mercoledì 2 marzo 2011

Puo' esserci un'alternativa a Berlusconi?

Istruito al verbo di Giuliano Ferrara (che prossimamente avremo la sfortuna di vedere esibirsi e somministrare sproloqui dallo spazio Tv che fu di Enzo Biagi), Berlusconi prova ora ad arginare la caduta verticale dei consensi che ne certifica il declino riproponendo con tutto il furore e la violenza verbale possibili l’antica litania anticomunista sulla quale egli ha costruito la propria quasi ventennale fortuna politica. C’è tuttavia, nella riproposizione di quello sgangherato refrain, qualcosa di grottescamente surreale che accomuna l’invettiva urlata sabato scorso dal premier dal palco dei “Cristiani progressisti” (sic!), al comizio con cui Gheddafi ha intimato ai suoi adepti di sterminare “chi non lo ama”. Farsa nel primo caso, tragedia nel secondo, ma identico, disperato esito paranoico di un delirio che abbiamo visto spesso manifestarsi nel crepuscolo – quasi sempre drammatico – dei dittatori.
Berlusconi appartiene, senza ombra di dubbio, a questa specie, purtroppo non estranea alla biografia della nazione. E, al pari di tutti i dittatori, non trascurerà mezzo alcuno per restare in sella, qualunque prezzo debba pagare il Paese. Così, sabato, abbiamo visto e udito il sultano, livido e in preda ad una compulsiva autoesaltazione, arringare la platea contro le coppie gay e giurare che – lui regnante – mai esse potranno essere assimilate ad una “normale” famiglia e che mai esse potranno sperare di avere bambini in adozione. Poi l’abbiamo visto scagliarsi contro la scuola pubblica, che “inculca” valori estranei a quelli che i gendarmi osannanti delle famiglie da Tea-party convenuti per l’occasione ritengono utili per i propri figli.
Insomma, l’uomo dalle mille imputazioni a carico (dalla corruzione alla frode fiscale, dalla concussione alla prostituzione minorile), l’inventore del bunga-bunga in salsa italiana, colui che ha stremato il Paese e messo in un cul de sac una generazione, il protagonista dello scasso costituzionale che ha devastato le istituzioni e lo stato di diritto, il complice del più forsennato attacco ai diritti del lavoro che si ricordi dal ventennio fascista, colui che ha incorporato nel suo sistema di alleanze e perfettamente rappresentato, come nessuno nell’Europa moderna, la destra più estrema, ora si erige a paladino di una trincea morale, di un’eticità ipocrita e fraudolenta.
Riuscirà a credergli ancora una volta la maggioranza di questa Italia sfibrata e in così grande parte prigioniera di un incantesimo che sembra non aver fine?
La risposta, come è evidente, non può essere consegnata ad un parlamento la cui maggioranza, prigioniera del denaro e degli appannaggi con cui è stata comprata e insediata, rimarrà avvinghiata al padrone e ligia al suo comando, qualunque esso sia e sino alla fine. Anche gli ultimi fuochi fatui che hanno attraversato il palazzo ci rendono avvertiti – se mai ce ne fosse stato il dubbio – che non è da quelle parti che è lecito aspettarsi impossibili palingenesi. E’ ora di capirlo: una volta che la cancrena abbia profondamente penetrato vasi e tessuti, può solo essere amputata. E allora, o il popolo trova in se stesso le risorse, politiche e morali, per farlo, oppure ne viene inesorabilmente contagiato e travolto.
La mia opinione è che ci troviamo esattamente a questo punto. Se il sultano, al culmine della propria infame parabola, dovesse riuscire a rivendicare come virtù ciò che gli viene imputato come vizio e indice di corruttela; se gli fosse consentito di replicare il gioco di prestigio con cui è riuscito a obnubilare la coscienza di strati sociali che nulla hanno da ottenere da lui e dalla sua corrotta camarilla; se, in sostanza, Berlusconi riuscisse proprio ora a “scavallare” la crisi, il Paese e tutti noi correremmo il rischio di un’ancora più profonda degenerazione autoritaria, non impossibile in un’Europa in piena decadenza e crisi di identità politica.
Noi stiamo scivolando – giorno dopo giorno – lungo un crinale in fondo al quale della democrazia costituzionale non vi è più neppure la più labile traccia. E non basteranno, a frenare la caduta, le comparsate televisive, la contestazione non più che mediatica di un’opposizione che si indigna, ma non ha più i denti per mordere. Diciamolo, una volta per tutte: è un errore fatale ritenere che possa essere qualche sentenza di tribunale a chiudere i conti col caudillo e illudersi che la scorciatoia giudiziaria, una qualche sanzione penale, possano surrogare ruolo e funzioni della politica.
Ci sono momenti in cui occorre rischiare, e assumersi la responsabilità di suscitare un sussulto democratico, indicare la strada di una rivolta che abbia il carattere politico e l’ampiezza sociale di una rottura. O trovi questo coraggio, o ti incarti senza via di scampo.
La questione dello sciopero generale va letta esattamente in questa prospettiva. Se tutto si risolvesse nella celebrazione di un rito stanco, officiato per scrollarsi di dosso un’imbarazzante accusa di inerzia, non servirebbe a nulla. Una data buttata più in là possibile avrebbe la forza d’urto di un convoglio parcheggiato su un binario morto. Lo sciopero di cui c’è bisogno deve essere invece l’innesco e l’espressione insieme di un generale sommovimento della società, tale da mettere in moto e unire tutte le forze, le soggettività, i movimenti che si oppongono all’imbarbarimento presente: il lavoro, la generazione precaria, le donne, i migranti, quanti si battono per la difesa dei beni comuni per sottrarli alla riduzione a merci e quanti non si rassegnano alle moderne forme di schiavitù.
Non più, dunque, l’istantanea di una protesta che monta per un giorno e poi rifluisce; non più una risposta puntiforme e slegata senza comune denominatore, ma un vero e proprio assedio al potere, che mentre mette in discussione lo stato di cose esistenti, fissa l’agenda di un’altra politica per un altro Paese.

