giovedì 24 marzo 2011

ENNESIMA LEGGE AD PERSONAM!!

La guerra e il “dolore” di Berlusconi sulla sorte dell’amico Gheddafi non distolgono il resto del governo dal guardare alla soluzione dei problemi del premier. La commissione Giustizia della Camera approva la prescrizione più corta per gli incensurati all’interno del provvedimento sul processo breve, che andrà in aula lunedì prossimo. Risultato: secondo i calcoli il processo per la corruzione giudiziaria dell’avvocato inglese David Mills, che oggi andrebbe in prescrizione nel febbraio 2012, si prescriverà, invece, il prossimo maggio.  Insomma, se il 28 marzo la Camera approverà voterà la nuova legge a Milano ci sarà il tempo per un’unica udienza.

Un bel sollievo per il premier che, dopo aver visto riconosciuto in Cassazione la responsabilità di Mills come corrotto, temeva di essere condannato quantomeno in primo grado. Ma questo non è l’unico colpo che la maggioranza sta per mettere a segno. Le grandi manovre proseguono anche sul nucleare. Domani, infatti, il Consiglio dei ministri si troverà sul tavolo un decreto legislativo bollente: il via alla localizzazione dei siti su cui costruire le future centrali nucleari italiane.

Si tratta di un provvedimento dove sono elencati una serie di siti, più di uno per Regione, dove un’apposita commissione del ministero dello Sviluppo economico ha dato il proprio parere positivo per la costruzione di nuove centrali. L’elenco, secondo la legge, dovrebbe essere discusso con le Regioni, ma si tratta comunque di un parere consultivo. Di fatto, una volta approvato, il decreto rappresenterebbe il primo passo concreto verso la costruzione di nuove centrali in Italia, ma le polemiche dei giorni scorsi e soprattutto dei sondaggi devastanti (l’89% degli italiani preferisce le energie rinnovabili e voterebbe a favore del referendum) starebbero inducendo Silvio Berlusconi ad un passo indietro, una moratoria di un anno per aprire una “riflessione” più ampia sulle scelte da fare. E prendere tempo anche per abbassare l’attenzione sul tema in vista del referendum di giugno. “Delle due l’una”, dice Antonio Di Pietro. “O il governo cancella la norma che consente la costruzione di centrali nucleari sul territorio italiano o la mantiene. Ma la moratoria di un anno è un chiaro raggiro che serve a scavallare la data del referendum”, aggiunge. “Insomma, l’unico vero scopo del governo è quello di fermare il temuto verdetto dei cittadini”.

La moratoria sul nucleare, in verità, serve al governo per prendere tempo anche su un altro fronte. Un problema di politica economica e di accordo internazionali. Di mezzo ci sono sempre i francesi, con cui nelle ultime ore i rapporti si sono fatti più tesi per via delle continue prese di distanza anche dello stesso Cavaliere sulla campagna di Libia. La moratoria, in sostanza, serve anche a raffreddare (ma non a chiudere) quegli accordi siglati dall’Eni (ma non solo) per la fornitura di energia elettrica a prezzi di favore in cambio di una futura utilizzazione della tecnologia d’oltralpe nella costruzione delle centrali nucleari italiane.

Al Governo la cautela, in queste ore, sembra comunque la parola d’ordine. Soprattutto dopo che dalla commissione Affari costituzionali del Senato è arrivato un segnale politico inequivocabile su quanto il tema del nucleare sarebbe devastante per la coesione della stessa maggioranza. Ieri pomeriggio, infatti, la commissione non ha espresso il proprio parere sul decreto legislativo sulla localizzazione dei siti, come richiesto dalla commissione Industria, e la votazione finale sul parere positivo del relatore del Pdl è finita 9 a 9, dunque è stata respinta. Un voto che ha convinto il ministro Paolo Romani a dare per scontata la scelta per la moratoria in Consiglio dei ministri di domani mattina, perché i sondaggi (e il voto ballerino di alcuni parlamentari di maggioranza) spaventano molto di più di quanto avvenuto in Giappone.

