Qualcosa ci inventeremo”, ha detto Silvio Berlusconi a proposito del
rilancio dell’economia italiana. Niente male come programma. Detto questo, ecco una seria
proposta per migliorare i nostri dissestati conti pubblici: il condono
politico tombale. C’è chi fino a ieri faceva il baciamano al raìs di
Arcore e oggi si lancia in dichiarazioni frementi di sdegno
antigovernativo. Lo fa gratis, e questo non è giusto. Ma sia: essendo
passati di moda i campi di rieducazione, non resta che agire sulla leva
economica. Una tassa. Ebbene sì. Bassa, ovviamente, per chi in buona
fede, complice l’ignoranza, il Tg4, le comparse di Forum e Minzolini,
ha creduto alla propaganda del regime. Più alta (fino al sequestro dei
beni) per chi, pur avendo gli strumenti culturali per distinguere la
merda dal cioccolato, ha gridato per anni “viva la merda”. Qualcuno
obietterà: non è con lo stipendio dei numerosi Capezzone che si riduce
il debito pubblico, ed è vero. Ma che dire di organizzazioni ricche e
potenti come la Chiesa Cattolica? Per anni, pur sapendo perfettamente
con chi aveva a che fare, è passata all’incasso, e ora molla al suo
destino il fornitore di privilegi e “leggi etiche” ormai avviato al
fallimento. Vedete che si comincia a parlare di cifre consistenti.
Dovrebbe aderire al condono politico anche Rosa Marcegaglia la
rude combattente antiberlusconiana di oggi. E insieme a lei gli
imprenditori italiani, assistiti, coccolati, sovvenzionati, ingrassati,
che oggi si travestono da strenui e un po’ ridicoli oppositori. Per
non dire dei gloriosi padani, poveretti, tutti impegnati a far fuori il
loro Gheddafi per mettere Maroni al suo posto. Ecco. Pagare. Senza
eccessi, per carità: non vogliamo certo impedire ai giovani industriali
di travestirsi da indignados come hanno fatto ieri a Capri. Ma almeno
che facciano vedere la ricevuta con la scritta: “Ho aderito al condono
politico tombale”. E mostrino a richiesta la ricevuta del versamento!
Blog che si occupa di commentare fatti e avvenimenti dell'attualità politica e della società
martedì 25 ottobre 2011
mercoledì 12 ottobre 2011
LA LEGGE BAVAGLIO
Dunque il ddl intercettazioni è nuovamente argomento di discussione; sarà dunque possibile rendere noto ai cittadini quello che è già pubblico – in quanto noto all’indagato stesso – «solo dopo che si sarà stabilito quali siano gli ascolti rilevanti o meno». Un concetto che ricorda tanto, troppo a dirla
tutta, un’omertà stile Marlon Brando– per non dire mafiosa.
Va ricordato che la privacy degli indagati è già tutelata dalla legge, dal momento che non è consentita la pubblicazione di notizie coperte dal segreto istruttorio o investigativo.
Il discorso, dunque, non è di tipo legale ma politico, se non anche
morale considerato che il diritto all’informazione dovrebbe essere una
pietra miliare del sistema democratico.
Non si deve certo viaggiare con la
fantasia per congetturare sulle conseguenze di un sistema informativo
manipolato a fini politici. Basta attingere all’archivio della memoria e
tenere presente con quanto sdegno e costernazione si pensa alla propaganda dei regimi totalitari.
Con quanta ammirazione, all’inverso, si guarda al fenomeno della primavera araba,
a come l’informazione libera, quella dei blog nella fattispecie, ha
contribuito a fare il primo passo verso il complesso sviluppo dell’emancipazione nordafricana.
Ma, si sa, in Italia è difficile
guardare al di là del proprio naso. Un apparato politico avviluppato
nelle sue questioni di palazzo, faticosamente trae dalle realtà estere
un’occasione di riflessione sui miglioramenti da apportare al proprio
sistema.
Oggi, non soltanto il decreto riprende
vita, ma vengono apportate anche delle modifiche che ostacolano il
normale flusso dell’informazione. Se si intende quest’ultima come
peculiare esempio di comunicazione, allora si dovrebbe presumere la
presenza di un mittente: il giornalista e un destinatario: il lettore. Il primo dovrebbe portare al secondo il suo messaggio: la notizia. Ebbene, noncuranti di questo elementare movimento da chi comunica la notizia a chi la riceve, gli autori e i sostenitori della cosiddetta legge bavaglio bloccano il “naturale” processo informativo.
Dal momento che il contenuto delle intercettazioni è documento, e non rappresenta l’orecchio
indiscreto di un estraneo che guarda attraverso il buco della serratura – ad appagare questa esigenza ci pensano i reality show – è diritto del cittadino/lettore essere a conoscenza di documenti pubblici che riguardano personaggi pubblici. Personaggi che, in ultima analisi, sono gli stessi che quel cittadino/lettore informato e consapevole sceglie quali suoi rappresentanti nel momento in cui esercita il diritto al voto.
E mentre ai “piani alti” si continua ad
azzuffarsi, intrattenersi con barzellette da osteria, sedersi sulla
poltrona più comoda e inveire l’uno contro l’altro senza uno straccio
di autentica iniziativa per far fronte ad una complessa situazione
economica, sociale e politica, questo decreto legge si presenta come un ulteriore ostacolo verso la risalita.
