1) Si comincia col libero mercato, il cui perimetro
di libertà è sempre presente, non è mai libertà assoluta e che viene
definito dal politico e non certo dall’economico. Sono stati governi a
decretare prima libero e poi non più libero lo schiavismo, il commercio
dell’oppio, il lavoro minorile. Poiché il concetto di libertà è quindi
dato dal politico, i liberisti sono ideologi di un certo tipo di libertà
relativa, quella che fa quadrare i conti degli interessi che
sostengono.
2) Le aziende condotte dal principio del “valore per gli azionisti”
non creano valore produttivo ma finanziario e spesso lo fanno tagliando
dipendenti ed investimenti e strozzando fornitori. Jack Welch, ex CEO
di GE che nel 1981 coniò il concetto di “shareholder value” pare che
recentemente abbia mutato giudizio definendola “l’idea più stupida del
mondo”.
3) I lavoratori non vengono pagati per il loro valore assoluto,
ma relativamente alle cornici di contesto delle singole economie-paese.
Pensare di mettere tutti i lavoratori in uno stesso mercato planetario è
una truffa. Un guidatore di autobus svedese ha un salario 50 volte
superiore a quello di un collega indiano quando semmai l’indiano ha ben
più capacità visto che deve muoversi tra carretti, pedoni
indisciplinati, animali e biciclette. In realtà agisce un potente
sbarramento, di nuovo politico, un protezionismo del lavoro agito
tramite barriere all’immigrazione che nessun liberale si sogna di
rimuovere. Così, “produttività” è un concetto sistemico, quindi
economico-nazionale, non certo dipendente dal singolo individuo e dalla
sua “flessibilità”.
4) La quarta tesi è ad effetto: la lavatrice ha cambiato il mondo più di internet.
Chang picchia duro su uno di quei topos con i quali si costruisce la
nostra visione del mondo. L’economia dell’immateriale è stata una falsa
promessa, un fenomeno di ben più misurata significanza rispetto a quanto
si vada ripetendo nei mantra post moderni.
5) Il presupposto dell’egoismo razionale dal quale
discende l’intera teoria economica quantificabile, individualista,
razionale è del tutto arbitrario. L’individuo asociale è un disturbato e
così la teoria economica che da questo patologico presupposto discende (autistic economy).
6) La stabilità economica che dipende dall’azzeramento dell’inflazione,
quindi dalla gestione della moneta, serve solo come protezione di chi
ha ingenti capitali da investire. Nel dopoguerra con inflazione si
cresceva più del doppio degli ultimi trent’anni senza inflazione. Una
moderata inflazione addirittura potrebbe fare bene alla crescita e
comunque è certo che zero inflazione non porta di per sé alcuna crescita
correlata.
7) Le politiche liberiste sul commercio internazionale rendono più
ricchi i paesi ricchi e non certo i paesi poveri. Riecheggiano qui le
osservazioni dell’economista tedesco Friedrich List (1789-1846). Tra
l’altro, gli Stati Uniti furono protezionisti almeno dal 1830 al 1940 e
la Gran Bretagna dal 1720 al 1850. Si può così notare come la furia libero mercatistica
emerga solo quando il paese a capitalismo egemone sull’intero
sistema-mondo, inizia la sua fase più prettamente imperiale. La libertà
allora è quella dell’agente imperiale che “deve” poter entrare nella tua
economia per eterodirigerla a sua convenienza.
8) La transnazionalità globalizzata va
ridimensionata. Vere e proprie imprese transnazionali sono pochissime,
per lo più sono imprese nazionali con prospezione internazionale. Nei
servizi poi questo radicamento nazionale si accentua data
l’impossibilità di prestare servizi a distanza. La maggior parte degli
investimenti esteri comprano aziende già esistenti (per ristrutturarle e
rivenderle ) e non ne creano di nuove e molte aziende manifatturiere
svolgono sull’estero soprattutto attività finanziaria e non produttiva.