1 commento:

  1. Stupendo articolo Fabio, come sempre del resto!
    solo due precisazioni:
    Berlusconi fa breccia sulle famiglie OBAMISTE non su quelle dei Tea party!quest'ultime, infatti, credono ancora in qualche valore, sono mosse da degli ideali. Berlusconi, come Obama (Obama è il Silvio yankee, visto che ha fondato il suo patrimonio UNICAMENTE sull'immagine) preme sulle famiglie relativiste medie: come per l'appunto l'americano medio (svogliato, ipocrita, democratico, piagnucolone, borghesoide,affarista, ecc... )è rappresentato da Obama non certo dai movimenti elitari (sic!) del Tea party o degli "orgogliosi" americani sudisti. ovviamente sputtanati crudeli, perfidi e cattivi perchè erano un ostacolo allo sviluppo economico.
    Altresì la legge fascista sul lavoro del 1927, confrontata ai diritti (quali??)della nostra giurisprudenza lavorista è un CAPOLAVORO di garanzie e sostegno ai lavoratori in materia di assistenza, assicurazione, malattie, lavori notturni, maternità, previdenza, assistenza, delle controversie individuali, della prevenzione dagli infortuni, dell'igiene, dell'assicurazione contro l'invalidità e la vecchiaia, della protezione alla maternità, contor la disoccupazione.. ecc.. insomma tutte cose che i nostri adorabili e democratici giuslavoristi, docenti universitari, illuminati liberisti hanno stralciato rendendo, de facto, schiavi i lavoratori.
    potessimo ritornare a quella legislazione corporativista, socialista, nazionalista, fascista, garantista!

    Paolo

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