Nessuna “moratoria” invece, come abbiamo visto, sul fronte della giustizia “ad personam”. I processi avanzano, le aule di tribunali reclamano la presenza di Berlusconi e si avvicina il sei aprile, quando a Milano inizierà il processo al premier per concussione e prostituzione minorile in relazione al caso Ruby. Tra escort, modelle, “bambole” di via Olgettina e varia umanità finita nelle carte, sfilerà davanti ai giudici il Presidente del Consiglio. O almeno dovrebbe. Ma nella norma sul processo breve, oggi discussa in commissione, avanza la prescrizione “ad hoc”. Per quanto rivista e corretta dalla maggioranza, ha ancora quel “trucco modesto”, come lo definiscePierluigi Mantini dell’Udc, di “un favore” al premier. La norma contiene una distinzione “irragionevole” si tratta di un piccolo, preciso, chirurgico, beneficio per “un processo del presidente del Consiglio”: riconosce dei privilegi agli incensurati, ai signori con più di 65 anni. Non solo, ma le disposizioni non si applicano ai procedimenti per cui è stata già pronunciata sentenza di primo grado. Insomma, per dirla con Di Pietro, “basta tirarla alla lunga per non farsi processare”.

Il processo Mills, che vede coinvolto Berlusconi, secondo i calcoli della maggioranza finirebbe in prescrizione. Per un calcolo semplicissimo: attualmente la massima durata è pari alla pena massima prevista per il reato e viene aumentato di un quarto per effetto delle interruzioni. Per il reato di corruzione in atti giudiziari la prescrizione è fissata in dieci anni: la pena massima è infatti di otto anni. Il relatore dell’emendamento, Maurizio Paniz, sostiene che la norma non possa essere applicata ai processi già in corso, ma Luigi Li Gotti della commissione giustizia in Senato spiega che in realtà “chi dice una cosa del genere è quanto meno un ignorante visto che la prescrizione è una norma cosiddetta sostanziale di diritto penale e non di procedura. E quindi, per regola generale codicistica, all’imputato si applica sempre, nella successione di legge nel tempo, quella più favorevole. E dato che non è credibile che si tratti di ignoranza, questa non può che essere malafede”. Solo di qualche deputato della maggioranza che agisce sicuramente a insaputa del premier. Il cinque marzo scorso Berlusconi aveva garantito: “La prescrizione breve sarà ritirata”. Oggi intanto è stata approvata in commissione.