9) Anche la favola dell’era post-industriale va
ridimensionata. Spesso l’industria contribuisce al PIL meno che in
passato perché le attività dei servizi hanno un valore più alto, anche
in ragione dell’aumento di produttività che è più marcato proprio nelle
attività industriali. Outsourcing e riclassificazioni di attività prima
conteggiate come manifattura alterano le statistiche. Diminuzione
dell’industria inoltre provoca dipendenza, sbilancia la bilancia dei
pagamenti, depotenzia le possibilità di crescita e deprime
l’occupazione. L’unica vera economia post industriale è quella delle
Seychelles.
10) Gli Stati Uniti non hanno il tenore di vita più alto del mondo.
Molto dipende da come si effettuano conteggi e comparazioni ma
empiricamente un paese con tra i più alti indici di diseguaglianza,
criminalità, ore lavorate (quindi mancanza di tempo libero), vita meno
lunga e maggiore mortalità infantile non si può dire un paese felice.
11) Non esiste alcuna ragione strutturale che condanna l’Africa al
sottosviluppo. La mancanza di possibilità al cambiamento è dovuta per lo
più dall’ingerenza occidentale che continua a
condizionare per sfruttare, le immense ricchezze del continente. Il dato
peggiorativo proviene proprio dalla dissennata applicazione coatta di
politiche di libero mercato e di programmi di aggiustamento strutturale
imposti da Fmi e WB.
12) Anche l’assunto per il quale la capacità di intervento dello stato
sulla complessità del mercato sarebbe impedita da un velo d’ignoranza è
falso. L’autore che è coreano, riporta proprio casi del suo paese che è
passato da economia primitiva ad economia di punta grazie ad un
strategia coordinata in cui c’è la visibilissima mano dello stato. Così
per Giappone, Francia ed anche se non lo dicono gli stessi Stati Uniti
per quanto attiene alle tecnologie dell’informazione, biotecnologia,
aerospazio. Altresì casi come Windows Vista o Nokia N-Gage dimostrano
possibili errori macroscopici anche da parte del mercato. Di fronte
all’errore, stato e mercato quantomeno si equivalgono.
13) È qui la volta del famigerato “trickle down”
ovvero quella irrazionale convinzione per la quale facendo i ricchi
sempre più ricchi poi la ricchezza di questi “colerebbe” sugli strati
inferiori tramite investimenti che producono poi crescita e quindi
ricchezza per tutti. Anche qui si possono leggere dati empirici del
tutto contrari comparando il trentennio post bellico redistributivo e
crescista con il trentennio neoliberale, che fa corrispondere bassi e
stentati livelli di crescita a fronte di una impennata degli indici di
diseguaglianza. Ma anche il senso comune può soccorrerci. Un milione in
più ad un miliardario diventa proprietà accumulata o investimento che
date le caratteristiche degli attuali mercati beneficerà un altro
sistema paese. Cento euro di più ad un metalmeccanico diventano consumo,
il consumo chiama produzione che chiama occupazione e il tutto fa
crescita e circolazione della ricchezza.
14) Gli esorbitanti stipendi dei top manager non
sono fenomeni spontanei del mercato. Essi sono determinati in buona
parte proprio dal potere che questi top manager hanno assunto, potere di
autodeterminare il proprio stipendio. Questo è schizzato a ordini di
centinaia di volte quello dei sottoposti e negli USA a tre, quattro
volte quello degli omologhi europei o giapponesi.
15) Nei paesi più poveri non è vero che manchi intraprendenza,
anzi ce ne è sicuramente di più di quanta ce ne sia in Occidente
proprio perché maggiore è la richiesta di arte di arrangiarsi. Altresì
la figura dell’eroe individuale che con la propria forza di volontà
riesce ad emergere, a fabbricare il proprio destino è pura letteratura.
Senza politiche di contesto, infrastrutture, legislazioni, sistemi
complessi spesso promossi da una autorità statale, non c’è alcuna
possibilità di far crescere ed affermare un’impresa.
16) Il presupposto dell’iper-razionalità delle
scelte economiche individuali, il presupposto che regge come “se”,
l’”allora” dell’intera presunta scienza economica è palesemente
inconsistente. La nostra razionalità è assai limitata, condizionata,
agita entro grandi semplificazioni di complessità e routine fideistiche
ed abitudinarie senza le quali non potremmo vivere. Viviamo immersi in
oceani di incertezza e non abbiamo alcuna possibilità di fare calcoli
neanche probabilistici del rischio effettivo.