Ma fino a quando la gente, quella che legge i giornali, che va a votare e che scende in piazza con la bocca imbavagliata per ricucire l’Italia sarà disponibile a farsi prendere in giro?! Se nella penisola iberica e oltreoceano si fanno sentire gli indignados, impossibile negare che anche lo stivale ha la sua buona dose di incazzati!
sabato 1 ottobre 2011
Se facessimo come i cittadini di Parma
I cittadini di Parma si sono liberati di una giunta travolta da un’ondata di scandali, dopo l’arresto di 4 persone tra funzionari pubblici e un assessore che ha svelato un giro di corruzione e concussione. In giugno erano stati arrestati altri funzionari pubblici, ma i signori che lunedì sono finiti in carcere hanno continuato a farsi i fatti loro, manifestando non solo un incredibile sentimento di impunità, ma un totale disprezzo per i loro cittadini. S’indaga per tangenti perfino sui servizi mensa degli asili. I cittadini di Parma sono scesi in piazza, continuamente e senza mollare, manifestando la loro volontà di mandare a casa questi amministratori ritenuti – e come dar loro torto – non meritevoli di fiducia. Indignados contro indegni: hanno vinto gli indignados. Così, il rapporto giuridico tra cittadino e amministrazione è sensato: perché è chiaro che di fronte a episodi di questo genere, la fiducia del popolo viene meno e quindi il mandato degli amministratori non ha più fondamento. È un concetto che va oltre il decoro, l’etica, la trasparenza. È il senso della rappresentanza politica.
Al governo del Paese, la situazione penale dei ministri è questa: Raffaele Fitto, imputato per associazione a delinquere, corruzione e altre cosette; Altero Matteoli, imputato per favoreggiamento; Paolo Romano, imputato – fresco di fiducia – per mafia; Umberto Bossi, pregiudicato per mazzette e istigazione a delinquere; Roberto Maroni, condannato per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale; poi alcuni “ex” come Aldo Brancher, Guido Bertolaso, Nicola Cosentino e il ministro a sua insaputa Claudio Scajola. Il Parlamento accorda loro fiducia, con solerte regolarità: non a caso tra Camera e Senato siedono 24 pregiudicati e circa 90 fra imputati, indagati, prescritti e condannati provvisori. Per non dire, naturalmente, di un premier imputato e indagato per reati ignobili che ci sta portando – lo scrive la stampa internazionale – nel baratro insieme a lui.
Non è la dittatura della magistratura o lo “scontro tra toghe e politica”, per usare un’infelice espressione di Napolitano. Sembra che i magistrati ovunque si girino, s’imbattano in un politico delinquente. Hanno l’obbligo d’indagare e perseguire i reati (almeno fino ora). Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Ora, si fa un gran parlare della possibilità del Presidente della Repubblica di sciogliere le Camere: secondo chi di diritto ne sa, ora il Colle non può liquidare governo e Parlamento. Può farsi sentire, anche pubblicamente, anche con il rigore e la durezza che l’inaudita situazione impongono.
Ma questo riguarda i poteri dello Stato. Noi, i cittadini, dove siamo? Perché non riusciamo a essere, moltiplicati alla “n”, come i cittadini di Parma? All’università ci insegnano che il concetto di Stato deriva dalla somma di territorio, popolo e sovranità. Lo Stato è nostro, perché non riusciamo a organizzare un movimento di cittadini che banalmente chiedono e ottengono un governo che governi, magari nell’interesse dei cittadini, non faccia affari e affronti la crisi finanziaria? L’alternativa non è solo questo ridicolo stallo-stagno nel quale siamo caduti: se non riusciamo a riprenderci il nostro Paese, non saremo più cittadini, ma stranieri d’Italia.
Al governo del Paese, la situazione penale dei ministri è questa: Raffaele Fitto, imputato per associazione a delinquere, corruzione e altre cosette; Altero Matteoli, imputato per favoreggiamento; Paolo Romano, imputato – fresco di fiducia – per mafia; Umberto Bossi, pregiudicato per mazzette e istigazione a delinquere; Roberto Maroni, condannato per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale; poi alcuni “ex” come Aldo Brancher, Guido Bertolaso, Nicola Cosentino e il ministro a sua insaputa Claudio Scajola. Il Parlamento accorda loro fiducia, con solerte regolarità: non a caso tra Camera e Senato siedono 24 pregiudicati e circa 90 fra imputati, indagati, prescritti e condannati provvisori. Per non dire, naturalmente, di un premier imputato e indagato per reati ignobili che ci sta portando – lo scrive la stampa internazionale – nel baratro insieme a lui.
Non è la dittatura della magistratura o lo “scontro tra toghe e politica”, per usare un’infelice espressione di Napolitano. Sembra che i magistrati ovunque si girino, s’imbattano in un politico delinquente. Hanno l’obbligo d’indagare e perseguire i reati (almeno fino ora). Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Ora, si fa un gran parlare della possibilità del Presidente della Repubblica di sciogliere le Camere: secondo chi di diritto ne sa, ora il Colle non può liquidare governo e Parlamento. Può farsi sentire, anche pubblicamente, anche con il rigore e la durezza che l’inaudita situazione impongono.
Ma questo riguarda i poteri dello Stato. Noi, i cittadini, dove siamo? Perché non riusciamo a essere, moltiplicati alla “n”, come i cittadini di Parma? All’università ci insegnano che il concetto di Stato deriva dalla somma di territorio, popolo e sovranità. Lo Stato è nostro, perché non riusciamo a organizzare un movimento di cittadini che banalmente chiedono e ottengono un governo che governi, magari nell’interesse dei cittadini, non faccia affari e affronti la crisi finanziaria? L’alternativa non è solo questo ridicolo stallo-stagno nel quale siamo caduti: se non riusciamo a riprenderci il nostro Paese, non saremo più cittadini, ma stranieri d’Italia.
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