martedì 15 marzo 2011

NUCLEARE: SEGRETI E BUGIE

Ieri sera ho scoperto il MOX. E soprattutto, che le famigerate “centrali di terza generazione”, quelle che ci dicono taanto sicure, sono spesso alimentate a MOX. Guardate cosa si dice delle centrali di terza generazione nelle riviste specializzate:
Il target in termini di sicurezza per questi reattori è di 10^8 anni/reattore senza incidenti con danneggiamento grave del nocciolo; in altri termini un reattore costruito all’epoca della scomparsa dei dinosauri in teoria avrebbe meno del 50% di probabilità di essere soggetto ad un guasto di entità tale da causare un disastro ambientale.
Insomma, una centrale a MOX avrebbe dovuto scampare metà dei disastri dal giurassico ad oggi. Invece il reattore in questione nella centrale Giapponese è durato meno di un anno dalla sua conversione.
A questo punto, credo che abbiamo un serio, serissimo problema di informazione. E quando dico serissimo, intendo dire che ne va della nostra stessa vita.
Quando accadde il disastro di Chernobyl, tutti si affrettarono a sostenere che era per via della segretezza sovietica, della dittatura comunista che teneva il popolo all’oscuro di tutto, del menefreghismo russo che non si preoccupò neppure di avvisare i vicini di casa. Se non fosse stato per gli svedesi che rilevarono le radiazioni, il mondo neppure avrebbe saputo nulla.
Beh, non mi pare che a conti fatti tutti gli altri si stiano comportando molto meglio dei bolscevichi. Il governo giapponese ci sta dimostrando molto bene come si comporterebbe qualsiasi governo al mondo in caso di incidente nucleare. Qualsiasi governo, a prescindere dal colore e dal grado di democrazia: tacere, confondere, minimizzare, sviare, lasciar trapelare col contagocce. Eppure avrebbero il dovere, sia per i propri cittadini già stremati e decimati da un terremoto e da uno tsunami di proporzioni bibliche, sia per gli abitanti del resto del pianeta, di chiarire e mostrare la situazione per ciò che è. Invece, segreti e bugie.
Nessuno vuole toccare queste maledette centrali, inclusa la stampa. E’ comprensibile che una buona parte dei giornalisti si stia dando ad una fuga precipitosa (inclusi alcuni inviati della RAI,) ma chi resta avrebbe il dovere di cercare di saperne di più. Invece non solo non trapela un bel nulla, ma non si riesce neppure a capire come diavolo siano fatte queste centrali e che differenza ci sia tra il reattore 1, il reattore 3 e gli altri reattori che stanno creando problemi in Giappone. Un graficuccio, una mappina, due disegnini?
Infine, gli “esperti”. E’ buffo come, quando si parla di nucleare, tutti invochino “gli esperti”: pare che non si abbia diritto di esprimere un’opinione senza vantare almeno una laurea in fisica o in ingegneria. Poi, si accende la TV e si ascoltano alcuni di questi scienziati parlare per omissioni, fare propaganda, tacere i problemi e esaltare le grandi innovazioni di sicurezza. Come, fino a ieri sera, le magnifiche “centrali di terza generazione” che vanno a MOX. Aggiungo che questa parola, MOX, ho dovuto cercarmela da solo perché non un esperto si è degnato neppure mai una volta di menzionarla.
A questo punto è doverosa la conclusione del cittadino qualunque. Siccome non è possibile aspettarsi che qualcuno ci dica la verità su queste centrali, siccome qualsiasi informazione sul nucleare è trattata alla stregua di propaganda di guerra sia da governi democratici che dalla stampa che da autorevoli scienziati, non possiamo che dire NO. Perché non siamo messi in grado di formarci un’opinione basata su fatti credibili.
E perché non possiamo affidare la nostra vita, ciecamente e come pecoroni, ad una manica di bugiardi.

mercoledì 2 marzo 2011

Puo' esserci un'alternativa a Berlusconi?