17) Altresì non esiste alcuna correlazione provata
tra il livello medio di istruzione generale di un paese ed il suo
successo economico. Molte attività meccanizzate o informatizzate
addirittura richiedono solo mansueti esecutori. Le materie di
insegnamento servono ad altro che non ad aumentare la produttività e
l’inflazione di “alti studi” non fa che rendere maggiormente classista
l’entrata nel mondo di quei lavori a maggiori opportunità. La Svizzera è
uno dei paesi più ricchi del pianeta ed ha il tasso d’immatricolazione
universitaria più basso tra i paesi sviluppati. Da buon
istituzionalista, Chang rimarca l’importanza di condizioni di contesto
per creare benessere economico, condizioni alla portata di istituzioni
collettive, tra cui lo stato.
18) Gli interessi dell’imprenditori privata non coincidono sempre con quelli della nazione.
Gli interessi della nazione debbono essere promossi dal governo, cioè
dallo stato, anche come regolamento di contesto nell’interesse stesso
dell’imprenditoria privata.
19) L’ostracismo alla pianificazione in economia non è totalmente
giustificato anche perché anche le cosiddette economie di mercato hanno
parti abbondantemente pianificate. Certo la totale pianificazione
centralizzata, soprattutto all’evolversi ipercomplesso delle nostre
economie fallisce, ma la pianificazione dei contesti o “pianificazione indicativa”
è stata ampiamente praticata con successo dalla Francia, alla
Finlandia, Norvegia, Austria, Giappone, Corea, Taiwan, così le politiche
economiche di settore e la politica industriale in particolare. Esiste
ancora intrapresa economica statalizzata e il settore della ricerca e
sviluppo è totalmente supportato negli Stati Uniti d’America. Così le
aziende, tanto più grandi sono tanto maggiore è la loro pianificazione
pluriennale, con grande articolazione di strategie. Così per i paesi,
più grandi e diversificati sono più controllano ed agiscono in favore
della propria economia.
20) L’uguaglianza delle opportunità è nulla se non c’è uguaglianza delle possibilità (il vecchio dibattito tra “liberta da” e “libertà di”).
21) Lo stato sociale aiuta ad assumersi rischi ed
assumendosi i rischi del cambiamento la società è più dinamica ed
aperta. Le automobili più veloci hanno anche i migliori impianti
frenanti. Questo è un dato solido e concreto che si può desumere dalla
comparazione tra indici di spesa sociale e crescita del PIL a livello
delle economia più sviluppate.
22) Tra mercati finanziari ed economia reale c’è una asimmetria nei tempi.
Il capitale impaziente della speculazione ha una logica diversa dal
capitale paziente che si richiede nello sviluppo di una iniziativa
economica reale. Occorre render più difficili le acquisizioni ostili,
vietare le vendite allo scoperto, aumentare gli obblighi di margini,
introdurre restrizioni alla libera circolazione dei capitali. Occorre
cioè domare e limitare la finanza la cui totale libertà è altamente
dannosa.
23) Minore crescita, maggiore instabilità economica, maggiore
diseguaglianza, crisi ripetute e crollo del 2008. Questo il pacchetto
dei risultati dell’economia liberista. Di contro, l’intero pacchetto
della formidabile crescita orientale degli ultimi anni è stata fatta in
totale assenza di economisti. Gli economisti liberisti non solo
hanno fatto cattiva economia ma soprattutto hanno svolto un ruolo
altamente ideologico basato sulla sistematica inversione del buonsenso:
l’ineguaglianza fa bene, le tecnologie sono tutto, l’incertezza
esistenziale è propedeutica alla crescita, svendere la propria industria
fa bene, non bisogna occuparsi di politica economica perché l’economia
si autoregola, abbandoniamo lo stato ed abbandoniamoci al mercato, diamo
più soldi ai ricchi, esaltiamo l’egoismo, distruggiamo la società. Un lungo delirio istituzionalizzato!