Le cose cambiano molto velocemente, nel mondo. Ma chi sta ripiegato sulle beghe da cortile – soprattutto in Italia – non se ne accorge neppure.
La pandemia continua a correre, nonostante gli annunci sull’arrivo dei vaccini (i tempi variano con le aspettative commerciali o elettorali), e di sicuro il mondo che ci troveremo davanti alla fine non sarà lo stesso di prima.
La frase è stata pronunciata molte volte, non sempre – o quasi mai – accompagnata da una descrizione seria su che cosa sarà cambiato tra l’inizio (gennaio 2020) e la fine (ben che vada, l’autunno del 2021).
E allora proviamo mettere sul piatto una cosa certa: il peso economico degli Usa sarà molto minore, e così anche la loro capacità egemonica nel commercio mondiale.
Non è un auspicio, ma un fatto. Ieri notte quindici economie dell’Asia-Pacifico hanno formato il più grande patto di libero scambio del mondo. Rappresentano il 30% della popolazione e dell’economia globale. 2,2 milioni di produttori e consumatori, perché è ormai alle spalle il tempo dell’Asia – e in primo luogo la Cina – come continente di produttori a basso salario e scarsi consumi. E nel gruppo non ci sono gli Stati Uniti…
Il pivot del nuovo accordo – Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP) – è naturalmente la Cina, stavolta strettamente collegata a Giappone e Corea del Sud, i due storici alleati locali dell’imperialismo Usa. Ma nel gruppo ci sono altri ex pilastri dell’egemonoa statunitense, come Australia e Nuova Zelanda.
L’India non ha firmato per timore di veder crescere, nel breve termine, il deficit commerciale con Pechino. Ma molti segnali indicano l’ingresso nel Rcep sarà questione di pochi anni, pandemia permettendo (o forse facilitando…).
Anche il luogo della firma mostra il sorriso beffardo dell’ironia della Storia: Hanoi, Vietnam del Nord, la più grande e significativa sconfitta statunitense del ‘900.
Per calcolare meglio il disastro economico-diplomatico, Trump aveva distrutto anche il Trans-Pacific Partnership (TPP), sottoscritto a suo tempo da Barack Obama, disegnato sul progetto esattamente opposto (confinare la Cina ai margini del “grande gioco” del Pacifico).
Di fatto, quella che (ancora per poco, forse) resta l’economia più grande del mondo è fuori da entrambe le intese commerciali che tengono insieme la regione in più rapida crescita della terra.
Molti dei punti del nuovo trattato non sono ancora noti nei dettagli. Si sa però che comprende 20 capitoli che vanno dal commercio di beni, investimenti e commercio elettronico alla proprietà intellettuale e agli appalti pubblici.
Ma il ministero delle finanze cinese ha tenuto a sottolineare che “lo spirito” è all’esatto opposto della “guerra dei dazi” promossa stupidamente da Donald Trump. «Per la prima volta, Cina e Giappone hanno raggiunto un accordo bilaterale di riduzione delle tariffe, raggiungendo una svolta storica».
Come notano tutti gli analisti internazionali, anche con la vittoria di Biden gli Usa non potranno “contrattaccare”, o almeno “controproporre”, in tempi brevi. Perché la disastrosa gestione della pandemia occuperà per forza di cose gran parte delle energie intellettuali, politiche ed economiche della nuova amministrazione.
Se questa, almeno, riuscirà a risolvere in modo accettabile la diversità di prospettive tra il centro dell’establishment (facile indovinare accordi sotterranei con i repubblicani “moderati”…) e la sinistra “socialista”. La quale ha un’agenda decisamente “radicale” per le abitudini statunitensi (qui in Europa sarebbe normale programma socialdemocratico, neanche troppo spinto), e difficilmente potrà accettare l’emarginazione e restare in silenzio.
That’s all, folks! E’ già un altro mondo, rispetto al 2019…