Istruito al verbo di Giuliano Ferrara (che prossimamente avremo la sfortuna di vedere esibirsi e somministrare sproloqui dallo spazio Tv che fu di Enzo Biagi), Berlusconi prova ora ad arginare la caduta verticale dei consensi che ne certifica il declino riproponendo con tutto il furore e la violenza verbale possibili l’antica litania anticomunista sulla quale egli ha costruito la propria quasi ventennale fortuna politica. C’è tuttavia, nella riproposizione di quello sgangherato refrain, qualcosa di grottescamente surreale che accomuna l’invettiva urlata sabato scorso dal premier dal palco dei “Cristiani progressisti” (sic!), al comizio con cui Gheddafi ha intimato ai suoi adepti di sterminare “chi non lo ama”. Farsa nel primo caso, tragedia nel secondo, ma identico, disperato esito paranoico di un delirio che abbiamo visto spesso manifestarsi nel crepuscolo – quasi sempre drammatico – dei dittatori.
Berlusconi appartiene, senza ombra di dubbio, a questa specie, purtroppo non estranea alla biografia della nazione. E, al pari di tutti i dittatori, non trascurerà mezzo alcuno per restare in sella, qualunque prezzo debba pagare il Paese. Così, sabato, abbiamo visto e udito il sultano, livido e in preda ad una compulsiva autoesaltazione, arringare la platea contro le coppie gay e giurare che – lui regnante – mai esse potranno essere assimilate ad una “normale” famiglia e che mai esse potranno sperare di avere bambini in adozione. Poi l’abbiamo visto scagliarsi contro la scuola pubblica, che “inculca” valori estranei a quelli che i gendarmi osannanti delle famiglie da Tea-party convenuti per l’occasione ritengono utili per i propri figli.
Insomma, l’uomo dalle mille imputazioni a carico (dalla corruzione alla frode fiscale, dalla concussione alla prostituzione minorile), l’inventore del bunga-bunga in salsa italiana, colui che ha stremato il Paese e messo in un cul de sac una generazione, il protagonista dello scasso costituzionale che ha devastato le istituzioni e lo stato di diritto, il complice del più forsennato attacco ai diritti del lavoro che si ricordi dal ventennio fascista, colui che ha incorporato nel suo sistema di alleanze e perfettamente rappresentato, come nessuno nell’Europa moderna, la destra più estrema, ora si erige a paladino di una trincea morale, di un’eticità ipocrita e fraudolenta.
Riuscirà a credergli ancora una volta la maggioranza di questa Italia sfibrata e in così grande parte prigioniera di un incantesimo che sembra non aver fine?
La risposta, come è evidente, non può essere consegnata ad un parlamento la cui maggioranza, prigioniera del denaro e degli appannaggi con cui è stata comprata e insediata, rimarrà avvinghiata al padrone e ligia al suo comando, qualunque esso sia e sino alla fine. Anche gli ultimi fuochi fatui che hanno attraversato il palazzo ci rendono avvertiti – se mai ce ne fosse stato il dubbio – che non è da quelle parti che è lecito aspettarsi impossibili palingenesi. E’ ora di capirlo: una volta che la cancrena abbia profondamente penetrato vasi e tessuti, può solo essere amputata. E allora, o il popolo trova in se stesso le risorse, politiche e morali, per farlo, oppure ne viene inesorabilmente contagiato e travolto.
La mia opinione è che ci troviamo esattamente a questo punto. Se il sultano, al culmine della propria infame parabola, dovesse riuscire a rivendicare come virtù ciò che gli viene imputato come vizio e indice di corruttela; se gli fosse consentito di replicare il gioco di prestigio con cui è riuscito a obnubilare la coscienza di strati sociali che nulla hanno da ottenere da lui e dalla sua corrotta camarilla; se, in sostanza, Berlusconi riuscisse proprio ora a “scavallare” la crisi, il Paese e tutti noi correremmo il rischio di un’ancora più profonda degenerazione autoritaria, non impossibile in un’Europa in piena decadenza e crisi di identità politica.
Noi stiamo scivolando – giorno dopo giorno – lungo un crinale in fondo al quale della democrazia costituzionale non vi è più neppure la più labile traccia. E non basteranno, a frenare la caduta, le comparsate televisive, la contestazione non più che mediatica di un’opposizione che si indigna, ma non ha più i denti per mordere. Diciamolo, una volta per tutte: è un errore fatale ritenere che possa essere qualche sentenza di tribunale a chiudere i conti col caudillo e illudersi che la scorciatoia giudiziaria, una qualche sanzione penale, possano surrogare ruolo e funzioni della politica.
Ci sono momenti in cui occorre rischiare, e assumersi la responsabilità di suscitare un sussulto democratico, indicare la strada di una rivolta che abbia il carattere politico e l’ampiezza sociale di una rottura. O trovi questo coraggio, o ti incarti senza via di scampo.
La questione dello sciopero generale va letta esattamente in questa prospettiva. Se tutto si risolvesse nella celebrazione di un rito stanco, officiato per scrollarsi di dosso un’imbarazzante accusa di inerzia, non servirebbe a nulla. Una data buttata più in là possibile avrebbe la forza d’urto di un convoglio parcheggiato su un binario morto. Lo sciopero di cui c’è bisogno deve essere invece l’innesco e l’espressione insieme di un generale sommovimento della società, tale da mettere in moto e unire tutte le forze, le soggettività, i movimenti che si oppongono all’imbarbarimento presente: il lavoro, la generazione precaria, le donne, i migranti, quanti si battono per la difesa dei beni comuni per sottrarli alla riduzione a merci e quanti non si rassegnano alle moderne forme di schiavitù.
Non più, dunque, l’istantanea di una protesta che monta per un giorno e poi rifluisce; non più una risposta puntiforme e slegata senza comune denominatore, ma un vero e proprio assedio al potere, che mentre mette in discussione lo stato di cose esistenti, fissa l’agenda di un’altra politica per un altro Paese.