questo potrebbe essere la privatizzazione,
vista come qualcosa di completamente positivo. Tutto quello che
possedeva la collettività era ritenuto inutile e dannoso per i clienti.
Così è emerso un clima che, presto o tardi, avrebbe portato per forza
all’esautorazione della collettività.
5. Un’altra ideologia che ha avuto enorme fortuna è quella della crescita: “Senza crescita non c’è nulla“,
ha decretato già diversi anni fa la cancelliera tedesca. Senza parlare
di queste due concezioni, non si può neanche affrontare un discorso
sulla crisi dell’euro.
6. Il linguaggio dei
politici non è più in grado di rappresentare la realtà (avevo già
vissuto una situazione simile nella Ddr). È un linguaggio che esprime
sicurezza di sé, che non si sottopone più alla verifica di un
interlocutore. La politica è degenerata fino a diventare uno strumento,
un soffietto usato per attizzare la crescita. Il cittadino è ridotto a consumatore.
Crescita di per sé non significa nulla. L’ideale della società sarebbe
un playboy che nel minor tempo possibile consuma il massimo. In questo
senso, una guerra comporterebbe un’impennata vertiginosa della crescita.
7. Domande ovvie come “a chi giova?“, “chi ci guadagna?“,
sono diventate sconvenienti. Non siamo tutti sulla stessa barca? Chi
dubita di ciò minaccia la pace sociale. La polarizzazione economica
della società è avvenuta mentre si predicava a gran voce che abbiamo
tutti gli stessi interessi. Basta fare un giro per Berlino.
Nei quartieri più belli, i pochi edifici non restaurati di regola sono
scuole, asili, case di riposo, piscine o ospedali. Nelle zone cosiddette
“problematiche” gli edifici pubblici in rovina si notano di meno. Lì
sono le fessure tra i denti che suggeriscono il livello di povertà. Oggi
si dice, non senza demagogia: abbiamo vissuto al di sopra delle nostre
possibilità, siamo stati ingordi.
8.
Sarebbe democrazia se la politica intervenisse con tasse, leggi e
controlli sulla struttura economica esistente e costringesse gli attori
dei mercati a seguire binari compatibili con gli interessi della
collettività. Sono domande semplici: a chi giova? chi ci guadagna? è un
bene per la collettività? E soprattutto: quale società vogliamo? Questa per me sarebbe democrazia.
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