Gli editoriali di Minzolini disseminano, ogni volta, una scia d’inevitabili polemiche. Politici, giornalisti, blogger, comuni cittadini, ne attaccano i contenuti sfacciatamente di parte, combacianti perfettamente con le opinioni politiche del presidente del Consiglio.
Tutto nasce dal fatto che il principale tg del servizio pubblico si è contraddistinto, sotto la guida di Minzolini, nel produrre un pessimo modo d’interpretare e fare informazione; caratterizzato da FALSITÀ , notizie, DIFFUSE IN TUTTO IL MONDO, non date perché ritenute mediaticamente scomode al governo e ridotte a estivi GOSSIP DA OMBRELLONE, una riduzione di spazio e quindi d’attenzione alle questioni politiche, economiche e sociali in favore di fatti inutili fine a se stessi – come “LE SCIMMIE ORFANE DEL KENYA, aquile reali, cappellini e cavalli inglesi ad Ascot, cappelli senza cavalli a Milano, il ritorno in classifica di Raffaella Carrà”, ecc – spacciati, al contrario, per vere e proprie notizie d’importanza nazionale da dover esser comunicate all’opinione pubblica.
Operazioni di controllo dell’informazione che tre giornalisti del comitato di redazione del telegiornale hanno condensato e raccolto in un DOSSIER intitolato Il tg1 secondo Minzolini, utile a capire che oltre a porsi contro la correttezza richiesta ne LA CARTA DEI DOVERI DEL GIORNALISTA esse sono la causa di numerosi problemi che hanno investito il tg1 in questi anni di linea “minzoliniana”: una FORTE PERDITA DI ASCOLTI, DIFFIDE e MULTE per il continuo squilibrio di minuti concesso al governo e a Silvio Berlusconi.
L’esasperazione verso questo tipo di giornalismo, asservito (e in difesa) al potente di turno, ha inasprito le critiche rivoltegli, tanto da far pretendere, in svariate di esse, che Minzolini smetta di fare editoriali, poiché – sostengono – un direttore di un telegiornale, tanto più del servizio pubblico, per rimanere imparziale non dovrebbe esprimere un proprio punto di vista riguardo realtà politiche/economiche nazionali ed internazionali.
L’errore di tali richieste d’imparzialità sta nel considerare fonte di paragone come Minzolini si pone nel ruolo da direttore del tg1. I suoi editoriali, difatti, non sono analisi critiche basate su letture di accadimenti avulse da interessi di partito o di parte. Ogni volta che Minzolini parla non cerca mai d’inserire il suo punto di vista in una lettura intellettualmente onesta del Paese, che può anche non essere condivisibile, ma che fa interrogare, poiché alternativa al proprio pensiero, avente anche ha il coraggio, eventualmente, di risultare non esatta, sbagliando per questo in prima persona e non, come ironizzava Biagi, per conto terzi.
Al contrario, l’intento del “direttorissimo” è quello di difendere il potente, avallare le sue svariate pretese di comando e controllo, attaccando i “nemici”-POLITICI , GIORNALISTI, MAGISTRATI - del suo ideale editore di riferimento (Silvio Berlusconi). Legame politico, tra l’altro, che lo stesso giornalista HA CONFERMATO, dichiarando che la sua permanenza alla direzione del tg1 è strettamente connessa alla durata del presidente del Consiglio nella guida del governo.
Insomma, gli editoriali di Minzolini, sono editoriali nella forma ma non nella sostanza, in quanto si contraddistinguono per fare della pura e semplice propaganda politica.
Proprio per questo motivo, basare il proprio giudizio su come dovrebbero essere gestiti il ruolo e i compiti di un direttore di telegiornale, avendo come termine di paragone la propaganda e non il giornalismo, può portare ad una cura ben peggiore della malattia, in quanto il passaggio dal desiderio d’imparzialità del giornalista alla pretesa di avere un tg asettico come una lista della spesa, in cui le notizie vengono semplicemente lette, senza un approfondimento e un utile e attenta analisi è qualunquisticamente sottile.
Pericolo che non possiamo permetterci, maggiormente in un periodo come questo, in cui il conformismo e il servilismo giornalistico televisivo sono più dilaganti che mai, per evitare di non riuscire più a distinguere tra informazione e mera propaganda.
Ecco perché un direttore di telegiornale, se lo ritiene necessario, è libero di poter fare tutti gli editoriali che vuole, informando, ma non può permettersi d’inscenare comizi dal pulpito della prima rete del servizio pubblico, basando la sua opinione su fatti forzati o manomettendo e manipolando circostanze della realtà politica e sociale di questo Paese per fare un favore al potente di turno.
Perché, COME SOSTENEVA, nel 1994, un ottimo giornalista d’assalto, definito lo squalo, “il mio referente è il lettore e non il politico e (…) il mio compito è quello di rappresentarlo come è senza mediazioni”.